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Il passaggio generazionale delle collezioni di opere d’arte

Terza e ultima parte
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Il passaggio generazionale delle collezioni di opere d’arte

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Numerosi sono gli strumenti giuridici, sia inter vivos, sia mortis causa, che un collezionista può utilizzare per gestire il passaggio generazionale della propria raccolta. Ognuno di essi, nondimeno, dovrà tenere conto di importanti norme imperative di diritto successorio, come, anzitutto, quelle che riservano diritti ai legittimari, e come il divieto di patti successori. Specifici problemi, anche dal punto di vista successorio, possono sorgere, poi, qualora la collezione rilevi anche come bene culturale, oggetto di vincoli, attuali o anche solo potenziali, da parte della P.A.

Trasmissione della collezione mortis causa. Le disposizioni testamentarie. La costituzione di fondazione e di trust.(segue) Il legato e la divisione disposta dal testatore.
(segue) L’onere. Il fedecommesso.
La morte intestata del collezionista.
Cenni alla trasmissione delle collezioni oggetto di vincolo. Il problema della valutazione economica della collezione.

 

Trasmissione della collezione mortis causa. Le disposizioni testamentarie. La costituzione di fondazione e di trust.

La prassi indica come, per lo più, la trasmissione alle generazioni successive delle raccolte d’arte, soprattutto se cospicue e preziose, venga organizzata dal collezionista tramite atti inter vivos, di alcuni dei quali si è cercato di portare esempi nelle pagine che precedono. Non si può escludere, nondimeno, che il passaggio della collezione avvenga non per atto tra vivi, ma, semplicemente, a causa di morte. In questo caso si può immaginare, sia una gestione del passaggio organizzata comunque dalla volontà del collezionista, versata in disposizioni testamentarie, sia una trasmissione che prescinda da tale volontà, e che resti regolata dalla successione legittima, per i casi in cui il testamento non vi sia, o, comunque, non disponga, o sia altrimenti inefficace, con riguardo alla trasmissione della collezione. Qualora il testamento via sia, e con il testamento il collezionista abbia inteso anche trasmettere la collezione, va ricordato, anzitutto, che, anche per testamento, potrebbero essere costituiti, sia una fondazione, sia un trust, a cui destinare poi la raccolta d’arte. Tanto la costituzione e dotazione della fondazione, quanto quelle del trust, peraltro, dovranno essere disposte così da non ledere i diritti dei legittimari, poiché, in caso contrario, le relative disposizioni testamentarie sarebbero esposte all’azione di riduzione (e alla, conseguente, parziale o totale perdita di effetti), nella misura necessaria a reintegrare le quote di eventuali legittimari lesi o pretermessi. Codesta riduzione, tra l’altro, avverrebbe con precedenza, rispetto a quanto accadrebbe, se la costituzione della fondazione o del trust fossero avvenute per atto tra vivi, poiché, come è noto, a norma dell’art. 555, 2° co., c.c., le donazioni (anche indirette, come possono essere la costituzione e la dotazione, per atto tra vivi, di  una fondazione o di un trust) non si riducono se non dopo aver completamente ridotto le disposizioni testamentarie, senza, con ciò, avere ancora reintegrato le quote riservate ai legittimati. E’ possibile, tuttavia, che il testatore collezionista preveda, come consente l’art. 558, 2° co., c.c., che le disposizioni riguardanti la trasmissione della raccolta alla fondazione, o la destinazione di essa al trust, debbano avere effetto a preferenza delle altre, sicché esse saranno poi le ultime, tra le disposizioni testamentarie, a essere ridotte. Le mentovate disposizioni testamentarie, inoltre, così come i legati, generano delle passività per l’asse ereditario, e, così come i legati, potranno produrre gli effetti voluti dal testatore solo dopo che siano stati pagati i debiti del defunto, a norma dell’art. 499, 2° co., c.c., ove si stabilisce, con portata che si reputa generale, che i creditori siano preferiti ai legatari. Sia la necessità di destinare l’attivo ereditario, in primo luogo, alla soddisfazione dei creditori del defunto, sia, e soprattutto, le regole di protezione dei legittimari, potrebbero esporre al rischio di parziale o totale inefficacia le disposizioni testamentarie con le quali il collezionista preveda la creazione di enti e il trasferimento ad essi della propria raccolta. E, anche in questi casi – come in quelli, ricordati sopra, di costituzione e trasferimento per atto tra vivi – conseguenza dell’inefficacia dell’assetto divisato dal collezionista, rischia di essere, ancora una volta, la disgregazione e la dispersione della collezione.
 

