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Animali simbolici e ibridi fantastici: persistenza di un immaginario

animali fantastici
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Animali simbolici e ibridi fantastici: persistenza di un immaginario

Indice

1. Cosa intendiamo per immaginario e simbolismo

2. La presenza dell’animale nei sistemi simbolici

3. Sulle creature fantastiche

4. Conclusioni sulla animalità immaginaria

 

La produzione simbolica di creature immaginarie è una pratica registrata in moltissime culture ed epoche storiche, venendo a costituire una presenza costante nella storia dell’umanità.

Che si tratti delle creature chimeriche delle pitture rupestri, delle divinità teriomorfe dei popoli antichi, dei bestiari medievali, dei racconti popolari, dell’araldica o dei fumetti e dei videogiochi più recenti, l’utilizzo di creature immaginarie, desunte dall’animalità, è onnipervasivo e non accenna a scomparire nemmeno nelle società moderne.

In questo articolo vorremmo dedicarci al tema del simbolismo delle creature animali immaginarie attraverso una pluralità di prospettive.

Da un lato, si porrà particolare attenzione al processo di creazione simbolica e al suo rapporto con l’immaginazione e con l’immaginario, chiedendoci che attrattiva presentino tali figure e che funzioni esse svolgano. In particolare, ci interesseremo soprattutto della loro capacità di sopravvivere e perpetuarsi nel tempo, mantenendo attualità.

Per fare ciò ci rifaremo principalmente alla corrente di autori francesi che, a partire da Gaston Bachelard e poi tramite i continuatori della sua opera, Gilbert Durand e Jean Jacques Wunenburger, ha dedicato al tema dell’immaginazione molte interessanti riflessioni.

In secondo luogo, ci si soffermerà sulla specificità dell’animale quando è impiegato come materiale per la costruzione simbolica, introducendo alcune riflessioni zooantropologiche che mettono al centro delle loro analisi l’importanza costitutiva del rapporto con l’animalità nella cultura umana. Attraverso di esse si giungerà all’ultima sezione, che rifletterà sulla presenza nella società contemporanea di tali creature simboliche.

Nelle conclusioni si riassumerà quanto detto e si discuteranno alcuni possibili spunti per future discussioni, che qui saranno solamente abbozzate.

Iniziamo dunque a introdurre alcuni dei concetti che ci accompagneranno nelle sezioni successive.

Volendo dedicarci a creature immaginarie e simboliche, occorre chiarire cosa si intenda con i termini immaginario e simbolismo.
 

1.  Cosa intendiamo per immaginario e simbolismo

Con il termine immaginario si fa riferimento a una categoria ampia e dal contenuto molteplice: se con essa intendiamo, come si è soliti fare, ogni produzione culturale che ricorra alla nostra capacità umana di generare immagini o narrazioni che vanno oltre il reale, saranno parte dell’immaginario i miti, i racconti fantastici (siano essi letterari, cinematografici o televisivi), la reverie, i sogni e le fantasie ludiche e i vari simbolismi.

Esso è volto a creare una totalità sintetica e coesa che codifica un’immagine del mondo in una produzione di senso costruita a partire dai principi dell’immaginazione.

Volendo iniziare a mettere ordine in questa serie assai varia di elementi, possiamo seguire uno degli autori che più si è occupato dell’immaginario, Jean Jacques Wunenburger, nel distinguere almeno due dimensioni dell’immaginario: una visiva (suggerita anche dal nome stesso) legata alla produzione di immagini e testi figurativi e una linguistico-narrativa, che crea racconti e testi letterari. In entrambi i casi è il ricorso all’immaginazione che caratterizza tali produzioni a separarle da quelle a cui si giunge tramite ragionamenti e osservazione razionale del mondo.

Come ricorda ancora Wunenburger, esso è assai complicato da definire e si è inoltre costituito nella storia del pensiero come categoria negativa, soprattutto in opposizione con la conoscenza razionale e il suo specifico modo di procedere.

