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La diseredazione

Fiori di pesco
Ph. Maria Cristina Sica / Fiori di pesco

Cenni sul contenuto del testamento

Il contenuto del testamento, a norma dell’art. 587 c.c., può essere patrimoniale, e anche non patrimoniale. Le disposizioni testamentarie a contenuto patrimoniale, poi, secondo l’opinione largamente dominante, possono essere anche altre e ulteriori, rispetto all’istituzione di erede e alla disposizione di legato, espressamente previste all’art. 588 c.c. Si pensi, in primo luogo, all’onere o modus, testualmente contemplato all’art. 647 c.c., il quale, secondo la migliore e più consolidata dottrina, può essere anche la sola disposizione contenuta dal testamento, così da gravare sui chiamati individuati dalla legge.

Si pensi, ancora, alle disposizioni sanzionatorie, versate nel testamento allo scopo di rafforzare l’esecuzione di un’altra disposizione. Esse possono essere, ad esempio, la penale testamentaria, e la disposizione risolutiva della chiamata ad erede e del legato, per il caso di inadempimento di una o più obbligazioni che il testatore abbia caricato sull’erede che ha chiamato o sul legatario che ha beneficato. Si possono richiamare, altresì, le disposizioni testamentarie “negative”, come, ad esempio, il divieto di compiere determinati atti, e, tra essi, in particolare, atti di alienazione di diritti trasmessi con la successione.

Disposizione “negativa”, inoltre, viene definita la diseredazione, che, secondo la migliore dottrina, e da un paio di lustri anche secondo la giurisprudenza di Cassazione (C. 8352/2012), può essere inserita nel testamento, con piena validità.

 

La diseredazione. Nozione

Con la diseredazione, il testatore esclude dalla propria successione uno o più successibili legittimi. Un esempio di diseredazione potrebbe suonare così: “escludo dalla mia successione mio fratello Castore”, o anche: “escludo dalla mia successione mio fratello Castore e tutti i suoi discendenti”, ove il testatore voglia impedire anche l’operare della rappresentazione in favore dei discendenti dell’escluso (in questa direzione, cfr., C., 26062/2018.

Per l’operare della rappresentazione a favore dei discendenti del diseredato, se non diseredati a loro volta, C. 11195/1996). Ci si può domandare quale sia l’utilità pratica della diseredazione, dato che, alcuni osservano, lo stesso risultato di esclusione di alcuni successibili legittimi sembrerebbe poter essere raggiunto ugualmente, attraverso la sola chiamata testamentaria del successibile legittimo che si vuole come erede, e con il silenzio riguardo a quelli che non si vogliono. A questo rilievo si è replicato, nondimeno, che la sola chiamata in positivo di alcuni successibili legittimi, e non di altri, non garantisce il testatore che i non chiamati non possano venire alla successione, poiché questo potrebbe comunque accadere, nel caso in cui i chiamati non potessero o non volessero accettare.

Con la diseredazione, viceversa, i successibili legittimi esclusi non potrebbero, mai e a nessun titolo, venire alla successione. Svolte queste osservazioni, ci si può comunque domandare se, in generale, sia valida la disposizione negativa di diseredazione, con la quale non si chiama alla successione, ma si esclude dalla successione. Va dapprima precisato, al riguardo, che non è possibile, né con la diseredazione, né altrimenti, privare i propri legittimari dei diritti che la legge riserva loro sulla successione (in giurisprudenza, di recente, T. Pavia, 18.10.2021).

Giova ulteriormente sottolineare, poi, come non possa essere validamente diseredato quel particolare successibile legittimo che è lo Stato. Una disposizione di diseredazione dello Stato, difatti, sarebbe nulla per contrarietà all’ordine pubblico, in quanto il meccanismo di chiamata dello Stato come collettore di ultima istanza dell’eredità, risponde all’incomprimibile interesse generale a individuare, sempre e comunque, almeno un erede, in ogni successione per causa di morte. Al di là di questi due casi, resta tuttavia da chiedersi se la diseredazione abbia validità in generale.

 

Sulla validità della diseredazione

Gli orientamenti riguardo alla generale validità della diseredazione sono più di uno, e possono essere sintetizzati come segue. Secondo un’opinione, anzitutto, la diseredazione sarebbe da considerarsi nulla, in quanto mossa da sentimenti quali il risentimento, l’astio, la vendetta, e, dunque, quale espressione di interessi non meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico, come previsto, per i contratti atipici, all’art. 1322, 2° co., c.c.

A ciò si replica, nondimeno, che la norma dell’art. 1322, 2° co., c.c. non si potrebbe applicare a una disposizione testamentaria, sia perché dettata in materia di contratto, sia perché dettata in materia di contratto atipico, mentre il testamento è un negozio ben tipizzato dal legislatore. Non va dimenticato, tuttavia, come vi sia chi contesta la validità della diseredazione, in quanto fondata su sentimenti immeritevoli, non già invocando l’applicazione anche ad essa dell’art. 1322, 2° co., c.c., quanto, piuttosto, invocando il contrasto di essa con un generale principio, immanente in tutto il diritto privato, secondo il quale la volontà negoziale potrebbe portare ad effetti solo se rispettosa del dovere costituzionale di solidarietà. La posizione della giurisprudenza, poi, per molto tempo ha riconosciuto la validità della diseredazione, solo ove la disposizione di esclusione fosse affiancata da una disposizione attributiva, di chiamata.