(segue) Il legato e la divisione disposta dal testatore.

Uno strumento utile, per garantire la conservazione dell’unitarietà della collezione, potrebbe essere il legato. Fare dell’intera collezione l’oggetto di una disposizione a titolo particolare, difatti, potrebbe mettere la raccolta stessa al riparo dai rischi insiti nella divisione ereditaria, che si generebbero laddove essa cadesse nella comunione ereditaria. Come ho ricordato anche poco sopra, peraltro, poiché a norma di legge i creditori del defunto debbono essere soddisfatti prima dei legatari, la trasmissione potrà avvenire così come voluto dal collezionista, solo quando non sia necessario destinare anche la collezione a pagare i debiti di questi. Lo scopo di sottrarre la collezione alla comunione ereditaria, così da proteggerla dai rischi connessi alla divisione, potrebbe essere perseguito, altresì, ricorrendo alla divisione fatta dal testatore, di cui all’art. 734 c.c. Il collezionista potrebbe, dunque, chiamare a titolo universale quello al quale, tra i suoi successori, intende trasmettere la collezione, e poi, già nel testamento, indicare che la quota di questo erede debba essere composta (anche) dalla collezione. Come ogni divisione, anche la divisione disposta dal testatore, nondimeno, può essere rescissa per lesione ultra quartum, ai sensi dell’art. 763 c.c. Il collezionista, per evitare che la sistemazione organizzata nel testamento divenga inefficace, dovrà, perciò, porre attenzione a che non vi sia una differenza eccedente il quarto, tra il valore delle quote e il valore dei beni indicati a comporle. Sia in caso di legato, sia in caso di divisione disposta dal testatore, poi, permane la necessità di non ledere, con le disposizioni destinate a trasmettere la collezione, i diritti riservati ai legittimari, per non esporre tali disposizioni all’azione di riduzione, e, ancora una volta, all’ulteriore conseguenza dell’inefficacia, e ai rischi della caduta della collezione in comunione e dello smembramento di essa, potenzialmente conseguente alla divisione della comunione stessa.


(segue) L’onere. Il fedecommesso.

