La successione a titolo particolare nel diritto controverso

Pianta a colori
Ph. Riccardo Radi / Pianta a colori

Abstract

La presente disamina affronta l’interessante e controversa questione della regolamentazione del fenomeno successorio, nel suo duplice aspetto di successione a titolo universale e di successione a titolo particolare, nel processo in Cassazione.

 

Indice:

1. La regolamentazione del fenomeno successorio

2. La successione a titolo particolare ex articolo 111 Codice Procedura Civile

3. Riflessi sul giudizio di legittimità

 

1. La regolamentazione del fenomeno successorio

Lo studio della regolamentazione del fenomeno successorio, nel suo duplice aspetto di successione a titolo universale e di successione a titolo particolare, parte dall’analisi di un caso concreto che ha visto la Corte Suprema di Cassazione decidere per l’inammissibilità di un intervento del successore a titolo particolare nel giudizio di legittimità, non essendo configurabile una fase processuale in cui possa aver rilievo un intervento in senso proprio del terzo, se non nel quadro della posizione assunta di ricorrente e controricorrente (Cass. civ. Sez. III, 13 giugno 2019, n. 15883).

La pronuncia trae origine da un complesso “intreccio” fra diversi Istituti bancari, che, anche al fine di meglio comprendere i principi di diritto enucleati dei giudici di legittimità, è opportuno brevemente ricostruire.

La Banca Antoniana Popolare Veneta s.c.a.r.l. (poi divenuta Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a.) proponeva azione di risarcimento danni nei confronti di un legale, per un illecito aquiliano consistito nell’avere indotto la Banca Nazionale dell’Agricoltura (società incorporata da quella attrice per fusione) alla concessione di un importante affidamento creditizio al proprio coniuge, dando in pegno, a titolo di garanzia, delle azioni, in realtà inesistenti.

Con la sentenza di primo grado il Tribunale accoglieva la domanda attorea dichiarando simulato il contratto di cessione di quote societarie. Tale sentenza veniva poi confermata dalla Corte d’appello nel giudizio di secondo grado. La parte soccombente formulava allora ricorso per cassazione contro la Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a.. Al ricorso resisteva, con controricorso, la CFT Finanziaria s.p.a. adducendo, al fine di giustificare la propria legittimazione, di essere la cessionaria del credito della succitata Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a.. La CFT Finanziaria s.p.a. si costituiva in Cassazione con due nuovi difensori in sostituzione del precedente, in forza di mandato conferito con scrittura privata autenticata, con una “memoria”, che veniva notificata anche alla Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., quale incorporante la Banca Antonveneta s.p.a. (nata come Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a.). Sia la parte ricorrente sia la parte resistente depositavano memorie in vista dell’udienza pubblica. Nella stessa udienza di discussione, inoltre, depositava una procura notarile con allegati, Prelios Credit Servicing s.p.a., dichiarando di agire non in proprio, bensì quale procuratrice della Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., in forza di procura speciale rilasciata da Banca Antonveneta s.p.a.

In sintesi dunque: nel caso di specie la società finanziaria CFT, nel costituirsi in giudizio, affermava, sia pur implicitamente, di essere legittimata a partecipare al processo per il fatto di trovarsi nella titolarità attiva del diritto di credito al risarcimento danni, a suo tempo fatto valere, nel giudizio di primo grado, dalla Banca intimata. Quanto a Prelios Credit Servicing s.p.a., invece, la stessa faceva il suo ingresso nel processo in cassazione, dichiarando di essere mandataria del soggetto successore a titolo universale della Banca contro la quale il ricorso era stato proposto.

 

2. La successione a titolo particolare ex articolo 111 Codice Procedura Civile

La particolarità della fattispecie concreta porta ad interrogarsi, in primo luogo, sull’ammissibilità o meno dell’ingresso nel giudizio davanti alla Corte di Cassazione di un soggetto che non era stato parte nei precedenti gradi di merito, per essersi verificata un’ipotesi di successione a titolo particolare ai sensi dell’articolo 111 Codice Procedura Civile.

