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Pericolosità idrogeologica e rinuncia alla proprietà

Nota di commento all'ordinanza n. 233/2024 di rimessione del Tribunale de L'Aquila alla Suprema Corte
Alba d'inverno
Ph. Giacomo Martini / Alba d'inverno

Pericolosità idrogeologica e rinuncia alla proprietà
 

In merito alla questione se il privato, proprietario di un terreno sottoposto a vincolo di pericolosità idrogeologica, possa rinunciare al suo diritto di proprietà trasferendo così alla PA tutti i connessi obblighi di manutenzione, si possono sostenere due tesi:

la rinuncia è illegittima ex artt. 44 Costituzione, 823 c.c. e 850 c.c.;

la rinuncia è legittima ex artt. 42 Costituzione, 1 comma 2 DPR 327/2001 e 30 comma 2 del D.lgs. 104/2010

 

Regarding the question of whether the private individual, owner of land subject to hydrogeological hazard restrictions, can renounce his ownership rights, thus transferring all the related maintenance obligations to the PA, two theses can be supported:

the waiver is illegitimate pursuant to articles. 44 Constitution, 823 c.c. and 850 civil code;

the waiver is legitimate pursuant to articles. 42 Constitution, 1 paragraph 2 of Presidential Decree 327/2001 and 30 paragraph 2 of Legislative Decree. 104/2010

 

Il Tribunale di L'Aquila, con ordinanza n. 233 del 17.01.2024, nella causa avente R.G. n. 329/2021, ha disposto, ex art. 363 bis c.p.c., il rinvio pregiudiziale degli atti alla Suprema Corte di Cassazione per la risoluzione della questione di diritto attinente all'ammissibilità della rinuncia abdicativa al diritto di proprietà su beni immobili nonché all'eventuale indicazione del perimetro del sindacato giudiziale sull'atto

Nella fattispecie, gli attori (Ministero delle Finanze ed Agenzia del Demanio) contestavano che i beni immobili oggetto di rinuncia da parte dei convenuti, proprietari degli stessi, erano tutti sottoposti a Vincolo Pericolosità elevata P2 - del PAI (Piano di Assetto Idrogeologico) redatto dalla Regione, e che quindi tali proprietari avevano voluto traslare - in maniera illecita- sulla collettività i rischi e costi connessi alla loro gestione.

La questione, pertanto, è la seguente: può il privato rinunciare, mediante atto notarile, al diritto di proprietà su un bene soggetto ad un vincolo idrogeologico, ossia ad una situazione di acclarata pericolosità, trasferendo in capo alla PA l’onere di provvedere alla relativa manutenzione?

 

Tesi secondo cui la rinuncia al diritto di proprietà non può essere ritenuta legittima

La Costituzione, all’art. 44, attribuisce alla legge il potere di imporre “obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, nonché “la bonifica delle terre”, ossia oneri di manutenzione che incombono in via esclusiva sul proprietario. Il fatto che tali oneri siano previsti dalla Costituzione induce a ritenere che l’adempimento dei medesimi assuma un carattere “imperativo”, e che pertanto il privato non possa sottrarsi ad essi, mediante rinuncia al diritto di proprietà.

Ai sensi dell’art. 823 c.c., alla PA spetta soltanto la tutela dei beni che fanno parte del “demanio pubblico”, ed è solo in relazione a questi ultimi che la stessa può agire sia con gli strumenti propri del diritto amministrativo, sia con i mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso previsti dal codice.

Da ciò si deduce che per i beni non demaniali, ossia di proprietà di privati, la relativa tutela è di competenza esclusiva del privato, e solo nel caso di inottemperanza di quest’ultimo, provvede la PA a spese di lui. Quindi, dovrebbe essere previsto che la rinuncia al diritto di proprietà non possa essere fatta fin quando il proprietario non abbia ottemperato.

Il codice civile, all’art. 850, disciplina i c.d. “consorzi a scopo di ricomposizione fondiaria”, che vengono costituiti tra i proprietari di terre confinanti l’una con l’altra e ciascuna delle quali è inferiore alla “minima unità colturale”, ossia a quella soglia di estensione del terreno che è necessaria e sufficiente per esercitare una conveniente coltivazione secondo le regole della buona tecnica agraria.

