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Il contrappasso del processo mediatico

Se le cose di interesse culturale esportate sono sotto la soglia di valore cade il reato
opera d'arte
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Il contrappasso del processo mediatico

Se le cose di interesse culturale esportate sono sotto la soglia di valore cade il reato

 

La puntata di Report in cui è caduta in diretta televisiva l’ipotesi di reato contestata ad un noto politico per gentile concessione del giornalista che avrebbe auspicato una sua condanna, la ricorderemo per un bel pezzo.

Il dipinto, di cui la Procura contestava l’esportazione illegale, attribuendolo molto generosamente a un pittore francese caravaggista, era stato compravenduto per diecimila euro e, quindi, game over, il grave reato ipotizzato, per contrappasso, era diventato proprio, in diretta televisiva, durante la celebrazione dell’ennesimo processo mediatico, una mera sanzione amministrativa, simile a quella che veniva comminata al tempo del COVID al quamvis de populo che dimenticava il terribile “foglino” voluto da Conte per permetterci di uscire di casa per comprare i generi di prima necessità.

Quel tempo da caccia alle streghe in cui un padre di Pordenone era stato denunciato in pandemia perché uscito per comprare la Playstation per i suoi figli, per aver dichiarato che si trattasse di un bene necessario “per trascorrere le prossime tre settimane chiusi in casa” (e come dargli torto…), per l’arte non è mai finito.

I dipinti e le opere, in genere, vivono, tuttora, in perenne lockdown, rinchiusi all’interno del territorio nazionale, salvo rarissime eccezioni, una delle quali, è stata introdotta dal governo Franceschini, per “liberare”, almeno la circolazione delle croste[1], identificate più gentilmente con le opere di valore inferiore a 13.500,00 euro benanche di autore deceduto da oltre 70 anni, e stabilendo che il valore coincida il prezzo di compravendita, ove avvenuta.

La condotta che è stata contestata agli indagati si era verificata nella vigenza ratione temporis dell’art. 174 d. lgs 42/2004, che prevedeva “Chiunque trasferisce all'estero cose di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico, nonché quelle indicate all'articolo comma 1, lettere f), g) e h), senza attestato di libera circolazione o licenza di esportazione, è punito con la reclusione da uno a quattro anni o con la multa da euro 258 a euro 5.165”. L’articolo è stato abrogato dall'art. 5, comma 2, lett. b), della L. 9 marzo 2022, n. 22 e la condotta è ora punita dall’art. 518 undecies cp che prevede ancora che “Chiunque trasferisce all'estero beni culturali, cose di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico o altre cose oggetto di specifiche disposizioni di tutela ai sensi della normativa sui beni culturali, senza attestato di libera circolazione o licenza di esportazione, è punito con la reclusione da due a otto anni e con la multa fino a euro 80.000. La pena prevista al primo comma si applica altresì nei confronti di chiunque non fa rientrare nel territorio nazionale, alla scadenza del termine, beni culturali, cose di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico o altre cose oggetto di specifiche disposizioni di tutela ai sensi della normativa sui beni culturali, per i quali siano state autorizzate l'uscita o l'esportazione temporanee, nonché nei confronti di chiunque rende dichiarazioni mendaci al fine di comprovare al competente ufficio di esportazione, ai sensi di legge, la non assoggettabilità di cose di interesse culturale ad autorizzazione all'uscita dal territorio nazionale”.

Tra la fattispecie di cui all’abrogato art. 174 d. lgs 42/2004 e quella punita dall’art. 518 undecies c.p., la giurisprudenza si è pronunciata in favore della sussistenza della continuità normativa (Cass. pen., Sez. III, Sentenza, 15/06/2023, n. 36265), purtuttavia, per il caso che ci occupa, il primo comma dell’art. 518 undecies c.p., circoscrive ancora soltanto come condotta penalmente rilevante i soli casi di esportazione senza “attestato di libera circolazione” o “licenza di esportazione”, senza menzionare i casi di esportazione di cosa di interesse culturale in assenza dell’’“autocertificazione” prevista dal art. 68, comma IV° bis del Codice dei Beni Culturali.

Essendo stata, la detta norma, oggetto di riforma in data posteriore all’entrata in vigore della legge 4 agosto 2017 n. 124 voluta dal governo Franceschini per liberalizzare la circolazione dei beni artistici di poco valore (fino a 13.500,00 euro), non può certamente essere frutto di un difetto di coordinamento normativo.

