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Successione ereditaria: impossibile la rinuncia senza inventario nei 3 mesi

Colori
Ph. Fabio Toto / Colori

Al momento del decesso della persona, al fine di evitare precarietà nella gestione dei beni e, al contempo, garantire la continuità dei rapporti patrimoniali, si apre la successione, vale a dire quel fenomeno per cui un soggetto subentra ad un altro nella titolarità di uno o più diritti o rapporti giuridici.

I rapporti trasmissibili sono quelli che non si estinguono con la morte del soggetto, vale a dire i diritti patrimoniali assoluti (proprietà, altri diritti reali e le relative azioni), tranne quelli personalissimi come l’usufrutto, l’uso, l’abitazione; i rapporti non patrimoniali - personalissimi (diritti della personalità) o familiari (matrimonio, potestà parentale) - si estinguono, invece, con la morte del titolare.

La successione può essere “legittima”, quando non è stato lasciato testamento ed è la legge a stabilire chi siano gli eredi[1] e per quali quote[2], in base al grado di parentela con il defunto,

testamentaria” se il defunto - attraverso un testamento redatto nelle forme prescritte dalla legge - ha manifestato la propria volontà in ordine agli eredi e alla devoluzione del proprio patrimonio o, ancora, “necessaria”, prevista quando il testatore abbia disposto dei propri beni, ma nel mancato rispetto dei diritti garantiti dalla legge ai congiunti più stretti, a cui spetta sempre di diritto una quota di eredità (c.d. legittima o quota di riserva).

La chiamata comporta in capo al chiamato la facoltà di accettare o rinunciare all’eredità, tuttavia nell’intervallo che intercorre tra la morte dell’ereditando e l’accettazione del chiamato, il patrimonio ereditario rimane privo di un titolare. Per assicurare la gestione del patrimonio durante questa fase gli artt. 528 ss. del codice civile prevedono la specifica figura dell’eredità giacente, che ricorre quando non sia ancora intervenuta accettazione da parte del chiamato e lo stesso non si trovi in possesso dei beni ereditari; sia stato nominato - su istanza di qualsiasi interessato[3] motivata da un’esigenza concreta di provvedere ad atti che non possano essere rinviati - un curatore dell’eredità giacente, che provvede all’amministrazione e alla conservazione del patrimonio.

Nel caso in cui non sia stato nominato il curatore, non si verifica giacenza, ma una mera vacanza dell’eredità: in questa ipotesi al chiamato sono concessi alcuni limitati poteri, quali azioni possessorie in caso di spoglio o turbativa di possesso (art. 460 comma 1 c.c.) e atti conservativi di vigilanza e amministrazione temporanea (art. 460 comma 2 c.c.).

Con l’accettazione si assume la qualità di erede, subentrando così in tutti i rapporti patrimoniali attivi e passivi del de cuius. Questa deve avvenire entro dieci anni dalla morte, mediante dichiarazione resa a un notaio o a un cancelliere (accettazione espressa) oppure compiendo atti che presuppongono la qualità di erede (accettazione tacita) e non può essere revocata. Qualora si fosse incerti se accettare o meno è possibile ricorrere all’accettazione con beneficio d’inventario ex articolo 484 del codice civile: in tal caso verrà, quindi, redatto inventario di tutti i beni e diritti rientranti nel patrimonio del de cuius e del loro valore cosicché, in caso di sussistenza di debiti, gli eredi risponderanno entro e non oltre il limite del valore complessivo risultante dall’inventario.

Gli articoli 519 e seguenti del codice civile disciplinano, invece, la rinuncia, vale a dire l’atto - espressa dichiarazione scritta da effettuarsi di fronte ad un notaio o presso la cancelleria del tribunale - con cui il chiamato dichiara di non accettare l’eredità e, di conseguenza, di non subentrare nella posizione giuridica del de cuius (ai sensi dell’articolo 521, primo comma, del codice civile, “chi rinunzia all’eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato”). Trattasi di negozio giuridico unilaterale, revocabile e non recettizio, che non può essere assoggettato a termini e condizioni, pena la nullità di tutto l’atto, ai sensi e per l’effetto dell’articolo 520 del codice civile.

Poiché la legge nulla precisa in merito ai termini per la rinuncia dell’eredità, dottrina e giurisprudenza hanno interpretato estensivamente l’articolo 480 del codice civile, stabilendo che la rinuncia va effettuata entro 10 anni dall’apertura della successione (o dalla delazione) per poter essere considerata valida.

Un minoritario orientamento giurisprudenziale[4] sostiene, quale presupposto della rinuncia, la necessità di eseguire prima l'inventario. Tale conclusione appare però quasi paradossale agli occhi della dottrina[5], giacché il chiamato dovrebbe sostenere costi ed eventuali ricorsi alle Autorità Giudiziarie quando il più delle volte non è nemmeno interessato a sapere cosa comprenda l'eredità.

La prassi è, dunque, costante nel non richiedere la preventiva redazione dell'inventario dell'eredità che sarà in seguito oggetto di rinuncia.

Diversa però il caso in cui il chiamato sia in possesso dei beni del de cuius: l'articolo 485 del Codice Civile dispone che "il chiamato all'eredità, quando a qualsiasi titolo è nel possesso di beni ereditari, deve fare l'inventario entro tre mesi dal giorno dell'apertura della successione o della notizia della devoluta eredità. Se entro questo termine lo ha cominciato ma non è stato in grado di completarlo, può ottenere dal tribunale del luogo in cui si è aperta la successione una proroga che, salvo gravi circostanze, non deve eccedere i tre mesi. Trascorso tale termine senza che l'inventario sia stato compiuto, il chiamato all'eredità è considerato erede puro e semplice. Compiuto l'inventario, il chiamato che non abbia ancora fatto la dichiarazione a norma dell'articolo 484 c.c. ha un termine di quaranta giorni da quello del compimento dell'inventario medesimo, per deliberare se accetta o rinunzia all'eredità. Trascorso questo termine senza che abbia deliberato, è considerato erede puro e semplice".

