x

x

Animali e famiglia: pericolose lacune, inguaribile miopia legislativa

animali e famiglia
animali e famiglia

Indice

1. La mancanza di una norma di riferimento

2. L’articolo 455 ter Codice Civile

3. Relazione tra animale domestico e figli

4. Il vulnus creato dal vuoto normativo

5. Riflessioni conclusive

 

1. La mancanza di una norma di riferimento

Non appaia irriverente affermare che la sorte di un cane, gatto, coniglio, pesce rosso, criceto rimane affidata al grado di empatia del giudice che si occuperà di quella separazione, divorzio o cessazione di unione di fatto. Il rischio, per l’animale familiare, è che venga trattato al pari di qualunque altro bene mobile conteso tra i “litiganti”. La giurisprudenza oscilla tra due orientamenti.

Il primo.

Le questioni riferibili alla sorte degli animali domestici non trovano spazio all’interno delle vicende di separazione o divorzio. Qualora per avventura dovesse accadere, deve trattarsi di procedimenti consensuali dal momento che il Tribunale non è tenuto – in caso di contrasto tra le parti – ad occuparsi della assegnazione degli animali di affezione all’uno o all’altro dei coniugi, né della loro relazione con gli stessi essendo pur sempre possibile – in via de iure condendo e data la fantasia del legislatore – che a tanto si arrivi (Trib. di Como, 2016).

Mancando un accordo consensuale il Tribunale deve procedere per l’assegnazione dell’animale d’affezione valutandone il titolo di proprietà se non addirittura seguendo le regole dei beni indivisibili. Qualora le condizioni riferibili alla sorte dell’animale domestico dovessero ricalcare sul piano terminologico gli accordi generalmente adottati in tema di affidamento, collocazione e protocollo di visita dei figli minori il rischio è una reprimenda da parte del magistrato che potrebbe stigmatizzare una ritenuta caduta di stile e magari invitare le parti a regolare altrimenti, ovvero con impegni stragiudiziali, le sorti del loro animale domestico. Come anticipato, ogni riferimento alla (nota) decisione del Tribunale di Como 2016 è assolutamente voluta.

Principio questo già espresso peraltro sempre dalla giurisprudenza di merito (ord. 2/3/2011 Trib. Milano), che aveva chiarito come in caso di contrasto tra le parti il giudice della separazione non è tenuto ad occuparsi della assegnazione degli animali di affezione all’uno o all’altro dei coniugi, né della loro relazione con gli stessi; in presenza di accordi liberamente assunti dai coniugi, il giudice può solo verificare la sussistenza dei presupposti della omologazione, ossia la conformità all’ordinamento ai principi di ordine pubblico. In altre parole, come avvenuto per il Tribunale lariano, si richiama il contenuto dell’articolo 1174 Codice Civile. laddove le spese di mantenimento e di cura sono suscettibili di valutazione economica come qualunque altra spesa relativa a beni o servizi di interesse familiare mentre la frequentazione con l’animale assumerebbe interesse meritevole di tutela pur non avendo natura patrimoniale.

Il secondo.

Orientamento questo che esprime apparente attenzione alla relazione esistente tra il soggetto umano e quello non umano. Orientamento espresso in tempi recenti da altrettanto note pronunce, tra le quali si citano quella del Tribunale di Sciacca (2019) e del Tribunale di Lucca (2020).

Quanto alla prima il Tribunale, nell’adottare i provvedimenti temporanei e urgenti, ha assegnato il gatto al marito e il cane ad entrambi i coniugi, a settimane alterne, con spese veterinarie e straordinarie al 50%. La eccezionalità di questa pronuncia risiede nel fatto che si trattava di separazione contenziosa e che il giudice ha utilizzato il termine assegnazione in luogo di affidamento, evocativo quest’ultimo del regime riferibile ai figli, come anticipato non pacificamente condiviso.

Quanto alla seconda, l’eccezionalità si individua nell’avere dato seguito ad un procedimento d’urgenza sul presupposto dell’età avanzata del cane conteso e dunque incompatibile con le ordinarie lungaggini di un contenzioso civile. Una valutazione questa che in non pochi casi fa desistere dal rivendicare un affetto che verosimilmente verrà riconosciuto in un tempo pericolosamente non stimabile. In danno sia dell’animale che del suo compagno umano.