La sola disposizione “escludo dalla mia successione mio fratello Castore”, perciò, sarebbe stata invalida (C., 18.6.1994, n. 5895; C., 23.11.1982, n. 6339; A. Catania, 28.5.2003; T. Reggio Emilia, 27.9.2000), mentre sarebbe stata valida la disposizione così configurata: “istituisco erede universale mio fratello Polluce, ed escludo dalla mia successione mio fratello Castore”. In una variante di questo orientamento, si riteneva possibile ravvisare anche implicitamente la disposizione attributiva, così da salvare la diseredazione (C., 18.6.1994, n. 5895; C. 23.11.1982, n. 6339).

Un esempio di una disposizione siffatta avrebbe potuto essere: “tra i miei due fratelli, Castore e Polluce, diseredo Castore”, così da chiamare, sebbene implicitamente, Polluce. Gli argomenti a sostegno di questa posizione furono più d’uno, e, tra essi, si può ricordare la lettura del verbo “attribuire”, ripetutamente utilizzato dal legislatore all’art. 588 c.c., come attributivo del corretto significato al vocabolo “dispone”, di cui all’art. 587, 1° co., c.c. Con il testamento, insomma, si sarebbe potuto disporre solamente attribuendo, mentre la diseredazione, se solitaria, non avrebbe attribuito, ma avrebbe escluso. A ciò è stato replicato, per un verso, che, ormai pacificamente, gli artt. 587 e 588 c.c. non esauriscono il possibile contenuto del testamento, e, per altro verso, che anche escludendo si attribuisce ai non esclusi, sebbene non direttamente.

Altro argomento, poi, era quello, già ricordato, dell’immeritevolezza degli interessi perseguiti dal testatore con la diseredazione. Ma di questo, si è scritto poco sopra. A partire dal 2012, comunque, la Cassazione, su suggerimento della migliore dottrina, ha ritenuto valida anche la sola diseredazione, non accompagnata, nemmeno implicitamente, da una chiamata o istituzione “in positivo”, e ciò sia perché la diseredazione non è vietata espressamente da alcuna norma, sia poiché, con essa, viene comunque dettato dal testatore il regolamento dei rapporti patrimoniali per il tempo successivo alla sua morte (C. 8352/2012. In precedenza, analogamente orientate, ad es.: App. Genova, 16.6.2000; T. Catania, 28.3.2000. Successivamente, T. Pavia, 18.10.2021).

 

Diseredazione e indegnità

Può ancora essere sottolineato, da ultimo, come ben diversa dalla diseredazione sia l’indegnità a succedere.

Quest’ultima è un’esclusione dalla successione che ha la propria fonte nella legge (artt. 463 ss., c.c.), e che si fonda sulla grave offesa arrecata dal potenziale successibile alla persona fisica o alla sfera morale del defunto, o uno stretto familiare di lui, nonché alla libertà testamentaria del defunto medesimo. I casi di indegnità sono tassativi e sono, essenzialmente, elencati all’art. 463 c.c.

Essa si distingue bene dalla diseredazione per almeno due aspetti. In primo luogo, l’indegnità deriva dalla legge, mentre la diseredazione ha fonte nella volontà del de cuius. In secondo luogo, l’indegnità fa perdere i diritti successori anche ai legittimari, mentre con la diseredazione si possono escludere solo i successibili legittimi, e non i legittimari.

Almeno una menzione, infine, va compiuta del curioso ibrido introdotto dal legislatore con l’art. 448-bis c.c., aggiunto al codice con la riforma della filiazione del 2012. In quella disposizione di prevede, difatti, che i genitori decaduti dalla responsabilità genitoriale sui figli in particolari ipotesi, possano essere dai figli stessi anche esclusi dalla successione. Al di là della ben scarsa rilevanza pratica della previsione, essa appare eccentrica perché reca un’ipotesi in cui l’esclusione dalla successione riguarda anche i diritti riservati, ma non discende automaticamente dalla legge, e dipende dalla volontà del de cuius, benché presupponga pure una violazione specificamente prevista dalla legge.

Letture consigliate:

G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Milano, 2020, X ed., p. 282 ss.

E. Cinotti, Riflessioni sulla diseredazione e, in particolare, sull’ammissibilità della diseredazione di un legittimario, in giustizicivile.com, 2020, p. 16 ss.;

R. Catalano, La diseredazione: profili storici e questioni attuali, in Riv. notar., 2017, I, p. 741 ss.

S. Delle Monache, Le fattispecie di diseredazione, in Giust. civ., 2017, p. 877 ss.

M. Tatarano, La diseredazione. Profili evolutivi, Esi, Napoli, 2012.