Il passaggio generazionale delle collezioni di opere d’arte (prima parte)
Il passaggio generazionale delle collezioni di opere d’arte (prima parte)
Abstract
Numerosi sono gli strumenti giuridici, sia inter vivos, sia mortis causa, che un collezionista può utilizzare per gestire il passaggio generazionale della propria raccolta. Ognuno di essi, nondimeno, dovrà tenere conto di importanti norme imperative di diritto successorio, come, anzitutto, quelle che riservano diritti ai legittimari, e come il divieto di patti successori. Specifici problemi, anche dal punto di vista successorio, possono sorgere, poi, qualora la collezione rilevi anche come bene culturale, oggetto di vincoli, attuali o anche solo potenziali, da parte della P.A.
- Premessa
- Definizioni
- Trasmissione della collezione tra vivi, in funzione del passaggio generazionale. La donazione
- (segue) La fondazione
1. Premessa
Il fenomeno del collezionismo in generale, e del collezionismo d’arte, in particolare, è diffuso e rilevante fin da tempi remoti, nel nostro paese e non solo (ad es., per un caso riguardante una collezione di opere d’arte, già raccolta e fatta oggetto di pubblicazione, a Venezia, sul finire del XVIII sec., si veda T.A.R. Lazio, 8/10/2008, n. 8824). Molto spesso, come è noto, anche i grandi patrimoni sono composti pure da importanti raccolte di opere d’arte. Quasi sempre il collezionista, che sovente sente nella collezione che ha raccolto anche una proiezione di sé,
avverte la concreta esigenza di organizzare un adeguato passaggio generazionale di essa, assicurandosi, ad esempio, che ne sia evitato lo smembramento e che ne siano garantite la conservazione, la valorizzazione e, magari, la fruibilità da parte del pubblico.
Questo passaggio può essere realizzato attraverso, sia atti tra vivi, sia disposizioni mortis causa. In entrambi gli scenari, nondimeno, le soluzioni adottate, per reggere e soddisfare la volontà del collezionista che trasmette, dovranno essere rispettose delle regole domestiche di diritto successorio, e, in particolare, tanto della disciplina di tutela dei successori necessari (art. 536 ss. c.c.), quanto del divieto di patti successori (art. 458 c.c.).
2. Definizioni
Ma che cosa è una collezione? Come può essere definita? E, prima ancora, che cosa è e come si può definire un’opera d’arte? In verità, è estremamente complesso trovare appropriate definizioni, che non siano solamente soggettive, tanto di opera d’arte, che di collezione. Del resto, nella prospettiva del collezionista, l’oggetto scelto per la collezione dipende essenzialmente, o dal gusto personale, o, talvolta, anche dal valore di mercato (non ho la possibilità di affrontare qui i tanti profili dell’intreccio tra valore artistico e valore venale di un’opera, o di una collezione di opere), e la composizione della collezione è essa stessa espressiva della personalità e della soggettività del collezionista. Le esigenze di trasmettere, avvertite dal collezionista, che ho indicato in apertura, altresì, saranno presenti e riscontrabili a prescindere, sia da ciò che oggettivamente si possa definire opera d’arte, sia dalla nozione oggettiva di collezione. Tali nozioni, dunque, divengono superflue, almeno fino a che non si pongano problemi legati all’apposizione di vincoli da parte della pubblica autorità. Va ricordato, a questo riguardo, che, laddove la collezione possa rilevare come bene culturale, oggetto di uno o più vincoli, attuali o potenziali, da parte della P.A., rileva la definizione normativa, recata dall’art. 10, 3° co., lett. e), del D.Lgs., n. 42 del 2004.
Secondo tale definizione, è collezione la “serie di oggetti, a chiunque appartenenti, …che, per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali, … ovvero per rilevanza artistica, storica, archeologica, numismatica o etnoantropologica, … rivestano come complesso un eccezionale interesse”.