Tale differenza con la ragione e il sapere razionale è stata spesso posta alla base di ogni definizione dell’immaginario: esso si caratterizza infatti per una diversa modalità di organizzare il mondo, retta non dall’osservazione del mondo e dalla ricerca di fatti, ma da principi e bisogni altri e propri, tuttavia non privi di regole, come si vedrà.

L’immaginario, come già detto, è stato spesso definito come mero negativo della ragione, come nell’opposizione classica tra mythos e logos, uscendo da tale confronto sminuito e relegato all’ambito dell’arbitrario e dell’irrazionale.

Soprattutto in età moderna ciò ha comportato una forte svalutazione dell’immaginazione simbolica. Gilbert Durand ha messo in luce le diverse fortune che il pensiero simbolico e immaginativo ha avuto nella storia del pensiero, riflettendo in particolare su come il razionalismo di età moderna abbia dato un duro colpo al tradizionale ruolo dell’immaginazione, relegandola al rango di discorso falso e incapace di comprendere il mondo.

Anche le correnti di pensiero empiriste, che riconoscono un ruolo alla mediazione sensibile, finirono per ridurre l’immagine o il simbolo ad una pura esemplificazione allegorica o espressiva, un aiuto al pensiero che una volta finito il proprio compito didascalico può anche venire abbandonato, come ad esempio nelle allegorie, in cui il simbolo viene sempre più ridotto ad un segno e impoverito della sua pluralità di senso. Una volta tradotto il segno visibile in concetto, si può fare a meno di esso.

Tale svalutazione continuerà poi in epoca illuminista, dove l’intento demitizzante porta spesso a rifiutare gli elementi simbolici e immaginativi nella loro totalità.

Sicuramente tale demitizzazione ebbe il pregio di liberare l’uomo moderno da molte superstizioni: il problema di questa operazione non risiede nel legittimo impegno nella lotta alla superstizione e agli aspetti deleteri del mito, della fantasia e dell’immaginazione, bensì nell’aver tralasciato altri aspetti della produzione immaginativa la cui funzione nella vita umana appare più positiva e rilevante. Oltre al suo significato cognitivo, l’immaginario crea anche unità politica e senso di comunità, oltre che affascinare e avere elementi estetici e ludici.

Il ricorso agli immaginari può avere effetti deleteri quanto effetti positivi, ma in nessuno di questi casi si può ricondurre il problema all’immaginario in sé: esso è una forza positiva fintantoché l’uomo ne sa temperare le istanze criticamente, senza lasciarsene assorbire eccessivamente.

All’interno delle produzioni dell’immaginario, particolare rilievo ha il simbolo.

Esso, come ha ricordato Gilbert Durand, è stato spesso confuso con il segno, in particolare con un segno che sarebbe definito arbitrariamente. Ma un segno arbitrario presuppone che lo stesso significato possa essere espresso indifferentemente da più significati, cosa che vale ad esempio per i nomi degli oggetti o per i segnali convenzionali, ma difficilmente si attaglia al simbolo, in cui il significante costituisce un tutt’uno col significato. Cambiando elementi della rappresentazione simbolica, nella loro materialità espressiva, si viene a pervertire il senso stesso del simbolo.

Ma il simbolo non è nemmeno allegorico, poiché l’allegoria prevede un significato già formato a monte e poi una sua codifica ex post in segni convenzionali.

Il simbolo non prevede invece un senso già dato a monte, poiché il simbolo costruisce e chiarisce il significato di cui è portatore tramite il procedimento simbolico stesso. Anziché essere un modo di comunicare un senso già dato, il simbolo è un modo per pensare qualcosa di non ancora definito, qualcosa che ancora ci sfugge e a cui diamo forma simbolica per poterlo afferrare.

Attraverso il simbolo noi non mettiamo solo in forma visibile idee già formate concettualmente, ma diamo forma a delle idee attraverso il simbolo stesso.