Non certo uniche queste due pronunce sono state precedute negli anni da altri arresti. Tra queste il Tribunale di Milano - sez. IX civile - che con decreto del 13/03/2013 emesso in sede di omologa degli accordi di separazione tra coniugi e il Tribunale di Roma, sez. V, del 12 – 15 marzo 2016, n° 5322. Vicenda quest’ultima riguardante due persone conviventi che adottavano e accudivano congiuntamente un cane, finché all’avvenuta rottura della relazione uno dei due ex conviventi — l’intestatario in anagrafe — privava l’altro del diritto di visita dell’animale. Il Tribunale senza dare il minimo peso al criterio dell’intestazione anagrafica del microchip dispone l’affido condiviso del cane, con ripartizione al 50% delle spese per il suo mantenimento (cure mediche, cibo e quant’altro eventualmente necessario al suo benessere).

 

2. L’articolo 455 ter Codice Civile

Vi è più di un motivo per ritenere che l’eufemismo utilizzato dal Tribunale di Como parlando di fantasia del legislatore fosse riferibile all’idea di cui all’articolo 455 ter Codice Civile.

Una norma che, almeno nelle intenzioni del legislatore e sin dall’avvio di quello che è rimasto un iter incompiuto iniziato nel 2013, appare incline a tenere conto anche del punto di vista dell’animale domestico, sempre poco considerato.

Nonostante le tante enunciazioni di principio e riferimenti plurimi al benessere animale come declinato in numerose disposizioni internazionali e nazionali, troppo spesso viene indagato o rivendicato (solo) l’interesse di noi umani a conservare una relazione con l’animale. Potrebbe apparire affermazione insolente ma una frequentazione con le aule di giustizia porta a ritenere non del tutto peregrina questa convinzione.

L’articolo 455 ter Codice Civile è oggi (ancora) estraneo al nostro codice civile pur presentando indiscutibili punti di pregio.

Quello di prescindere da quale sia il proprietario risultante dai documenti anagrafici dell’animale; quello di non distinguere tra chi è unito in matrimonio e chi non lo è; quello di confrontarsi con i figli della coppia; quello di acquisire il parere degli esperti di comportamento animale, non poche volte necessario. Un iter che dovrebbe condurre il giudice a scegliere tra un affido o assegnazione esclusivo o condiviso in favore di quella parte che, almeno in teoria, appare meglio garantire all’animale familiare una organizzazione di vita assai vicina a quella sino ad allora avuta. Anche provvedendo circa il suo mantenimento.

 

3. Relazione tra animale domestico e figli

Tra i pregi ricordati di questa auspicata norma uno è quello che intende indagare anche i figli della coppia in crisi. Non volendo sconfinare in valutazioni di cui non ho alcuna competenza non credo di esagerare affermando che la presenza di un animale all’interno di una famiglia sia di inestimabile utilità per lo sviluppo dei bambini che ne traggono benefici psicologici durante le varie tappe della loro vita.

Marcello Bernardi, autorevole esponente della pediatria italiana, ricordava che gli animali sono di enorme aiuto nella crescita di un bambino, danno loro l’esperienza di una vita che dipende in buona parte da loro e della quale ci si deve prendere cura, facendo capire loro cosa sia l’istinto, la fedeltà, il gioco e anche un certo tipo di affetto. Quell’affetto, quel rispetto che, prosegue Bernardi, potrebbe spandersi a tutto il mondo, alla natura, a ogni essere vivente e non vivente. Se i giochi che si trovano nei negozi si rivelano poco interessanti dopo che hanno appagato la prima curiosità l’animale cresce, come il bambino, si trasforma e impara, comunica.

In un piacevolissimo libretto (Consigli a un giovane etologo) Enrico Alleva, autorevole etologo, raccontando della Tartona, una immensa tartaruga che ha accompagnato la sua infanzia, sottolinea come sia importante la presenza di un animale (che non deve essere necessariamente un cane o un gatto) nella vita di un bambino. Mancando, quest’ultimo maturerà una diffidenza verso gli animali che potrà divenire paura o, peggio, il bambino considererà gli animali come uomini proiettando su di loro pericolose negatività irrispettose di ogni necessità psicofisica riconducibile ad una animale.

La presenza di figli nella coppia che sta vivendo il tramonto della propria relazione amorosa impone considerazioni speciali. E le impone sol riflettendo su quello che è la principale preoccupazione del giudice che altro non è che la tutela dell’interesse morale (e non solo materiale) proprio del minore. Minore che ha avuto il privilegio di iniziare una meravigliosa storia d’amore con un animale. Quale esso sia. Privilegio che va tutelato. Sempre, si badi, secondo una visione bilaterale.

Altrettanto pregevole risulterebbe negare ogni risolutività alla intestazione all’anagrafe canina dell’animale domestico che proprio nella vigenza dell’articolo 455 ter perderebbe definitivamente ogni salomonico rilievo.

Una intestazione che non può che avere mero valore identificativo essendo prevista dalla legge per le sole finalità di prevenzione del randagismo, di restituzione degli animali ai legittimi proprietari in caso di smarrimento, oltre che di censimento della popolazione canina e di accertamento della responsabilità civile dei proprietari in caso di danni provocati a terzi.