Ancora ai fini della vincolabilità da parte della P.A., poi, la giurisprudenza amministrativa ha così enucleato i requisiti che una “serie” di oggetti dovrebbe presentare per potersi definire collezione: a) omogeneità; b) identico contenuto tematico; c) appartenenza unitaria; d) identica localizzazione; e) medesima finalità storico/artistica; f) eccezionale interesse storico/artistico (T.A.R. Lazio, 8/10/2008, n. 8824, nella quale si faceva ancora applicazione, peraltro, delle definizioni recate dalla previgente L. n. 1089 del 1939, oggi abrogata e sostituita dal D.Lgs. n. 42 del 2004). Per quanto attiene alle collezioni vincolate, o anche solo vincolabili, peraltro, va ricordato che i problemi che possono sorgere sono altri e diversi rispetto a quelli indicati nel primo paragrafo. A questi differenti aspetti farò qualche cenno, in particolare nell’ultimo paragrafo. Va ricordato, infine, che, secondo la comune indicazione di dottrina e giurisprudenza,
anche le collezioni rientrano tra le universalità di mobili di cui all’art. 816 c.c., ricorrendo in esse la destinazione unitaria, impressa dallo stesso proprietario.
3. Trasmissione della collezione tra vivi, in funzione del passaggio generazionale. La donazione
Il più tradizionale atto, con il quale è possibile trasmettere una collezione inter vivos, anche nella prospettiva del passaggio generazionale, è la donazione. Una tale donazione, per evitare la nullità, con ogni probabilità dovrà essere disposta per atto pubblico, ex art. 782 c.c., poiché ben difficilmente una collezione di opere d’arte potrà essere considerata “di modico valore”, così da ricadere sotto la previsione dell’art. 783 c.c. e da non richiedere la forma solenne (si esclude la modicità di valore per la donazione di una collezione, ad es., in T. Roma, 24/3/2004). Sempre a norma dell’art. 782 c.c., per evitare la nullità, nell’atto si devono anche specificare quali siano le singole opere donate, nonché i valori di ognuna di esse. Con la donazione, tra l’altro, il collezionista può, vita natural durante, conservare a sé il rapporto materiale con la collezione, e questo semplicemente riservandosi l’usufrutto di quanto donato, a norma dell’art. 796 c.c. Inoltre, l’usufrutto può pure essere riservato, dopo la propria morte, a vantaggio di un’altra persona, o anche di più persone insieme (ma non a vantaggio di più persone successivamente, altrimenti si incorrerebbe nel divieto di fedecommesso). In tal modo, il donatario acquisterà la piena proprietà, e otterrà la materiale detenzione della collezione, solo alla morte del disponente (e, eventualmente, pure dell’altra persona a cui il disponente abbia riservato l’usufrutto dopo la propria morte). In questo caso, altresì, viene in rilievo la qualificazione della collezione come universalità di mobili, poiché potrà trovare applicazione l’art. 771, 2° co., c.c., in cui si prevede che,
qualora donata sia un’universalità, e il donante ne conservi il godimento, si considerano donate anche le cose che si aggiungano all’universalità successivamente (e, dunque, anche le opere raccolte dal collezionista successivamente alla donazione), sempre che una diversa volontà non risulti dall’atto.
La donazione, poi, ben si può prestare a realizzare i desideri del collezionista, poiché può essere adeguatamente adattata con l’apposizione di oneri o modus, rivolti, appunto, a dare soddisfazione a particolari esigenze avvertite dal disponente. La donazione, così, potrà essere onerata obbligando il donatario, ad esempio, a riunire e sistemare adeguatamente le opere della collezione (si veda il caso su cui si sono pronunciati: T. Firenze, 30/9/1997; T.A.R. Lazio, 29/5/2000, n. 4412), o a non smembrare la collezione, o a non spostarla, o a non alienarla in tutto o in parte, o, ancora, a esporla, in tutto o in parte, al pubblico (T. Firenze, 16/1/1957). Molti oneri che obblighino a non fare, nondimeno, varranno solo nei limiti dell’art. 1379 c.c.