Personalmente, trovo assai utile per comprendere questa prerogativa del simbolo ricorrere ad una analogia con quanto detto da molti autori a proposito della metafora. Essa si dà in due tipi: alcune metafore sono ormai lessicalizzate e possono essere usate come mezzo espressivo per comunicare in modo efficace un’idea formulata non metaforicamente. Qui la metafora viene dopo il pensiero e il suo unico compito è esprimerlo. Ma altre volte la metafora è strumento del pensiero stesso, a cui ricorriamo per stabilire connessioni, chiarire concetti e creare modelli cognitivi di un fenomeno.

L’allegoria ricalca da vicino il primo tipo di metafora, ma il simbolo è invece funzionalmente analogo al secondo.

Una delle rivoluzioni del pensiero novecentesco sul simbolo è stata la rivendicazione della sua logicità. Non nel senso in cui è logico il pensiero razionale, ovviamente, bensì nel possesso di una logica propria dell’immaginazione: essa segue sue regole associative, che si ritrovano con costanza nelle diverse produzioni simboliche, come negli elementi ricorrenti dei miti, nelle associazioni poetiche più longeve e felici, nelle storie ricorrenti e condivise di molte fantasie e reverie.

La materialità del mondo permea anche l’immaginario, così che le nostre rappresentazioni siano vincolate da una serie di regole che strutturano la nostra capacità immaginativa.

A studiare per primo questa serie di regole sintattiche dell’immaginazione fu il filosofo francese Gaston Bachelard, che muove inizialmente la propria analisi dal presupposto di una necessaria “psicoanalisi” del pensiero scientifico, che risulta ancora sottoposto al potenziale disturbo del proprio operare da parte dell’immaginazione.

La prospettiva di Bachelard è in linea con quella di molti altri protagonisti della riflessione primo-novecentesca sul tema, largamente influenzata dalle teorie freudiane prima e junghiane poi nonché anche dai molti lavori sul mito in ambito etnologico e storico-religioso. Ad accomunare queste teorie, anche molto diverse tra loro, è un comune intento demistificatore e riduttivo, che dietro all’immaginario ricerca tracce di pulsioni libidiche e sessuali o di fondamenti della struttura sociale.

Bachelard si distacca però progressivamente da prospettive così riduzioniste e inizia a considerare l’immaginario come oggetto di studio in sé e non come via maestra per altri fenomeni, come invece fece molta psicanalisi, e vi rintraccia dei principi combinatori astratti e generali che articolano molta della produzione fantastica, immaginativa e poetica.

Ciò che sia Bachelard che il suo allievo Durant riconoscono è che l’immaginario è dotato di strutture e regole proprie e come tale è ben lontano dall’essere quel marasma arbitrario e irrazionale che si è spesso associato all’immaginazione. Una volta eliminato il fraintendimento per cui solo il pensiero razionale avrebbe le sue regole, si può iniziare a notare come anche l’immaginazione segua schemi ricorrenti ispirati a principi più generali.

Da questa scoperta può dunque iniziare uno studio scientifico dell’immaginazione, nonché una profonda rivalutazione del posto che essa occupa nella nostra vita.

Siamo giunti dunque ad aver brevemente chiarito cosa si intende con immaginazione e simbolismo e ci siamo avvicinati alla relazione che essi hanno con l’animale. Ora affronteremo tale questione più nel dettaglio, riflettendo sul perché sia proprio l’animale a essere così presente nei vari sistemi simbolici.
 

2. La presenza dell’animale nei sistemi simbolici

 

Rivendicare una centralità della relazione con l’animale nella storia umana non dovrebbe sorprendere: l’animale è a vario titolo implicato nelle più diverse vicende umane da millenni.

Tuttavia il suo ruolo è stato spesso ritenuto secondario nello studio della cultura umana, concepita essenzialmente in modo antropocentrico.