Continuare ad attribuire al microchip funzione unica di certificazione della proprietà non è oggi più accettabile. È inconcepibile non andar oltre il dato formale che potrebbe costituire una presunzione iuris tantum, superabile con quella prova contraria che faccia emergere la responsabilità che altri abbia – o abbia avuto – per un tempo significativo dell’animale. La giurisprudenza in più di una occasione ha comunque avuto modo di ignorare questo arcaico retaggio legato all’iscrizione all’anagrafe canina e tanto è assolutamente apprezzabile.

 

4. Il vulnus creato dal vuoto normativo

Non introdurre all’interno del nostro ordinamento una norma o una serie di norme riferibili alle problematiche affioranti laddove – ahimè – si contende un animale d’affezione dimostra una miopia del nostro legislatore. L’ennesima.

Una miopia che, se non corretta, continuerà a fare percepire gli animali domestici in modo non dissimile a qualunque altro bene materiale oggetto di contesa tra i litiganti così favorendo l’attrazione di simili querelle tra quelle norme civilistiche in tema di comproprietà e diritto delle obbligazioni, norme assolutamente incoerenti rispetto a vicende che hanno per oggetto la contesa di un essere vivente.

Non si tratta – come scrive il Prof. Paolo Onida – di definire “l’animale non umano” come soggetto di diritto ma di riconoscerne almeno uno statuto che sia corrispondente alla sua natura di essere animato. Un passo avanti, propedeutico alla risoluzione di altre incongruenze. Una per tutte l’antica e irrisolta questione della soggettività in capo agli animali non umani.

Persistendo la miopia del legislatore il giurista, avvocato o giudice che sia, deve inevitabilmente dare sfogo alla fantasia trovando la norma più vicina, più prossima, derivandola da quei principi di cui abbiamo detto o ricorrendo all’analogia.

Quella per cui il “rapporto tra proprietario e animale di affezione non è più riconducibile alla mera proprietà di un oggetto di cui il detentore avrebbe la completa disponibilità”, e che “l’animale condotto al seguito o trasportato in autovettura richiede la stessa attenzione e diligenza che normalmente si usa verso un minore” (Cass. Pen. 5 giugno 2007, n. 21805 ). Pur con i limiti di una interpretazione sempre “per relationem”, in spregio dei tanti contributi forniti dell’etologia, della biologia, della filosofia, delle scoperte scientifiche. Nella speranza che questa sorta di nomofilachia orizzontale e di cui si è sopra fatto cenno non trovi censura a livello di Corte di Cassazione.

Un efficace antidoto potrebbe essere il senso di responsabilità delle persone coinvolte in queste dolorose vicende, sempre più ricorsive. Una responsabilità che a volte latita divenendo grave irresponsabilità che conduce a comportarsi anche con gli animali di famiglia come ci si comporta, in alcuni casi, con i figli contesi e dunque utilizzando l’animale domestico solo ed esclusivamente come motivo di risentimento o rivalsa. Ma questo è un altro discorso. Non secondario ma che ci condurrebbe davvero troppo lontano.

 

5. Riflessioni conclusive

Andare avanti a fari spenti e dunque senza precisi riferimenti è pericoloso. L’insidia o preoccupazione è che le pronunce giurisprudenziali — che certo si sforzano di rendere sempre più congruenti le norme ai diversi aspetti del mutato rapporto uomo e animale — restino sbilanciate verso un’attenzione a quelle che sono le conseguenze di una determinata situazione sull’essere umano piuttosto che sull’animale. Questo perché ogni discussione – e tra queste anche quelle di natura giuridica – difficilmente parte da ciò che del mondo interessa gli animali ma quasi sempre da ciò che agli uomini interessa degli animali. Due indizi confermano questa mia preoccupazione.

Il primo.

La difficoltà di ottenere un definitivo riconoscimento di quello che è il danno non patrimoniale per la perdita dell’animale d’affezione. Dovrebbe essere una naturale evoluzione di quel filone giurisprudenziale al quale si è prima accennato. Ma sappiamo che così non è.

Il secondo indizio, svelato dall’entrata in vigore del decreto legislativo n. 170/2021 che ha introdotto alcune modifiche al codice del consumo ex decreto legislativo n. 206/2005. Tra queste, quella per cui la nozione di bene viene ampliata comprendendovi, udite udite anche gli animali vivi. Riaffora alla mia mente l’antico gioco dell’oca. Quando dopo avere raggiunto una certa casella vicina alla vittoria, improvvisamente il dado ti condanna a ritornare al via. Per poi ripartire.