Ciò sarà, sicuramente, per eventuali obblighi di non alienare, ma potrebbe essere anche per obblighi che, pur non precludendo la vendita della collezione, impongano di non smembrarla e/o non spostarla, sì da renderla assai meno appetibile sul mercato, ove si opini che l’art. 1379 c.c. sia espressione di un principio di generale sfavore verso i vincoli di fonte volontaria, che limitino e rallentino la circolazione della ricchezza. Gli effetti di questi oneri, allora, saranno solo tra le parti della donazione, e non saranno opponibili a eventuali terzi sub-acquirenti dell’intera collezione, o di opere in essa raccolte. Inoltre, l’onere dovrà esprimere un interesse meritevole di tutela (che in questi casi, nondimeno, mi pare sarà quasi sempre ravvisabile) e non potrà essere vincolante oltre un ragionevole limite di tempo.
L’adempimento degli obblighi imposti con l’onere, poi, può essere rafforzato, per il caso di mancato rispetto dell’onere stesso, con la previsione della risoluzione della donazione (T. Firenze, 30.9.1997; T.A.R. Lazio, 29.5.2000, n. 4412; T. Firenze, 16.1.1957, che ha riguardato l’inadempimento di un onere di esporre la collezione, per l’inadempimento del quale la risoluzione fu prevista, non per l’intera donazione, ma solo con riguardo alla donazione delle opere non esposte), e anche con la previsione di una penale. Il più rilevante problema che riguarda la donazione, come strumento per regolare il passaggio generazionale, è, tuttavia, quello dell’instabilità degli assetti con essa disposti. Anzitutto, la donazione può essere revocata, sia per ingratitudine, ex artt. 800 e 801 c.c., sia per sopravvenienza di figli, ex artt. 800 e 803 c.c. In questi casi, nondimeno, l’instabilità degli effetti della donazione è legata (anche) alla volontà dello stesso disponente. In prospettiva di pianificazione del passaggio generazionale, dunque, non son tanto queste le ipotesi di instabilità problematiche, quanto quelle connesse con la tutela dei legittimari. L’assetto attuato con la donazione, infatti, può divenire inefficace per dare soddisfazione ai legittimari, la donazione, sia rilevando per la riunione fittizia, ex art. 556 c.c., sia essendo esposta alla riduzione, ex art. 555 c.c. (inoltre, la donazione, se donatario sia un legittimario, è oggetto dell’imputazione ex se, ed è riguardata dalla collazione, ove donatario sia un figlio o il coniuge, che abbia accettato l’eredità, e se non vi sia stata dispensa). Ad aggravare questo rischio, concorre, altresì, la pratica impossibilità di stabilire con certezza, nel momento in cui una donazione venga disposta, se questa possa ledere le quote riservate ai legittimari, dato che solo al momento dell’apertura della successione del disponente (e non al momento in cui la donazione viene disposta) si può stabilire a quanto ammontino le quote riservate, e a quanto la quota di patrimonio liberamente da lui disponibile.
Infine, la riduzione della donazione, che abbia ad oggetto la collezione, rischia di riportare quella universalità nella comunione ereditaria, così da esporla, poi, agli effetti della divisione ereditaria, e, dunque, agli alti rischi di smembramento, che la divisione ereditaria porta con sé.
Questo, naturalmente, sarà vero solo se la collezione non sia anche oggetto di un vincolo di natura pubblicistica, che ne imponga la conservazione unitaria, in quanto serie di oggetti che rivestono “come complesso un eccezionale interesse” storico/artistico [art. 10, 3° co., lett. e), del D.Lgs., n. 42 del 2004].