Questo è proprio il presupposto contro cui si scaglia la ricerca zooantropologica, che mostra come in ogni momento della storia culturale dell’uomo la relazione con l’animale non umano abbia avuto un ruolo e un peso.

Tale relazione ha trasformato sia l’uomo che gli animali con cui è venuto in contatto, dando forma al comune processo evolutivo, e ha dato forma non solo alle singole produzioni culturali, ma anche alla definizione (auto-definizione) dell’essere umano stesso.

L’uomo infatti trova nell’animale l’alterità principale con cui confrontarsi e attraverso cui definirsi, a volte avvicinando l’animale alla propria natura e a volte distinguendosi dall’animalità, a volte osservando il reale comportamento animale e altre volte, più spesso, proiettando antropomorficamente sull’animale caratteristiche e atteggiamenti umani. Per fare  tutto ciò egli ricorre spesso a simbologie animali.

Il simbolo, che come detto non presuppone un significato già dato ma lo definisce tramite la propria capacità espressiva, si presta bene ad essere lo strumento con cui dare forma a complesse riflessioni sulla natura umana.

Pensare simbolicamente gli animali e la relazione tra essi e l’uomo è un modo efficace per chiarire alcuni aspetti del mondo in cui viviamo, ricorrendo a formulazioni simboliche che spesso non solo sono efficaci quanto quelle concettuali (seppur in modo diverso e con diverse prerogative), ma spesso non possono essere facilmente sostituite da esse.

L’animale diventa uno specchio attraverso cui l’uomo vede sé stesso ed esso, essendo sempre l’alterità principale con cui l’umano si relaziona, viene spesso chiamato in causa nei miti di fondazione del mondo e in quelli che spiegano la nascita delle istituzioni umane (quando non della condizione umana stessa).

Tali miti non mirano tanto a descrivere accuratamente il mondo, in maniera scientifica, quanto a dare spiegazioni del perché le cose si presentano nel mondo in un certo modo e a giustificarle. Il ricco simbolismo dell’animale, per il quale la nostra immaginazione sembra avere una forte propensione, funziona anche in questo caso come riserva feconda di materiali mitici, attraverso i quali tessere la narrazione.

Inoltre, tramite il simbolismo animale si dà forma anche ai ruoli sociali, che siano essi ruoli di genere, appartenenze tribali e claniche o posizioni all’interno della struttura sociale.

Ovviamente non è questa la sede per ripercorrere le molte varietà e funzioni del simbolismo animale. Quanto detto però mostra come qualsiasi discorso sul simbolismo si troverà a considerare la presenza animale come un fatto pervasivo all’interno dell’immaginazione umana.

Avendo introdotto ora in termini generali il simbolismo animale, passiamo ad analizzare come da esso si generino le creature fantastiche che ci interessano.
 

3. Sulle creature fantastiche

Una particolare dimensione emotiva soggiacente al simbolismo animale ci avvicina al tema della nostra trattazione: il sentimento misto di superiorità e invidia che l’uomo prova nei confronti dell’animale. L’uomo infatti vuole spesso distaccarsi dall’animalità, opporre la propria condizione al mondo selvaggio e disorganizzato dell’animale, ma altre volte egli non può fare a meno di osservare come le capacità degli animali eccedano grandemente le sue in molti ambiti.

Egli sa di non avere la forza dell’orso o la vista dell’aquila e sa inoltre che i suoi sensi non sono sviluppati come quelli del gatto e del cane, il cui fiuto e la cui vista sono per lui quasi soprannaturali.

Egli a volte cerca di appropriarsene imitando gli animali (zoomimesi), ma altre volte egli crea simbologie animali che creano rappresentazioni immaginarie dell’animale (zoopoiesi) in cui l’animale diviene oggetto di proiezione degli atteggiamenti umani.

Nascono così gli animali “magici”, ovvero quelli che si caricano di relazioni con il soprannaturale, sia esso il mondo dei morti o quello degli dei. La loro capacità di muoversi in ambienti diversi dal nostro e di avere percezioni aumentate rispetto a quelle umane li rende infatti ottimi candidati per il ruolo di intermediari con il sacro.