Ebbene, il consorzio può disporre, ai fini sopra indicati, anche il trasferimento coattivo dei terreni, eccezion fatta per quelli “soggetti a inondazioni, a scoscendimenti o ad altri gravi rischi” (art. 852 n. 6 c.c.).

Cosa vuol dire ciò? Che la manutenzione di questi terreni non può essere trasferita dal proprietario al consorzio, ma deve restare di competenza esclusiva del proprietario.
 

Tesi secondo cui è legittima la rinuncia al diritto di proprietà
 

L’art. 42 Costituzione prevede, al comma 2, che “la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”. La Costituzione assegna alla legge il compito di porre limiti al diritto di proprietà i quali siano funzionali alla tutela di un interesse pubblico ritenuto di rilevanza superiore a quello del proprietario. I suddetti limiti sono non quelli che si pone il privato stesso rinunciando volontariamente ad esercitare le facoltà insite nel diritto di proprietà, come accaduto nel caso in commento, ma quelli che la legge impone al medesimo in funzione della tutela di interessi pubblici. Ciò è reso ancor più esplicito dal comma 3, il quale stabilisce che “la proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale”.

Una conferma di quanto sopra si rintraccia anche nell’art. 832 c.c., a norma del quale “il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dall'ordinamento giuridico”. Anche qui “i limiti” e “gli obblighi” sono concepiti per diminuire il godimento del proprietario, e non anche per vietare al medesimo di rinunciare al diritto di proprietà.

Pertanto, se ne dovrebbe ricavare che, non essendo previsto dalla Costituzione alcun “obbligo” del privato a mantenere il suo diritto di proprietà, sia del tutto legittima una rinuncia al medesimo. E, del resto, anche il codice civile qualifica come pienamente leciti gli atti di rinuncia al medesimo diritto: l’art. 1350 c.c. prevede che debbano farsi per atto pubblico o per scrittura privata, sotto pena di nullità, “gli atti di rinuncia” al diritto di proprietà.

Il DPR 327/2001 – Testo Unico in materia di espropri – prevede che “si considera opera pubblica o di pubblica utilità anche la realizzazione degli interventi necessari per l'utilizzazione da parte della collettività di beni o di terreni, o di un loro insieme, di cui non è prevista la materiale modificazione o trasformazione” (art. 1 comma 2).

Quindi, l’esproprio può essere disposto non soltanto allo scopo di modificare un terreno che non presenta alcuna criticità dal punto di vista ambientale e che pertanto non è caratterizzato da alcun elemento di pericolo per la collettività, ma anche al fine di consentire a quest’ultima un “pacifico utilizzo” (la norma, infatti, parla di “utilizzazione”) del medesimo, ossia un godimento che sia privo di qualsiasi controindicazione per la comunità. Pertanto, in questo secondo caso, la finalità dell’esproprio è quella di consentire alla PA l’esecuzione delle necessarie opere di messa in sicurezza del terreno, affinchè la comunità, o parte di essa, ne possa “pacificamente” fruire.

Ciò posto, il DPR (artt. 46 – 48), quando disciplina la retrocessione, non prevede che quest’ultima non possa essere chiesta dal proprietario il quale, prima dell’esproprio, si era disinteressato degli obblighi manutentivi, né tanto meno prevede che egli possa domandare la retrocessione a condizione che sottoscriva un atto con cui si impegni solennemente, verso la PA, a provvedere a ciò una volta che la domanda sarà stata accolta.