Attesi i principi di tassatività e determinatezza della norma penale (nullum crimen sine lege) ed il divieto di analogia in campo penale non può costituire reato l’esportazione in assenza di autocertificazione ma soltanto la sanzione amministrativa di cui all’art. 165 CBC (Violazione di disposizioni in materia di circolazione internazionale) che prevede “fuori dei casi di concorso nel delitto previsto dall'articolo 174, comma 1[2], chiunque trasferisce all'estero le cose o i beni indicati nell'articolo 10, in violazione delle disposizioni di cui alle sezioni I e II del Capo V del Titolo I della Parte seconda, è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 77,50 a euro 465”.

Tale tesi è condivisa unanimemente dalla dottrina che ritiene il 518undecies c.p­. “applicabile però soltanto nelle ipotesi nelle quali vi sia un obbligo di preventiva autorizzazione per l’uscita del bene, poiché in caso contrario la mera mancata presentazione di una dichiarazione preventiva circa la libera esportabilità del bene integra al più l’illecito amministrativo previsto dall’art. 165 del codice dei beni culturali[3] e ancora che “laddove quindi la res, rientrante nelle tipologie per le quali non è richiesta preventiva autorizzazione, sia esportata senza aver adempiuto a tale onere, si ricadrà nell’area di applicazione dell’illecito amministrativo previsto dall’art. 165 CBC”.[4][5]

Non è, infatti, soggetta ad autorizzazione, ma solo a particolari oneri dichiarativi da parte dell’interessato l'uscita; “a) delle cose di cui all'art. 11, comma 1, lett. d) (le opere di pittura, di scultura, di grafica e qualsiasi oggetto d'arte di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad  oltre settanta anni); b) delle cose che presentino interesse culturale, siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, il cui valore sia inferiore ad Euro 13.500, fatta eccezione per le cose di cui all'allegato A, lettera 8, numero 1".(art. 65, comma 4, così come modificato dalla legge summenzionata) “.

Nel nostro caso il venditore ha confermato ai cronisti che il dipinto era stato venduto al prezzo di € 10.000,00 e, come tale rientra/va tra quelli non soggetti ad autorizzazione per l’uscita dal territorio nazionale in ragione della cosiddetta “soglia di valore” indicata in € 13.500,00. Tali beni, esclusi reperti archeologici, reperti derivanti dallo smembramento di monumenti, incunaboli e manoscritti, sono soggetti di diritto al regime di libera circolazione e a una mera dichiarazione ai sensi del d.p.r.28 dicembre 2000 n. 445.

Nel caso di cui alla lettera b), il privato che intenda esportare tali cose (sempre che non siano già colpiti da vincolo) è libero di farlo. Soltanto "l'interessato ha l'onere di comprovare al competente ufficio di esportazione, mediante dichiarazione ai sensi del testo unico di cui al D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, che le cose da trasferire all'estero rientrino nelle ipotesi per le quali non è prevista l'autorizzazione, secondo le procedure e con le modalità stabilite con decreto ministeriale. Il competente ufficio di esportazione, qualora reputi che le cose possano rientrare tra quelle di cui all'art. 10, comma 3, lett. d-bis), avvia il procedimento di cui all'art. 14, che si conclude entro sessanta giorni dalla data di presentazione della dichiarazione"(art. 65, comma 4- bis introdotto dalla legge summenzionata). Il D.M. n. 246 del 2018 all’art. 7 disciplina minuziosamente le "procedure relative alle cose eseguite da oltre 70 anni con valore inferiore a 13.500 Euro".