Come nel caso di donazione, anche nell’ipotesi di trasmissione della collezione per atto mortis causa potrà essere assai utile, per il raggiungimento degli scopi del collezionista, l’utilizzo di disposizioni modali. Come con la donazione, infatti, attraverso l’onere o modus si potrebbe obbligare il successore nella collezione, ad esempio, a valorizzare la collezione, magari imponendo di riunire le opere in un unico luogo (T. Firenze, 30/9/1997; T.A.R. Lazio, 29/5/2000, n. 4412), e di esporle, in tutto o in parte, al pubblico (T. Firenze, 16/1/1957), a non smembrare la collezione, e anche a non spostarla da dove si trovi al momento dell’apertura della successione, o, al contrario, a spostarla in un sito diverso, magari più consono alla fruizione pubblica, o, ancora, a non alienarla, in tutto o in parte. Occorre ripetere, nondimeno, come molti oneri, che obblighino il successore nella collezione a “non fare”, rischino di valere solo nei limiti dell’art. 1379 c.c., o, almeno, nei limiti in cui le previsioni di tale articolo si reputino applicabili anche alle disposizioni testamentarie. Ciò è vero per eventuali obblighi di non alienare, ma potrebbe esserlo anche per obblighi che, pur non precludendo la vendita della collezione, imponessero di non smembrarla e di non spostarla, sì da renderla assai meno appetibile sul mercato, qualora si legga nell’art. 1379 c.c. la manifestazione di un principio più generale, di sfavore verso ogni vincolo, di fonte volontaria, che limiti e rallenti la circolazione della ricchezza. Gli effetti di questi oneri, allora, saranno solo obbligatori, e non saranno opponibili a eventuali terzi sub-acquirenti della collezione, o di opere di essa. Inoltre, l’onere non potrà essere vincolante oltre un ragionevole limite di tempo. In termini generali, viceversa, è dubbio e discusso, che al divieto di alienazione di fonte testamentaria sia applicabile anche il limite della meritevolezza dell’interesse perseguito; ma questo rilievo non mi pare centrale con riferimento ai divieti poco sopra portati ad esempio, poiché è evidente che essi, comunque, sempre tradurranno un meritevole interesse del collezionista. Come di consueto, in ipotesi di onere testamentario, altresì, appare assai opportuno, anche più di quanto sia con riferimento all’onere apposto alla donazione, rafforzare l’onere, sia con la previsione della risoluzione della disposizione onerata, sia con la previsione di una penale testamentaria, per il caso di inadempimento. Inoltre, nel caso in cui la collezione sia divenuta oggetto di comunione ereditaria, ogni limitazione imposta con oneri, che avesse come conseguenza il restringere la possibilità di effettuare la divisione, non potrebbe superare gli stretti limiti in cui è consentita la sospensione della divisione, a norma degli artt. 715 e, soprattutto, 717 c.c. Va ancora notato, da ultimo, come non possa trovare efficacia (se non attraverso la costituzione di un apposito ente) l’eventuale volontà del collezionista di garantire l’unità della collezione, e magari anche di gestirne la trasmissione, di generazione in generazione. Disposizioni a ciò finalizzate, difatti, non potrebbero che confliggere con il divieto di sostituzione fedecomissaria, e, conseguentemente, non potrebbero che essere colpite da nullità, come previsto all’art. 692, 5° co., c.c.


La morte intestata del collezionista.

Vengo ora al secondo degli scenari tratteggiati sopra, vale a dire al caso in cui il collezionista muoia senza aver fatto testamento. A tal ipotesi, naturalmente, può essere equiparata quella in cui il testamento via sia, ma non disponga della collezione, e quella in cui le disposizioni testamentarie concernenti la collezione, per una qualunque ragione, non possano avere effetto. In questi casi, comunque, anche il passaggio della collezione sarà retto dalle regole della successione legittima. Naturalmente, salvo quando vi sia un unico erede universale, in assenza di efficaci previsioni la collezione non potrà che cadere nella comunione ereditaria, ed essere poi riguardata dalla divisione. Unicamente un’asse abbastanza capiente da consentire di formare le parti senza smembrare la collezione, insieme ad accorte intese a ciò rivolte raggiunte dai coeredi, o a un adeguato apporzionamento predisposto dal giudice, allora, potranno evitare lo smembramento della collezione. In ciò, altresì, peserà pure l’estrema difficoltà che si può legare alla valutazione di una collezione di opere d’arte, difficoltà riguardo alla quale scriverò qualche parola nell’ultimo paragrafo. Voglio ancora notare, prima di ciò, come, nel caso in cui la raccolta d’arte sia conservata nella casa di abitazione del collezionista, potrà trovare applicazione la previsione di cui al 2° comma dell’art. 540 c.c., e anche l’uso della collezione (o della parte di essa custodita nella casa di abitazione del collezionista), insieme a quelle degli altri mobili che corredano la casa, sarà oggetto di legato ex lege in favore del coniuge sopravvissuto.


Cenni alla trasmissione delle collezioni oggetto di vincolo. Il problema della valutazione economica della collezione.