Gli animali vengono dunque a incarnare tratti apprezzati o temuti dagli uomini e a rappresentare simbolicamente tali caratteristiche.

La creazione di creature fantastiche rappresenta uno stadio successivo di tale simbolismo.

Che siano esse completamente inventate (come la fenice), chimere desunte da animali reali (come il grifone), ibridi frutto di unioni innaturali (come il basilisco) o umani teriomorfi (come il licantropo), queste creature colpiscono la nostra immaginazione in quanto esasperano e intensificano i tratti dell’animale che temiamo o ammiriamo.

Tali animali sono oggi assai spesso associati alle allegorie, dove i tratti di cui sono portatori sono formalmente fissati in rappresentazioni convenzionali. Ma, come ricordato, il simbolo non è allegorico: anche tali creature, ancor prima di essere inserite nel linguaggio allegorico, erano strumenti vivi di interpretazione del mondo.

In particolare, ibridi e chimere sono particolarmente interessanti a questo riguardo in quanto permettono di mettere in relazione le prerogative di diversi animali e di elaborare significati complessi. A volte tali caratteristiche si ribadiscono a vicenda, come nel caso del grifone (che intensifica la forza e la regalità già presente in aquila e leone), altre volte invece esso permette di mettere in relazione aspetti eterogenei tra loro.

In questo secondo caso, la doppia natura dell’animale è spesso sintomatica di una violazione di un ordine naturale, che è testimoniata dalla natura spesso mostruosa di queste creature.

Un caso classico di questa tipologia è rappresentato dai mostri teriomorfi, in cui uomo e animale si fondono, spesso generando creature ambigue e pertanto spaventose, in cui tratti umani e bestialità convivono. In questo caso l’animalità erode l’umanità e il risultato è mostruoso, da temere e rigettare.

Il discorso cambia quando l’unione tra uomo e animale non si risolve in un regresso allo stato selvaggio, ma in un arricchimento dell’umano tramite l’integrazione delle caratteristiche animali.

In questo caso l’uomo mantiene la propria umanità, ma acquista dall’animale le doti sovrumane che egli ricerca, come i guerrieri mitici che acquistano la forza o i poteri dell’animale in seguito alle loro imprese o gli sciamani che si impadroniscono in vario modo degli attributi animali per aumentare la loro forza e la loro saggezza.

Umanità e animalità si fronteggiano dunque in questi casi con esiti alterni: se nell’ibrido si sostituiscono le virtù umane con i “vizi” dell’animale e se è la bestialità a sopprimere la civilizzazione, allora l’esito è mostruoso. Ma se le doti umane sono mantenute e in più ci si avvicina alle prestazioni “sovrannaturali” dell’animale, allora il risultato è positivo e affascinante.

Il continuo interscambio simbolico tra attributi animali e umani rivela quindi i desideri e le paure dell’uomo, che usa l’animale come strumento di proiezione ed elaborazione di essi.

Molto spesso tali creature simboliche sono nate in relazione alla sfera morale e religiosa, in cui esse erano chiamate a incarnare vizi e virtù oppure a ribadire le categorie ontologiche in cui era diviso il mondo, meglio ancora se sancendo o ribadendo un “ordine naturale”.

Con il passare del tempo e con il progresso della conoscenza naturalistica, tali creature sono state relegate nel mondo della fantasia e non più considerate reali. Allo stesso tempo, i sistemi morali e religiosi che esse sostenevano sono profondamente mutati e talvolta cambiati radicalmente. Ciò potrebbe portare a pensare che tali creature immaginarie siano progressivamente scomparse dai nostri immaginari, o addirittura che lo stesso immaginario abbia ceduto il posto al pensiero concettuale e razionale.

Eppure, anche nella nostra epoca tali figure sono diffuse in moltissimi ambiti della cultura e la fascinazione che proviamo per esse non accenna a diminuire.