Tale disciplina prevede, fra l'altro, che il valore della cosa sia comprovato all'ufficio esportazione mediante la documentazione ivi elencata (fotografie; nel caso di compravendita risalente a non oltre tre anni, fatture da cui risulti prezzo di aggiudicazione o prezzo di vendita o dichiarazioni congiunta delle parti, in caso di cessione fra privati, resa davanti a un pubblico ufficiale da cui risulti il prezzo di acquisto; negli altri casi stima di un perito iscritto all'albo o da parte dello stesso ufficio). La Suprema Corte ha stabilito che “il trasferimento all’estero di cose di interesse culturale di non eccezionale rilevanza di cui all’art. 65, comma 3, lett. a), d. lgs. n. 42 del 2004, diverse da quelle di cui all’allegato A, lettera B n. 1, e di valore pari o inferiore ad € 13.500,00, non integra il reato di cui all’art. 174, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004. Le modifiche introdotte dall’art. 175, comma 1, lett. g), nn. 1 e 2, legge 4 agosto 2017, n. 124, in quanto incidono sulla struttura del reato di cui all’art. 174, d. lgs. n. 42 del 1004, restringendone l’ambito applicativo, si applicano anche ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore” (Cass., Pen sez. III, 17 ottobre 2017 (dep. 8 marzo 2018, n. 10468) e che “normalmente, dunque, tutte le cose che presentano interesse culturale e che rispettano i requisiti del novellato art. 65, comma 3, lett. b), d.lgs. n. 42 del 2004 possono circolare liberamente ed uscire dal territorio della Repubblica, a meno che non presentino un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico eccezionale per l'integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione” (Cassazione penale, sezione III, sentenza 8 marzo 2018, n. 10468). Il regime di detti beni è ben illustrato nella sentenza del Tar Lazio 05861/2021 del 19 maggio 2021 che ha interpretato in senso abrogativo parte della circolare 24 maggio 2019, n. 13, e a proposito del regime delle autocertificazioni ha molto ben chiarito che “l’art. 65, comma 4 bis, sottrae talune opere a tale regime autorizzatorio, stabilendo che “nei casi di cui al comma 4, l’interessato ha l’onere di comprovare al competente ufficio di esportazione, mediante dichiarazione ai sensi del testo unico di cui al d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, che le cose da trasferire all’estero rientrino nelle ipotesi per le quali non è prevista l’autorizzazione, secondo le procedure e con le modalità stabilite con decreto ministeriale. Il competente ufficio di esportazione, qualora reputi che le cose possano rientrare tra quelle di cui all’articolo 10, comma 3, lettera d-bis), avvia il procedimento di cui all’articolo 14, che si conclude entro sessanta giorni dalla data di presentazione della dichiarazione”. In definitiva, in luogo dell’attestato di libera circolazione, la norma ha previsto una autocertificazione in ordine alla riconduzione del bene alle categorie per le quali il comma 4 prevede che l’uscita dal territorio nazionale “non è soggetta ad autorizzazione”. Tuttavia, tali opere, quand’anche corrispondenti alla tipologia descritta dal comma 4, possono ugualmente essere rese oggetto della dichiarazione di interesse culturale di cui all’art. 14, nei casi previsti dall’art. 10, comma 3, lett. d-bis (anch’esso introdotto dall’art. 1, comma 175, della legge n. 124 del 2017). Ciò accade quando “le cose, a chiunque appartenenti”, presentino “un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico eccezionale per l’integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione”. Tuttavia, tali opere, quand’anche corrispondenti alla tipologia descritta dal comma 4, possono ugualmente essere rese oggetto della dichiarazione di interesse culturale di cui all’art. 14, nei casi previsti dall’art. 10, comma 3, lett. d-bis (anch’esso introdotto dall’art. 1, comma 175, della legge n. 124 del 2017). Ciò accade quando “le cose, a chiunque appartenenti”, presentino “un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico eccezionale per l’integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione”.

