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Furto di gallina e uccisione del cane ladro

Un curioso caso e l’applicazione del principio di necessità
Furto di gallina
Furto di gallina

Furto di gallina e uccisione del cane ladro


Ad una distratta lettura la sentenza n. 49672 del 2018, resa dalla seconda sezione della Cassazione penale, potrebbe essere qualificata come riferita a una vicenda secondaria, bagatellare. Ma non è affatto così. Raccontiamola sia pur brevemente senza volere minimamente giungere a conclusioni che, per la natura dei temi coinvolti, non possono ad oggi essere neanche immaginate. Forse solo auspicate. Ma questo è tutto un altro discorso.

Tizio con il proprio fucile regolarmente detenuto (e già su questo aspetto si potrebbe aprire una discussione ma, come premesso, non è questa la sede) spara e uccide il cane di Caio reo – il cane – di essersi intrufolato nel pollaio di Tizio per poi darsi alla fuga con una gallina in bocca. Non è dato sapere se viva o morta. Condannato in primo e secondo grado per uccisione di animali ex art. 544 bis, Tizio ricorre in Cassazione.

La vicenda potrebbe essere affrontata da due diversi punti di vista.

  • Il primo: il sacrificio della gallina rappresenta un danno giuridicamente apprezzabile tale da giustificare l’uccisione del cane?
  • Il secondo: a quale specie animale è riferibile la tutela penale di cui alla legge n. 189/2004?

La Corte ha affrontato la questione secondo il primo punto di vista non ritenendo che la morte della gallina, animale da cortile destinata alla produzione di uova o alla macellazione (qualificazione non secondaria) rappresentasse un danno giuridicamente apprezzabile tale da giustificare l’uccisione del cane. La “perdita” della gallina ha determinato un danno a Tizio e questo danno deve essere compensato dal controvalore della stessa, ma nulla di più.

Difetta, spiega la Corte, il presupposto della necessità perché il cane aveva già azzannato la gallina (che non è dato sapere se ancora viva, morta, gravemente ferita o finanche riuscita a mettersi in salvo) e stava uscendo dalla proprietà dell’imputato quando questi gli ha sparato, non rappresentando alcun pericolo (per altre galline o per eventuali umani ivi presenti). Chiaro anche l’elemento psicologico dal momento che dalla istruttoria era emerso come Tizio non avesse sparato al cane perché stava difendendo la sua proprietà (che dunque ricomprenderebbe anche la gallina) ma solo per punirlo dei danni ricevuti e dell’invasione di essa (la di lui moglie aveva riferito che ben quattro galline ovaiole erano state uccise dai cani).

Se pure appaia condivisibile il ragionamento dei giudici domandiamoci in quale misura lo sarebbe aderendo alla seconda opzione e dunque interrogandoci su quale sia la specie animale a cui si riferisce la tutela penale ex legge n. 189/2004 e, più in particolare, se l’idea di protezione penalistica ricomprenda o debba ricomprendere tutte le specie. E tra queste anche le galline la cui uccisione ingiustificata ingenererebbe in chi le alleva oltre che quell’anacronistico sentimento di pietà soprattutto una non secondaria afflizione stante il rapporto di affezione vicendevolmente creatosi.

In altre e più semplici parole, l’uccisione o il maltrattamento ingiustificati della gallina costituirebbero danni giuridicamente rilevanti e il diritto al risarcimento del danno da parte dell’imputato per la gallina uccisa non escluderebbe la necessità di uccidere il cane.

La risposta viene dalla stessa Cassazione che – nel confermare la condanna – riconosce la suggestione del tema (scontro di tutela della vita di animali, il cane da una parte e la gallina ovaiola dall’altra) che però – prosegue la Corte – non può (ancora, aggiungo io) essere anteposto a quello della verifica della necessità giustificante l’uccisione del cane che, nel caso in esame, non sarebbe emerso (è invece stata dimostrata una ritorsione dell’imputato dovuta alla rabbia per le pregresse uccisioni di galline ovaiole).

Questo è il passaggio della sentenza n. 49672 del 2018 che non mi convince nella misura in cui fa un uso “relativo” dello stato di necessità laddove la gallina viene qualificata e individuata come animale da cortile destinato alla produzione di uova o alla macellazione (e il cui controvalore sarà accertato in sede civile) quasi fosse una scriminante non scritta.

Mi vengono in mente alcune riflessioni credo di Plutarco per cui la natura appare come irrelata agli esseri umani dimenticandosi che gli animali, al pari degli umani, sono soggetti della vita, prima di essere soggetti giuridici.

Noto, e concludo, una sorta di pericolosa isteria normativa. Norme che dicono tutto e il contrario di tutto. E quindi, molto spesso, norme che non dicono nulla. Quando va bene, quasi nulla.