I problemi fino ad ora maggiormente considerati, non si daranno qualora la collezione sia, in tutto o in parte, oggetto di vincoli posti nell’interesse pubblico, che, ad esempio, ne impongano l’unitarietà (es., T.A.R. Lazio, 29/5/2000, n. 4412), o anche la conservazione in un luogo determinato (es.: T.A.R. Lazio, 8/10/2008, n. 8824; T.A.R. Toscana, 23/2/2021, n. 288). E’ ovvio come, in questi casi, la collezione non potrà che rimanere coesa anche dopo la vita del titolare, e ciò non solo e non tanto per volontà di questi (volontà che, nondimeno, potrebbe pure essere così indirizzata), ma per la forza del vincolo posto dalla P.A. nell’interesse generale. In questi casi, comunque, sono ipotizzabili problemi, anche in prospettiva successoria, sebbene per lo più differenti da quelli fino qui ricordati. In caso di vincolo pubblico che disponga la non separabilità della collezione, difatti, mi pare che essa divenga una sorta di bene (giuridicamente) indivisibile, con la conseguenza che, o dovrà essere attribuita per intero a uno solo dei condividenti, attribuendo agli altri, ulteriori e diversi cespiti eventualmente pure compresi nell’asse, oppure conguagli in danaro, o dovrà essere unitariamente venduta, per poi dividere il ricavato. Soprattutto, ma non solo, in questi casi, diventano, infine, di tutta evidenza le notevolissime difficoltà legate alla valutazione della collezione. Quasi diventa testuale, con riferimento al valore di una grande e importante collezione d’arte, per la quale sia stata imposta la conservazione unitaria, magari in un luogo determinato, l’attributo di “inestimabile”, poiché è praticamente impossibile attribuire valore a una simile serie, così vincolata. In verità, anche solo il vincolo di inscindibilità, fa sì che la collezione, se cospicua, divenga praticamente inalienabile. Questo è ancora più vero, poi, se la raccolta debba anche essere mantenuta in un determinato luogo. Solo pochissimi soggetti, infatti, potrebbero avere le risorse per l’acquisto, e anche l’interesse ad esso, qualora la collezione debba restare unita e comunque essere lasciata là dove si trova. Ecco, allora, che, in presenza di uno e di entrambi i vincoli ricordati, tanto maggiore sarà la ricchezza e l’importanza della collezione, tanto minore sarà la probabilità di poterne fare mercato. E tanto più complesso – sebbene necessario, ad esempio per la divisione ereditaria – sarà attribuire ad essa un valore in danaro. La presenza di vincoli pubblici sulla collezione al momento dell’apertura della successione del collezionista, insomma, può creare, sia forte deprezzamento del cespite, sia notevoli e aspre difficoltà nella valutazione di esso. Deprezzamento e difficoltà che si aggravano, a seconda del numero e dell’intensità dei vincoli. Va notato, infine, come problemi ancora maggiori potranno darsi nel caso in cui la collezione non sia vincolata al momento dell’apertura della successione, e uno o più vincoli intervengano successivamente, ma prima che la vicenda successoria si sia chiusa. Poiché, a norma degli artt. 556 e 747 c.c., il momento in cui attribuire il valore a tutti i cespiti riguardati dalla successione, sia dei beni compresi nell’asse, sia di quelli oggetto di donazione, è, sempre e solo, quello dell’apertura della successione stessa (e, dunque, quello della morte del de cuius), assai gravi conseguenze potrà generare l’apposizione di un vincolo sulla collezione successivo a questo momento. Basti pensare, come esempio, al donatario della collezione che sia anche legittimario, e che abbia l’abbia imputata alla propria quota per il valore che aveva all’apertura della successione, prima dell’apposizione del vincolo, e che poi se ne trovi abbattuto il valore dall’apposizione del vincolo.

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Letture consigliate:

L. Castelli, La tutela e la valorizzazione dei beni notificati presenti nelle collezioni private – Dialogo con Antonella Crippa, in Conversazioni in arte e diritto, a cura di L. Castelli e S. Giudici, Torino, 2021, p. 11 ss.;

E. Moustaira, La tutela delle collezioni d’arte tra diritto pubblico e diritto privato: uno sguardo al contesto internazionale, in Aedon, 2018, n. 2;

A. Zorloni, N. Canessa, Gestione, valorizzazione e trasmissione dei patrimoni artistici di famiglia, in Economia e diritto del terziario, 2017, fasc. 1;

A. M. Leozappa, Le collezioni d'arte contemporanea tra diritto di autore e diritto di impresa, in Giur. comm., 2005, p. 680 ss