Secondo il TAR Lazio “la pretesa dell’ufficio esportazione di ricondurre “in via analogica” tale fattispecie a quella disciplinata dall’art. 68 non trova alcun fondamento nella legge, che, anzi, all’opposto ha cura di escludere l’ipotesi per cui è causa dal regime dell’autorizzazione, e perciò dalla normativa sostanziale e procedimentale che ad esso soltanto si riferisce”. Se l’opera in oggetto fosse stata presentata con autocertificazione, dichiarando il prezzo effettivamente pagato per il trasferimento, pari a € 10.000,00, la Soprintendenza avrebbe avuto soltanto tre possibilità: (a) rilasciare una copia timbrata della autocertificazione al dichiarante; (b) in caso di dichiarazione mendace, presentare un esposto all’autorità competente; (c) dare avvio ad un procedimento di dichiarazione di eccezionale interesse che deve concludersi con provvedimento della Direzione Generale entro 60 giorni dalla data di presentazione dell’autocertificazione Come ha rilevato Vaiano, in Beni culturali e ambientali, Giappichelli, Torino, 2018, p. 108 «al fine di garantire la tracciabilità dell’uscita, rimane a carico dell’interessato l’onere di comprovare al competente ufficio di esportazione, mediante dichiarazione ai sensi del T.U. di cui al D. P. R. 28 dicembre 2000 n. 445, che le cose da trasferire all’estero rientrino nelle ipotesi per le quali non è prevista l’autorizzazione». ll Decreto Ministeriale 246/2018 ha stabilito regole precise sulla documentazione che bisogna allegare all’autocertificazione per provare che il bene oggetto della stessa sia sottosoglia. Se la cosa è stata oggetto negli ultimi tre anni di una vendita all’asta o mediante trattativa privata, oltre alle fotografie sarà necessaria la fattura da cui risulti il prezzo, al netto di oneri (commissioni, diritti di seguito, spese di trasporto ed assicurative). Se la vendita è avvenuta tra privati – sempre negli ultimi tre anni – sarà sufficiente una copia del contratto o, in mancanza, una dichiarazione congiunta delle parti davanti ad un pubblico ufficiale. Se la cosa è esportata per essere venduta all’asta, occorrerà una foto del catalogo d’asta, ovvero del mandato a vendere da cui risulti che la stima massima è inferiore a 13.500 euro ovvero una dichiarazione in tal senso sottoscritta dalla casa d’aste. In ogni altro caso, si potrà allegare una dichiarazione di un perito iscritto all’albo dei Ctu di un tribunale ovvero si potrà affidare alla stima dell’ufficio esportazione. In questi casi, quindi, è legittimo ritenere che si possa depositare la documentazione richiesta a comprova, supplendo ex post all’onere di comprovazione a carico dell’interessato, senza timore di essere coinvolti in una diatriba di perizie sul valore, che non sono ammissibili in caso di bene “sotto-soglia” di valore.

Nel nostro caso manca la dichiarazione congiunta davanti al pubblico ufficiale, ma vi sono dichiarazioni disgiunte davanti a quasi due milioni di spettatori TV che, ci pare, possano essere ampiamente bastevoli, perché in sostanza, se per i beni sopra la soglia di valore di 13.500 euro è punita l’esportazione delle cose d’interesse culturale se non accompagnata dal provvedimento autorizzatorio, a prescindere dal fatto che l’“autorizzazione” possa essere in concreto rilasciata, e dalla dichiarazione di interesse culturale. Per i beni ”sotto-soglia”, invece, la formale dichiarazione di interesse eccezionale per l’integrità e completezza del patrimonio è l’elemento costitutivo del reato. Secondo gli Ermellini, infatti, (Cass. pen., Sez. III, Sentenza, 15/06/2023, n. 36265) l’autocertificazione è “a ben vedere di una procedura di esportazione semplificata, ma non del tutto libera, in quanto l'uscita del bene dal territorio nazionale è pur sempre soggetta ad un controllo da parte dello Stato che si esercita attraverso l'iter definito dal decreto ministeriale sopra richiamato”, ma “solo funzionale a negare la esportabilità del bene, qualora lo stesso sia ritenuto di interesse eccezionale per l'integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione” e solo attraverso il procedimento di dichiarazione di eccezionale interesse.

Il dipinto del caso televisivo non è stato dichiarato di eccezionale interesse culturale, anche se in televisione non l’hanno detto.

La sentenza della Suprema Corte da ultimo citata ha, pertanto, cassato con rinvio indicando che “il giudice del rinvio, nel valutare al confiscabilità del bene, è tenuto a valutare la astratta configurabilità della fattispecie di reato di cui all'art. 518 undecies c.p., così come integrata dalla normativa del D.Lgs. n. 42 del 2004, nella sua completezza e a considerare che la rilevanza penale della condotta di esportazione permane anche con riferimento a beni di autore non più vivente, la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, di valore inferiore a 13.500 Euro, laddove il bene sia dichiarato di eccezionale rilevanza, dopo la necessaria attivazione della procedura di cui all'art. 65, comma 4- bis, cit., dettagliata nel Decreto Ministeriale” e ciò nonostante il perito nominato in sede di incidente di esecuzione avesse accertato si trattasse di un bene del valore di 5.000,00 euro e quindi sotto soglia, ritenendo che l’unico “contraddittore” nel caso di un bene di valore inferiore a € 13.500,00 fosse stato esportato, la Soprintendenza dei beni culturali, unica deputata a valutare se il bene fosse o meno di eccezionale importanza per l’integrità del patrimonio culturale attraverso il procedimento di dichiarazione.