Anziché nei miti o nei bestiari le troviamo oggi nei film, nei romanzi fantasy, nei fumetti e nei videogiochi, dove esse abbondano. Svincolate dai loro significati secondari e usi sociali contingenti, che variano nelle epoche storiche, essi ancora testimoniano efficacemente l’originaria relazione con alcuni tratti dell’animalità, ancora oggi capaci di suscitare lo stesso fascino.

Che i draghi lì si trovi nei romanzi e non nei bestiari, che siano i supereroi ad assumere poteri animali e non gli eroi tradizionali, che minotauri, centauri e sirene siano ora migrati nei videogiochi o nei fumetti, poco importa.

Essi sono diventati esempi di quelle che Aby Warburg chiamava “Pathosformeln”, ovvero conformazioni figurative che si perpetuano nella storia mantenendo elementi comuni simili e perpetuando nel tempo i propri effetti emotivi.

Ma cosa contribuisce al successo di tali creature nelle epoche?

La loro natura simbolica, quindi anche e soprattutto visiva. In essa i significati non rimangono semplici idee, variamente articolate in un sistema simbolico astratto, bensì forme capaci di stimolare l’immaginazione con una forza propria.

In esse, nonostante la loro natura finzionale, si colgono i reali tratti dell’animalità, quelli che ci hanno da sempre affascinato e che ancora oggi rendono tali creature eccellenti strumenti per riflettere sulle nostre paure e sui nostri desideri più reconditi.

Come ricorda il filosofo americano George Santayana, non è affatto facile o scontato che una costruzione immaginativa funzioni e sopravviva nel tempo: essa raggiunge tale scopo solo se vi è una buona integrazione visiva delle figure, in cui il significato viene inscindibilmente vincolato a conformazioni di straordinaria efficacia.

Solo quando forma e significato sono pienamente accordati tra loro e l’immagine risultante si impone con vivacità all’immaginazione si ha un prodotto simbolico capace di trasmettersi nel tempo. Anche qui dunque ritorna il tema della materialità e dei vincoli dell’immaginazione, da noi introdotto in apertura di questo articolo.

Se quindi le vecchie creature fantastiche ancora affascinano l’uomo contemporaneo, è perché il loro potere figurativo si fonda su dimensioni profonde della nostra immaginazione, capaci di rimanere attive e scorrere sotterraneamente alle diverse epoche senza perdere il loro potenziale evocativo.

Ma l’immaginario moderno non vive solo, per così dire, di antiquariato. Se è vero che molte figure classiche sono state recuperate, sia in forma originale sia tramite attualizzazioni e bricolage, non bisogna pensare che la nostra epoca abbia smesso di ricorrere a simbolismi e immaginazione.

Anche oggi infatti l’immaginazione umana continua a utilizzare procedimenti simbolici e immaginari per diversi fini e diversi ambiti.

La funzione ludica dell’immaginario è ben rispecchiata dall’enorme produzione di serie televisive, film, libri, fumetti, musica e altre opere artistiche che contengono universi immaginari.

Ma anche le funzioni politiche e cognitive dell’immaginario sono ben lontane dall’essere scomparse, come vedremo ora in conclusione al nostro articolo.


4. Conclusioni sulla animalità immaginaria

In questo nostro contributo abbiamo voluto dedicare qualche riflessione al tema dell’animalità immaginaria e delle creature fantastiche.

Per fare ciò abbiamo dedicato molto spazio a discussioni di natura teorica sul simbolismo, per poi trattare più in dettaglio la relazione che gli animali hanno col simbolismo umano.

Si spera che i due temi non siano apparsi disgiunti. La riflessione sulla natura del simbolo non è peregrina in relazione al nostro tema, bensì fondamentale.

Come si è visto nell’ultima sezione di questo articolo, il carattere simbolico di tali creature le dota di una pervasività nel tempo e di una continua rilevanza.