4. (segue) La fondazione
Un mezzo sovente utilizzato per la trasmissione delle grandi collezioni di opere d’arte, e quello della costituzione di un’apposita fondazione e della destinazione ad essa della collezione. Ove la fondazione sia costituita per atto tra vivi, sarà richiesto l’atto pubblico. In esso (o nello statuto) dovranno essere indicati: il patrimonio di cui la fondazione viene dotata, che dovrà comprendere, non solo la collezione (sempre che la fondazione non abbia lo scopo solo di gestire le opere, senza acquistarne anche la proprietà), ma anche risorse liquide o facilmente liquidabili adeguate alla gestione della collezione stessa; lo scopo (sovente, anche se ormai non sempre, di utilità sociale); gli organi e magari anche le persone che dovranno impersonarli (e qui i ruoli potrebbero essere attribuiti proprio a uno o più familiari del collezionista); i poteri degli organi; la denominazione e la sede; i criteri di erogazione delle eventuali rendite (criteri che non potranno però mai essere tali da consentire un lucro soggettivo).
All’atto costitutivo, poi, dovrà seguire il riconoscimento, da parte del Prefetto o della Regione, a seconda della figura di fondazione che ricorra. Con la fondazione, oltre a vantaggi fiscali, il passaggio generazionale presenta, per il collezionista, ad es., i vantaggi di: proteggere la collezione da smembramento e disgregazione; proteggere la collezione dall’aggressione di eventuali creditori personali del collezionista (anche se l’atto di fondazione resta comunque esposto, secondo le regole generali, all’azione revocatoria); rendere possibile la crescita della collezione con nuove acquisizioni; valorizzare la collezione, e renderla magari meglio fruibile dal pubblico; assoggettare la gestione della collezione ad un maggiore controllo, anche pubblico. Tra gli svantaggi si può rammentare come, in molti casi (cioè in quelli in cui la fondazione non abbia lo scopo solo di gestire le opere, senza acquistarne anche la proprietà), la destinazione della collezione in fondazione, ne faccia perdere irreversibilmente la proprietà, sia al collezionista, sia agli eredi di lui. Inoltre, non sarà più consentito, né al collezionista, né ai suoi eredi, alcun lucro soggettivo, nemmeno nel caso di estinzione della collezione, poiché, come è noto, in tal caso la P.A. destinerà la residua dotazione di essa (e dunque anche la collezione stessa), ad un nuovo ente che abbia scopi analoghi. Infine, i controlli pubblici, se per un verso possono meglio garantire al collezionista/fondatore la realizzazione degli scopi della fondazione, per altro verso potrebbero pure costituire un impaccio per gli organi di gestione di essa.
Venendo ora alle relazioni con le regole di diritto successorio, si deve sottolineare come la costituzione e la dotazione di una fondazione siano considerate dalla migliore dottrina donazioni indirette.
Liberalità, dunque, che, ai sensi dell’art. 809 c.c., come le donazioni contrattuali, rileveranno per la riunione fittizia, ex art. 556 c.c., e saranno esposte alla azione di riduzione, ex art. 555 c.c., quando ciò sia necessario per reintegrare le quote riservate ai legittimari. Anche per la fondazione, poi, valgono i rilievi svolti nel paragrafo precedente, riguardo all’impossibilità, nel momento in cui l’atto viene compiuto, di avere certezza che l’atto stesso non violi le quote riservate ai legittimari, e anche con riguardo alla Fondazione, perciò, si pone in essere un assetto che potrebbe risultare instabile, e che potrebbe venire meno, allorché ciò fosse necessario per soddisfare i legittimari, con la conseguenza che la collezione potrebbe comunque ricadere nella comunione ereditaria, ed essere riguardata dagli effetti della divisione, così da correre il rischio di essere disgregata (anche in questo caso, sempre che la collezione non sia oggetto di un vincolo di natura pubblicistica, che ne imponga la conservazione unitaria, come già sottolineato al termine del paragrafo precedente). (segue)