A tal proposito giova ricordare come l’orientamento prevalente in giurisprudenza sia nel senso che, nel giudizio di legittimità, il successore a titolo particolare nel diritto controverso può ben impugnare per cassazione la sentenza di merito, entro i termini di decadenza, ma non può intervenire nel giudizio di legittimità, mancando un’espressa previsione normativa, la quale gli consenta di presenziare in tale giudizio, con facoltà di esplicare difese, assumendo una “veste atipica” rispetto alle altre parti, che hanno partecipato al giudizio di merito.

La decisione che si annota, pur dando atto del suindicato indirizzo interpretativo, ne prende le distanze e giunge all’opposta conclusione: un soggetto, che non era stato parte in senso formale nei precedenti gradi, ma che nel frattempo ha acquistato la posizione giuridica attiva oggetto del giudizio, può intervenire per la prima volta in sede di legittimità. La motivazione della soluzione raggiunta viene ricondotta al disposto dell’articolo 111, comma 4º, Codice Procedura Civile il quale espressamente assoggetta il successore all’esito del giudizio fra le parti originarie.

In effetti l’argomento pare cogliere nel segno: il legislatore, infatti, dopo aver stabilito che se nel corso del processo si trasferisce il diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare, il processo continua fra le parti originarie, allorché sancisce l’estensione degli effetti della decisione di merito anche nei confronti del successore, dimostra di assegnare a quest’ultimo una posizione processuale in tutto e per tutto parificata a quella della parte originaria.

Per questo motivo il successore, se sceglie di intervenire nel giudizio, con ciò divenendo parte in senso processuale, giacché parte in senso sostanziale lo era già, non deve incontrare impedimenti. È lo stesso articolo 111, comma 3º, Codice Procedura Civile a sottolineare come il successore a titolo particolare possa intervenire “in ogni caso”, senza distinzioni o limitazioni ricollegate alle diverse fasi del processo.

Del resto, un’ulteriore conferma della posizione fatta propria dalla cassazione, e qui condivisa, riposa nelle disposizioni del codice di procedura civile. Da un lato, la collocazione topografica dell’articolo 111 Codice Procedura Civile nelle disposizioni del libro primo, che hanno, in assenza di indicazioni contrarie, applicazione generale. Dall’altro, il rilievo che l’intervento in esame rappresenta una forma di partecipazione del terzo non riconducibile agli schemi di cui all’articolo 105 Codice Procedura Civile, avendo differenti presupposti e diverse conseguenze.

Orbene, come noto, l’articolo 344 Codice Procedura Civile sancisce, a chiare lettere, l’inammissibilità, salvo eccezioni, dell’intervento di terzi in appello. Tale regola – dalla quale si è ricavata l’inammissibilità dell’intervento volontario del terzo in sede di giudizio per cassazione – si giustifica con il fatto che la partecipazione di un nuovo soggetto, il quale non abbia preso parte al processo di primo grado, implica necessariamente la proposizione di una domanda nuova. Ciò non vale rispetto al successore a titolo particolare nel diritto controverso: il cessionario, infatti, essendo divenuto nel corso del processo l’effettivo titolare del diritto in contestazione, non può considerarsi né terzo né portatore di nuove richieste.

Questa soluzione, inoltre, è l’unica che risponde all’esigenza della tutela del diritto di difesa.

Pertanto, alla luce delle considerazioni che precedono, l’intervento del successore ai sensi dell’articolo 111 Codice Procedura Civile nel processo contro il proprio dante causa deve ritenersi ammissibile sia nel giudizio di appello sia in quello davanti alla Suprema Corte. Quel che va sottolineato, però, è che l’intervento deve avvenire nel rispetto delle forme tipiche del giudizio di cassazione, cioè mediante notifica del controricorso, nei termini previsti per il resistente, da effettuarsi sia alla controparte, sia al suo dante causa, parte originaria del giudizio.

