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Il caso D'Annunzio v/s Scarpetta

Scarpetta
Scarpetta

Il caso D'Annunzio v/s Scarpetta

Nota del curatore, Carlo Eligio Mezzetti

 

COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA

(sicut, simul)

 

D’Annunzio v./ Scarpetta

(1908)

 

FATTO

Gabriele D’Annunzio ha convenuto in giudizio (rectius, denunciato per contraffazione) Eduardo Scarpetta, per l’asserita violazione del suo diritto di proprietà intellettuale sul dramma “La figlia di Iorio” (ma, a ben vedere, per lesa maestà).

Il drammaturgo napoletano si era recato dal Vate per sottoporgli il manoscritto del suo “Il figlio di Jorio”, in cui con détournement la tragedia diveniva commedia, e si invertivano parti maschili e parti femminili. D’Annunzio, dopo aver imposto debita anticamera, si era sganasciato dalle risate, acconsentendo alla rappresentazione della parodia. Salvo poi, con espediente da astuto pennivendolo, rifiutare di confermare in forma scritta e, anzi, inviare un telegramma di divieto in extremis, quando già stava per andare in scena la prima, nonché assoldare manutengoli per il boicottaggio della rappresentazione.

E’ seguita querela per plagio e un’istruttoria durata quattro anni circa, oltre che aspro dibattito tra gli intellettuali circa le ragioni della cultura popolare rispetto alla cultura alta. Consulente tecnico di parte per Scarpetta, Benedetto Croce.

 

DIRITTO

Per la prima volta in Italia un tribunale si occupa di parodia.

Tra i diritti fondamentali dell’uomo, per affermare i quali si sono scatenate rivoluzioni, combattute guerre, versato sangue, ve n’è uno seminale (si perdoni l’anglicismo): la libertà di pensiero e conseguentemente d’espressione. Chi non ha parola non ha l’arma minima per difendere se stesso e rivendicare il suo posto nel mondo, rivendicare la sua dignità e tutto ciò che ne consegue.

Questo diritto ha due corollari non secondari per un autore: di rivolgersi al pubblico, anziché al principe di turno, per trarre sostentamento dalla propria opera; e correlativamente di sbeffeggiare quel principe, così che il pubblico appaghi quella naturale esigenza umana che è ridere.

Nascono così il diritto d’autore e la libertà di satira. E nascono proprio insieme: grazie allo Statuto della Regina Anna (Gran Bretagna, 1709) scrittori, attori e poeti iniziarono a satireggiare i potenti che sino al giorno prima erano loro mecenati. Ma lì si era ancora legati a un regale privilegio conferito ai cartolai. Decenni si dovranno attendere perché la proprietà intellettuale sia definita “la più sacra, la più personale, di tutte le proprietà” (Le Chapelier, relazione all’Assemblea Nazionale francese, 1791… fu ghigliottinato un paio d’anni dopo…). Qualche anno prima Rousseau proclamava non condivido nulla di  ciò che dici, ma darei la vita perché tu possa dirlo.

Proprietà intellettuale e libertà di parola sono come due vecchi coniugi che procedono a braccetto, sostenendosi l’un l’altro, e pronti a dare la vita l’uno per l’altro. Perché questo può accadere: se l’uno o l’altro non recede, talvolta necessità impone che l’uno o l’altro soccomba. E quando si rinviene un genuino scarto semantico tra l’opera senior e quella junior, è la libertà d’espressione dell’autore di quest’ultima a prevalere, e il diritto di proprietà intellettuale sulla prima a soccombere.

Di questo si parla qui.

Tutto ciò premesso, assumiamo le seguenti (non rassegnate)

 

CONCLUSIONI

Accertato e dichiarato il diritto di satira e parodia, Eduardo Scarpetta assolto dall’accusa di plagio.

N.B.: questo articolo è la prefazione dell'avvocato Carlo Eligio Mezzetti al libro in via di pubblicazione da parte della IOD Edizioni di Napoli curato dallo stesso Carlo Eligio Mezzetti con traduzione dal napoletano di Michele Zizzari proprio dedicato al caso giudiziario D'Annunzio v/s Scarpetta.

 

La foto di copertina è tratta dallo storico testo " 'A Causa mia" dello stesso Eduardo Scarpetta