Dalla lettura del dispositivo si deduce che se l'inventario non è stato eseguito o non è stato completato nei termini, il chiamato si considera erede puro e semplice e perde non solo la facoltà di accettare l'eredità con beneficio di inventario, ma anche quella di rinunciare alla stessa.[6] 

Allo stesso modo potrà essere considerato erede puro e semplice se la dichiarazione di rinuncia non viene fatta nel termine di quaranta giorni dall'inventario.

La ratio della norma deriva dall'esigenza di tutelare i terzi creditori dall'eventuale sottrazione dei beni ereditari da parte di chi poi rinuncia all'eredità, ponendo quindi in pericolo la soddisfazione degli stessi. 

Resta indubbio che, anche laddove sia stato effettuato l’inventario nel termine di 3 mesi e la dichiarazione di rinuncia nei successivi 40gg, il chiamato rinunciante dovrà rilasciare i beni, altrimenti sarà considerato erede, poiché la sua condotta integrerebbe l’ipotesi di accettazione tacita di eredità per facta concludentia

Il rinunziante può revocare la sua decisione e accettare l'eredità fino alla prescrizione del relativo diritto, salva l'avvenuta acquisizione dei beni da parte di altri chiamati e senza pregiudizio degli eventuali diritti acquisiti da terzi sui singoli beni dell'eredità.

Accettazione e rinuncia possono essere impugnati solo per violenza o dolo e non per errore, salvo che si tratti di errore ostativo, ossia che cada sulla dichiarazione.[7]

I creditori del rinunciante, se pregiudicati - anche senza frode - dalla rinuncia, possono farsi autorizzare ad accettare l’eredità in nome e luogo del rinunciante, al solo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari e senza che il chiamato assuma la qualità di erede contro la sua volontà.

 

[1] Ai sensi dell'art. 565 c.c., sono eredi legittimi il coniuge, i discendenti, gli ascendenti, i collaterali, gli altri parenti e lo Stato.

[2] Ai sensi degli artt. 566-586 c.c., l'eredità viene trasmessa interamente ai figli, e va suddivisa in parti uguali tra gli stessi, nel caso in cui il defunto non abbia lasciato un coniuge supersite, oppure viene trasmessa interamente al coniuge in assenza di altri successibili (figli, ascendenti, fratelli e sorelle); viceversa, il coniuge ha diritto alla metà dell'eredità in presenza di un solo figlio, al quale spetta l'altra metà, e ad un terzo dell'eredità se concorre con due o più figli, ai quali spettano i rimanenti due terzi. 

Se il coniuge concorre con gli ascendenti e/o i fratelli e le sorelle del de cuius, spettano due terzi dell'eredità al primo e un terzo ai secondi, salvo il diritto degli ascendenti a conseguire un quarto dell'eredità. In presenza dei soli ascendenti, l'eredità spetta per metà alla linea paterna e per l'altra metà alla linea materna. In presenza dei soli collaterali di secondo grado, l'eredità va suddivisa in parti uguali, ma i fratelli e le sorelle con padri o madri diversi conseguono la metà della quota rispetto a coloro che hanno i medesimi genitori. 

In caso di concorso tra ascendenti e parenti collaterali di secondo grado, l'eredità si suddivide per capi, ma ai genitori non può essere attribuita una quota inferiore alla metà. In assenza di coniuge, figli, ascendenti, collaterali di secondo grado e nipoti la successione si apre in favore del parente più prossimo entro il sesto grado. Se non vi sono parenti entro il sesto grado l'eredità viene devoluta di diritto e senza possibilità di rinuncia allo Stato, il quale, a norma dell'art. 586 c. 2 c.c., accetta con beneficio d’inventario, rispondendo quindi degli eventuali debiti e dei legati intra vires nei limiti del valore dei beni acquistati.

[3] Chiamati, legatari, creditori ecc…

[4] Cass. sent. n. 4845/2003

[5] G. GROSSO e A. BURDESE, Le successioni, cit., p. 303; L. FERRI, Disposizioni generali sulle successioni, cit., p. 135, C. COPPOLA, La rinunzia all’eredità, in Tratt. dir. succ. don. Bonilini, I, Milano, 2009, p. 1596; G. PRESTIPINO, Delle successioni in generale, artt. 456-535, in Comm. c.c. De Martino, Roma, 1981, p. 456; V. CUFFARO, Rinuncia e accettazione dell’eredità: considerazioni sul disposto dell’art. 527 c.c., cit., c. 289 ss.; L. COVIELLO, Diritto successorio, cit., 343 ss., 351 ss. e 518 ss.; L. CARIOTA FERRARA, Le successioni per causa di morte, cit., 492;; G. PRESTIPINO, Delle successioni in generale, cit., 477, ove si sottolinea come una sottrazione o un nascondimento avvenuti dopo la rinunzia siano meri «atti illeciti»; G. AZZARITI, Le successioni e le donazioni, Padova, 1982, p. 162. A. CICU, Successioni per causa di morte. Parte generale. Delazione e acquisto dell’eredità. Divisione ereditaria, in Tratt. dir. civ. comm. Cicu e Messineo, 2a ed., Milano, 1961, p. 216.

[6] Cass. n. 7076/1995, conformi Cass. n. 4845/2003 e Cass. ordinanza n. 5862/2014.

[7] Cass. n. 13735/2009.