 

3. Riflessi sul giudizio di legittimità

Il secondo profilo sul quale la sentenza in oggetto induce a riflettere attiene agli effetti della fusione fra società sui processi pendenti e, segnatamente, sul giudizio di legittimità.

Si tratta, come è noto, di un problema intorno al quale da anni dottrina e giurisprudenza si sono confrontate; e, sebbene, a onor del vero, il confronto non abbia prodotto risultati unanimi, lo stesso aveva portato al convincimento in assoluto maggioritario secondo il quale la fusione, sul versante processuale, determinando il “venir meno” della società incorporata o che ha partecipato alla fusione, comportava l’applicazione dell’articolo 110 Codice Procedura Civile, con conseguente interruzione del processo.

Sul punto è intervenuto anche il legislatore, il quale, riformando nel 2003 l’articolo 2504 bis Codice Civile, ha disposto che la società risultante “dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione”.

La modifica normativa, tuttavia, non ha eliminato dubbi e incertezze, tant’è che il recente révirement giurisprudenziale inaugurato dalle Sezioni Unite con la nota sentenza del 2006, pur proclamando che è stato “definitivamente chiarito” il ruolo (insieme agli effetti sostanziali e processuali) del fenomeno della fusione di società, ha, in realtà, destato un acceso dibattito, segno evidente della diversità di opinioni al riguardo.

La richiamata pronuncia della Suprema Corte, poi seguita da altre decisioni consonanti, ha ritenuto che in base alla nuova formulazione dell’articolo 2504 bis Codice Civile, la fusione di società configuri una vicenda meramente evolutivo-modificativa del medesimo soggetto giuridico, senza la produzione di nessun effetto successorio ed estintivo, con la conseguenza che essa non comporta interruzione del processo in cui sia parte una società coinvolta nella fusione.

In proposito si è osservato come la riforma del 2003 abbia definitivamente escluso che la fusione comporti, a norma degli articoli 110, 299 e 300 Codice Procedura Civile, l’interruzione del processo in cui sia parte una società partecipante ad una fusione, come dimostrerebbe anche il dato testuale dell’articolo 2504 bis Codice Civile, il quale non si riferisce più, come di contro faceva il precedente testo della norma, alla società incorporata o alle società partecipanti alla fusione in termini di “società estinte”.

In realtà, come ben sottolineato da autorevole dottrina, anche oggi la questione circa le conseguenze che si verificano sui processi pendenti allorché la società subisce una fusione, può ricevere astrattamente tre diverse risposte, tutte compatibili con l’attuale disposto dell’articolo 2504 bis Codice Civile.

Si può pensare di collocare la società fusa nella stessa identica posizione di un de cuius e la società incorporante nella posizione dell’erede; oppure si può ipotizzare un’unificazione della società fusa e della società incorporante, in modo che la seconda società appaia, ai fini della disciplina del procedimento, come il frutto della trasformazione della prima; o, ancora, si può immaginare che ciascuna delle due società continui a vivere per conto proprio, in modo da trattare la vicenda come se i rapporti giudici transitassero dall’una all’altra in virtù di un atto particolare inter vivos.

È di tutta evidenza come l’accoglimento di una tesi piuttosto che di un’altra abbia importanti ricadute pratiche: infatti, se si sceglie la prima soluzione, si rientrerà nella disciplina dell’articolo 110 Codice Procedura Civile; se si opta invece per la seconda, si arriverà alla conclusione che la società fusa debba rimanere nel processo, ma con una veste diversa (dopo la fusione, infatti, essa si trasforma nella società incorporante, e, dunque, sia pur in una nuova veste, è già presente); se infine a prevalere fosse la terza, si dovrebbe fare applicazione dell’articolo 111 Codice Procedura Civile.