Cosa si evince da tutto ciò? Che, comunque, un “qualche” obbligo di manutenzione di aree di proprietà privata l’Ente pubblico lo ha, a prescindere da quella che possa essere stata l’inerzia del privato. E siffatto obbligo può essere adempiuto dalla PA appunto mediante l’attivazione di un procedimento, qual è quello di esproprio. Se al proprietario fosse vietato inderogabilmente di rinunciare alla proprietà, per far in modo che egli non eluda gli obblighi manutentivi, il suddetto procedimento dovrebbe poter essere attivato solo allo scopo di realizzare opere pubbliche su beni i quali non presentano, morfologicamente, nessuna criticità, e cioè solo per opere aventi una finalità di arricchimento del tessuto urbanistico e non anche per finalità di prevenzione di eventuali danni derivanti dal territorio. Ma così non è: lo dimostra il fatto che l’esproprio può essere disposto anche per scopi di difesa militare (art. 51 DPR), ossia per compiere attività che sono volte non alla realizzazione di opere di abbellimento e di arricchimento del patrimonio urbanistico ma all’edificazione di strutture aventi carattere di presidio e di tutela del medesimo, e cioè le stesse strutture che sono finalizzate a prevenire danni derivanti da dissesto idrogeologico (come quelle di cui all’ordinanza in commento).

Allora, se la realizzazione di tali strutture può essere fatta anche dalla PA, non ha senso sostenere che dall’altra parte vi è un “divieto assoluto” per il proprietario di privarsi definitivamente del bene, mediante appunto un atto di rinuncia alla proprietà, e quindi di esentarsi in tal modo dagli obblighi di manutenzione.

Al limite, potrebbe essere stabilito che, nel caso di accertata negligenza del privato in merito agli obblighi di manutenzione, il corrispettivo dovuto per l’esproprio subisca una consistente riduzione, ma sembra eccessivo configurare nei confronti del privato un “divieto di rinuncia al diritto di proprietà”.

Quanto sopra evidenziato trova conferma anche nella disciplina del codice civile: l’art. 867, relativo ai terreni sottoposti a vincolo idrogeologico, prevede che “al fine del rimboschimento e del rinsaldamento i terreni vincolati possono essere assoggettati a espropriazione”.

Il fatto che sia espressamente previsto, in capo alla PA, il potere di esproprio, indica l’eventualità di una inerzia del proprietario nell’osservanza degli obblighi a lui imposti, inerzia che potrebbe anche sfociare in definitiva rinuncia al diritto di proprietà.

Non è da escludersi che, per il proprietario, provvedere agli obblighi di manutenzione del terreno possa essere “eccessivamente oneroso”.

L’art. 30 comma 2 del D.lgs. 104/2010 (di seguito “CPA”) prevede che il privato, nel caso di lesione di interessi legittimi, possa richiedere la reintegrazione in forma specifica se ciò non risulta “eccessivamente oneroso” per la PA: ciò per via del richiamo operato dalla norma all’art. 2058 c.c. .

L’eccessiva onerosità della prestazione, se può esentare la PA, il cui provvedimento sia stato accertato come illegittimo, dall’obbligo di ripristinare, a favore del privato, la situazione antecedente la lesione, dovrebbe poter esentare il privato (proprietario) dall’obbligo di adempiere ad obblighi di manutenzione che siano divenuti per lui economicamente insostenibili. Il mantenimento del titolo di proprietà su di un bene le cui spese siano divenute elevate può indurre a ritenere come non più conveniente conservare tale titolo.

Si rifletta poi su quanto segue.

Il privato, rinunciando al diritto di proprietà su un’area caratterizzata da criticità idrogeologica, quanto meno è un soggetto il quale si è astenuto dal costruire su tale area, e che quindi ha evitato di peggiorare la situazione di criticità, a differenza di coloro i quali, invece, avendo costruito su un’area contrassegnata da vincolo di inedificabilità, hanno poi di fatto costretto la PA ad attivare il procedimento di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi previsto dall’art. 27 del DPR 380/2001. Nel primo caso, il privato quanto meno ha evitato alla PA di instaurare un procedimento sanzionatorio, e quindi ha adottato un comportamento che, pur essendo stato inerte per quel che attiene alla manutenzione, è stato comunque “responsabile” poiché è consistito nel non aggravare una situazione di per sé già critica.

Nel primo caso, accanto alla “colpa grave” (vedi mancata manutenzione) vi è stata “prudenza e buona fede” (vedi mancata costruzione), nel secondo caso vi è stato il “dolo” (ossia aver costruito pur sapendo che non si poteva).