Perché ciò è legato al carattere simbolico? Perché il simbolo è inesauribile, non avendo già un significato pienamente espresso alla base ma essendo piuttosto la costruzione stessa, sempre in fieri, di quel significato.

Il simbolo, a differenza di segni e allegorie, ci è almeno in parte oscuro, non pienamente decifrato. Esso si presta sempre a nuove interpretazioni, perché il significato che esso veicola non è dato, per così dire, a monte, ma va ricercato solo dopo la formazione del simbolo stesso.

Noi non creiamo simboli essendo consci del loro significato.

L’antropologo cognitivo Dan Sperber notava infatti come, a differenza di quanto pensavano gli studiosi portati a confondere segno e simbolo, molte popolazioni con un ricco immaginario simbolico non avessero alcuna idea di quello che i propri simboli “volessero dire”.

Abituati ai segni o al massimo all’allegoria, noi occidentali siamo convinti spesso che dietro ai simboli ci siano significati ben precisi, deliberati, che sta a noi recuperare.

Ma, come fa notare Sperber, in assenza di un significato noto ogni interpretazione crea nuovi simbolismi anziché scoprirne il senso.

Questo perché il senso del simbolo non è deliberato, non è frutto di un processo di codifica intenzionale di un senso noto. Il simbolo emerge invece spontaneamente come tentativo di dare senso al mondo e solo i processi di interpretazione successiva rivelano progressivamente la portata di quanto esso ha colto.

Ciò rende il simbolo una sorgente sempre viva di senso e significati, a cui il simbolismo animale non fa eccezione.

D’altronde, in tempi recenti di animali fantastici si è parlato molto e in molti campi.

Da un lato la consapevolezza di vivere in un’epoca di crisi ecologica ha portato molti autori a riconsiderare la nostra relazione con l’animale, dando anche un ruolo nuovamente centrale all’immaginazione di mostri e creature fantastiche come strategia anti-antropocentrica.

Dall’altra, sempre in nome della lotta all’antropocentrismo, si è tornati a parlare di ibridazioni, sia tra uomo e macchina sia tra uomo e animale. Ovviamente con ibridazione non si intende qui una reale mescolanza genetica o chirurgica di parti umane e animali (per quanto anche quella sia fecondissima in ambito fantascientifico), bensì forme di definizione dell’umano che non si pongano come esclusive ma che sappiano aprirsi alla diversità e riconoscere la propria continuità con l’animale.

E di nuovo è stato tramite il ricorso a nuovi miti e nuovi simbolismi che si sono portate avanti queste rivendicazioni, a riprova non solo dell’inemendabile rilevanza del dispositivo simbolico nella cultura umana, ma anche del nostro inscindibile rapporto con l’animalità.

In conclusione dunque possiamo dire che lo studio delle creature fantastiche non è solo compito settoriale degli studiosi del mito, delle tradizioni popolari o dell’iconografia, bensì un tema di grande interesse per chiunque voglia meglio comprendere il ruolo che il simbolismo ha nell’esistenza umana.

Bibliografia:

Jean Jacques Wunenburger, Limmaginario, Il Nuovo Melangolo, 2008

Gilbert Durand, L’immaginazione simbolica, Il Pensiero Scientifico, 1977

Roberto Marchesini, Sabrina Tonutti, Manuale di zooantropologia, Meltemi, 2007

Roberto Marchesini, Sabrina Tonutti, Animali magici, Giunti, 2019

Anna Maria G. Capomacchia (a cura di), Animali tra mito e simbolo, Carocci, 2009

Claudia Cieri Via, Introduzione a Warburg, Laterza, 2011

George Santayana, Il senso della bellezza, Aesthetica, 2020

Matteo Meschiari, Antropocene fantastico. Scrivere un altro mondo, Armillaria Edizioni, 2020

Francesca Ferrando, Il postumanesimo filosofico e le sue alterità, ETS, 2016