Per comprendere cosa si intenda per eccezionale importanza, basta rammentare che la sentenza da ultimo citata, riguarda il caso del, cosiddetto Crocifisso Gallino, acquistato dallo Stato italiano per tre milioni duecentocinquanta mila euro, ritenendo erroneamente si trattasse di una scultura lignea di mano di Michelangelo, sulla base delle conferme attributive di Gentilini, Paolucci, Acidini, Baldini, Bellosi, Ferretti e Zeri.

La sentenza ultimo precedente in materia (bene “sotto-soglia” esportato senza autocertificazione, ma attribuito dal gotha degli storici dell’arte al Buonarroti), introduce due importanti principi.

Il primo è quello di escludere qualunque rilevanza delle perizie e valutazioni dei consulenti del PM e del GIP (ed osiamo dire anche esperti televisivi) in tema di valore e di attribuzione, troppo aleatorie e mutevoli per trovare spazio nel processo penale, riportando anche il reato nell’esatto ambito amministrativo che è quello dell’autocertificazione in cui hanno valore soltanto le dichiarazioni dell’interessato e la congruità dei documenti che il dichiarante/interessato offre a comprova.

Il secondo aspetto è quello di individuare come unici soggetti deputati a “superare” le dichiarazioni dell’interessato, anche ai fini della penale rilevanza, gli uffici esportazione presso la Soprintendenza dei Beni Culturali, mediante il procedimento di cui all’art. 14 del Codice dei Beni Culturali.

Considerato che la dichiarazione di eccezionale interesse per l’integrità del patrimonio può essere formulata in qualunque momento e non soltanto al momento di presentazione dell’autocertificazione, vista la grande eco mediatica che ha avuto il caso, si può ragionevolmente ipotizzare che non essendo mai stato avviato il procedimento per la declaratoria dell’eccezionale importanza, “l’integrità del Patrimonio Culturale” possa essere preservata senza la confisca dell’ennesima crosta di un dipinto perduto e già ben rappresentato nelle collezioni in pubblica fruizione, tanto più che nessuno degli esperti di riferimento dell’autore, tra cui non rientra il noto politico indagato, si è espresso a conferma dell’attribuzione al pittore caravaggesco indicato dagli inquirenti.

Considerato, inoltre, che, oltre al Crocifisso Gallino, esposto in permanenza al Museo del Bargello, come opera di "Anonimo intagliatore fiorentino", lo Stato ha già acquisito alle sue pubbliche collezioni anche La Bella Principessa, un falso ancora più eccellente, in forza di sentenza condanna per esportazione illegale[6], un’opera che lungi da essere, il ritratto di Bianca Sforza di mano di Leonardo Da Vinci, altri non era che quello di Sally, una commessa dì supermercato, ritratta da un famoso falsario  reo confesso nel 1978 che ha addirittura narrato le sue prodezze nella sua autobiografia[7], forse, la lista dei generosi “abbagli di Stato” potrebbe ritenersi conclusa.

 

[1] Termine usato nel gergo antiquario per indicare i dipinti di modesta fattura che riprendono lo stile dei Maestri,

[2] La norma reca ancora il riferimento all’art. 174 CBC, benché l’articolo sia stato soppresso a seguito dell’entrata in vigore della legge L. 9 MARZO 2022, N. 22, il 23 marzo 2022:

[3] N.Recchi, Una prima lettura della recente riforma della tutela penalistica dei beni culturali in Aedon n. 2, 2022 al link https://aedon.mulino.it/archivio/2022/2/recchia.htm#nota35 (consultato il 22 maggio 2024)

[4] A. Visconti, La repressione del traffico illecito di beni culturali nell’ordinamento italiano. rapporti con le fonti internazionali, problematiche applicative e prospettive di riforma, in La legislazione penale 2021 al link :https://www.lalegislazionepenale.eu/wp-content/uploads/2021/12/Visconti-Approfondimenti-09.12.2021.pdf (consultato il 22 maggio 2024).

[5] In senso conforma si vedano anche: G.P. Demuro, sub Art. 165 D.lgs. 22.1.2004 n. 42, in LP 2004, 24, 3, 439; P. Cerbo, sub Art. 165, in Il codice dei beni culturali, cit., 682 s.; M.A. Sandulli, C. Magrì, sub Art. 165, in Codice dei beni culturali, Giuffré, 2019, 1438-1441.

[6] Cass. Pen., Sez. III, sentenza 8 marzo 2018, n. 10468;