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Gli animali possono ereditare? O sia, degli “Aristogatti” italiani

visioni
Ph. Sara Caliolo / visioni

Abstract

Ne’ “Gli Aristogatti”, noto film Disney di animazione, alcuni mici vengono chiamati per testamento alla successione della loro padrona. Nella realtà e nel nostro ordinamento, ciò non potrebbe accadere, poiché da noi l’animale, che non ha capacità giuridica generale, né capacità successoria, non può essere chiamato validamente ad una successione per causa di morte. Le cure all’animale caro, nondimeno, potrebbero venire imposte dal testatore ad uno o più onerati, attraverso un modus o onere. Utili a tale scopo, altresì, potrebbero talvolta immaginarsi anche la fondazione o il trust.

 

Gli “Aristogatti”.

Chi appartiene alla mia generazione, ben ricorda il film di animazione Gli Aristogatti (The Aristocats), prodotto da Walt Disney nel 1970. Sintetizzo in poche righe la primissima parte della trama del film, per coloro che, appunto, della mia generazione non siano. Nella

Parigi dei primi del ‘900, insieme alla ricca cantante lirica in pensione Adelaide Bonfamille, vivono la bellissima gatta Duchessa e i suoi tre splendidi cuccioli: Minou, Matisse e Bizet. La signora Bonfamille fa testamento, e, non avendo parenti in vita, dispone che la sua fortuna sia ereditata dai suoi gatti, nonché, dopo la morte dell’ultimo di questi, che l’asse passi a Edgar, maggiordomo della signora. Il maggiordomo, venuto a conoscenza del contenuto del testamento, non essendo disposto ad aspettare che i gatti muoiano naturalmente, architetta il modo per eliminarli.

Da qui in poi, la storia si dipana, fino a portare – grazie al provvidenziale intervento del gattone di strada Romeo e dei suoi amici – al consueto trionfo dei buoni sul cattivo. Naturalmente, nel nostro attuale ordinamento, sarebbe nulla la chiamata, successiva, del maggiordomo Edgar, in quanto integrerebbe una sostituzione fedecommissaria, vietata ex art. 692, 5° co., c.c. Ma non tanto a questo voglio, ora, rivolgere l’attenzione, quanto, piuttosto, alla chiamata alla successione – nel film, in particolare, ereditaria – di animali di affezione. La domanda è, in altri termini, se nel nostro ordinamento un animale possa essere istituito erede, o, più ampiamente, possa essere chiamato, magari anche solo a titolo particolare, alla successione.

 

Gli animali non hanno capacità giuridica, né capacità di succedere

Facile è il ribadire, per rispondere al quesito posto al termine del paragrafo d’esordio, che gli animali non hanno alcuna capacità di succedere, poiché, più in generale, essi non hanno alcuna capacità di essere titolari di situazioni giuridiche soggettive. Essi non hanno, in altre parole, la generale capacità giuridica, di cui all’art. 1 c.c. Capacità giuridica e soggettività, difatti, nel nostro ordinamento sono riservate solo agli esseri umani e agli enti.

Enti e esseri umani sono i soli soggetti del diritto, mentre gli altri esseri viventi, compresi gli animali a noi più cari, non sono che oggetti di diritto. Certo, tra le cose oggetto di diritto, la particolarità degli animali, così detti, “di affezione”, è indiscutibile, ed è testimoniata, ad esempio, dall’art. 514 c.p.c., con cui si impedisce al creditore di pignorare, tra l’altro, “gli animali di affezione o da compagnia tenuti presso la casa del debitore o negli altri luoghi a lui appartenenti”. Anche in questa previsione, così come in molte delle previsioni (per lo più di natura penale), nelle quali è attribuito rilievo gli animali in generale, e quelli a noi più cari in particolare, insomma, non tanto è l’animale in sé, che viene protetto dalla disposizione normativa, quanto, piuttosto, sono la sensibilità e gli affetti dell’essere umano a trovare difesa.

Nella esclusione dalla pignorabilità appena evocata, poi, è chiaro come oggetto di protezione sia proprio la sfera affettiva del debitore, come dimostrano anche alcune delle altre ipotesi di impignorabilità previste nello stesso articolo, quali, ad esempio, quelle relative all’anello nuziale o agli scritti di famiglia. Se il diritto penale, nel sancire l’illiceità di determinate condotte contro gli animali, protegge la sensibilità umana, che potrebbe essere offesa dalle crudeltà a cui venisse sottoposto l’animale, il diritto processuale civile, nell’escludere alcuni animali dalla pignorabilità, protegge la sfera affettiva dell’essere umano. Sempre l’interesse dell’umano, insomma, è l’oggetto della protezione.

Nel diritto privato sostanziale, poi, le numerose norme che considerano gli animali, hanno riguardo a questi “beni” solo in conseguenza della particolarità di essi, tanto come oggetto di diritti dominicali, quanto come possibile fonte di responsabilità extra-contrattuale. L’animale, anche di affezione, in sintesi, resta per l’ordinamento soltanto un oggetto di diritto. Gli animali, dunque, non hanno alcuna capacità giuridica, in generale, né alcuna capacità di succedere per causa di morte, in particolare.

Sicché, mai, nel nostro ordinamento, Duchessa e i suoi gattini avrebbero potuto validamente essere istituiti eredi dalla Signora Bonfamille. Se l’animale è quello che, comunemente, si dice un “animale domestico”, nondimeno, come si è visto assume, talvolta, espresso rilievo normativo la protezione della sfera affettiva dell’umano, che all’animale è legato. E questo potrebbe assumere rilevanza anche in una prospettiva successoria.

 

Delle cure all’animale come oggetto di onere o modus. Cenni ad altri istituti forse utili

Benché l’animale caro non possa essere istituito erede, né a lui possa essere destinato un legato, mi pare comunque possibile garantirgli le cure e le attenzioni che, in vita, il de cuius gli riservava, o comunque quelle che il de cuius ritenga di garantirgli, anzitutto attraverso il modus o onere, ex artt. 647 ss., c.c. Con questa diposizione testamentaria, il testatore potrà imporre all’erede – o a uno solo tra gli eredi, o anche a un legatario – di prendersi cura degli animali domestici che aveva in vita, potrà stabilire in che dovranno consistere tali cure, e potrà, io credo, pure rafforzare gli obblighi di cura creati con il modus, tanto con una penale di fonte testamentaria, quanto con una disposizione in cui si preveda la risoluzione della chiamata, per il caso in cui il chiamato non adempisse al modus che gli impone di curare l’animale così come indicato. Non pare che potrebbero prospettarsi problemi, altresì, con riguardo alla “meritevolezza” degli interessi perseguiti attraverso una tale disposizione.

Per un verso, infatti, ampia parte della dottrina esclude che al giudizio di meritevolezza degli interessi perseguiti, espressamente previsto dalla legge per i soli contratti atipici (art. 1322, 2° co., c.c.), soggiacciano anche le disposizioni testamentarie. Per altro verso, anche aderendo alla diversa opinione, secondo la quale ogni atto di volontà, disposizione testamentaria compresa, deve perseguire interessi meritevoli, penso che l’amore per gli animali e la relazione affettiva dell’uomo con l’animale non possano che essere ritenuti interessi meritevoli di tutela, come dimostrano, tra l’altro, proprio le esclusioni dalla pignorabilità di cui all’art. 514, n. 6-bis), c.p.c., sopra ricordato.

Da ultimo, mi pare possa ancora sottolinearsi come, in linea ipotetica, la finalità di assicurare protezione e cure agli animali in generale, e al proprio animale domestico in particolare, anche dopo la propria morte, potrebbe essere raggiunta anche tramite la costituzione di una fondazione, e, fors’anche, tramite l’istituzione di un trust. La fondazione, nondimeno, potrebbe incontrare ostacoli al momento del riconoscimento, laddove avesse come scopo il benessere unicamente di alcuni specifici esemplari di animale. Inoltre, questa strada darebbe luogo a complessità sicuramente evitabili con il ricorso alla semplice disposizione modale, magari rafforzata da previsioni sanzionatorie per l’inadempimento.

Per quanto riguarda il trust, infine, dato il taglio volutamente sintetico dei contributi di questa rubrica, non è possibile altro, se non far solo cenno alla possibilità anche di segregare cespiti, con il fine di assicurare cure, attenzioni e mantenimento ad animali di affezione. Ciò in considerazione della accentuata mutevolezza della disciplina del trust, a seconda dell’ordinamento estero sulla base del quale il trust stesso venga istituito, mutevolezza che renderebbe troppo lungo dettagliare ora in quali ordinamenti l’affetto per gli animali potrebbe costituire fondamento adeguato per una manifestazione di volontà indirizzata alla segregazione patrimoniale.

Letture consigliate:

F. Fondrieschi, Una naturale dignità: interessi in conflitto e criteri di soluzione nel rapporto tra uomo e animale, in Politica del diritto, 2020, p. 565 ss.;

C. Fossà, Frammenti di oggettività e soggettività animale: tempi maturi per una metamorfosi del “pet” da bene (di consumo) a “tertium genus” tra “res” e “personae”?, in Contratto e impresa, 2020, p. 527 ss.;

P. Laghi, L’insostenibile “patrimonializzazione” dell’“essere”: la Cassazione e l’irrisarcibilità del danno non patrimoniale da perdita dell’animale d’affezione, in Rass. dir. civ., 2020, p. 244 ss.

R. Bianchini, Diritto umano e diritto animale: una lettura provocatoria dell’art. 2052 c.c., in Cultura giuridica e diritto vivente, 2019, p. 7 ss.;

M. Proto, Il modo, in Tratt. successioni e donazioni, diretto da G. Bonilini, vol. II, La successione testamentaria, Milano, 2009, p. 1223 ss.