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Fauna selvatica: risarcimento del danno da incidente

fauna selvatica
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Abstract

Il tema del danno cagionato da fauna selvatica rappresenta un capitolo del complicato tema della responsabilità civile. Quello originato da incidente stradali per impatto con animali selvatici ha una evoluzione giurisprudenziale. Il danno invece riconducibile ai danni verso agricoltori e allevatori (e non solo) è previsto dalla legge.1 Ci occuperemo solo del primo cercando di capire se l’overruling della sentenza n. 7969/2020 della terza sezione civile della Corte di Cassazione esprima o meno una reviviscenza della funzione nomofilattica della Corte. Quella funzione (assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge2) che è oggi inficiata dalla inevitabile mutata realtà dove il sistema delle fonti regolatrici del diritto si è ampliato oltremisura cosicché i giudici devono orientarsi, rimanendone vincolati, tra un ampio catalogo di fonti (sia nazionali che sovranazionali) che dettano la regola del caso concreto.

 

Evoluzione giurisprudenziale negli incidenti stradali originati da fauna selvatica

Vi sono diverse fasi.

Una prima fase nella quale neanche si ipotizza una responsabilità originata da quella che era considerata res nullius, cioè la fauna selvatica.

Una seconda fase nella quale divenuta quest’ultima proprietà dello Stato, amministrata dalle Regioni, la giurisprudenza ritiene l’articolo 2043 Codice Civile l’unico criterio di imputazione per questo tipo di responsabilità. Almeno sino al 2019 la giurisprudenza della Corte di Cassazione conferma questo principio. Orientamento che incassa anche il favore della Corte Costituzionale che nel 2001 (ordinanza n.4) esclude che vi sia disparità di trattamento tra il privato proprietario di un animale domestico e la Pubblica Amministrazione nel cui patrimonio sono ricompresi anche gli animali selvatici. Il legale del danneggiato deve prima individuare con ragionevole certezza il legittimato passivo quindi e provarne la colpa.

Una terza epoca nella quale lo stato di completa libertà della fauna selvatica non è più ritenuto incompatibile con quella potestà di governo sugli animali quale dna dell’ipotesi di cui all’articolo 2052 Codice Civile. Sostituendo all’articolo 2043 il 2052 Codice Civile il legittimato passivo ha come unica via di uscita la prova del caso fortuito.

Anche l’individuazione del legittimato passivo rispetto alla richiesta risarcitoria è stata soggetta a non indifferenti movimenti oscillatori della giurisprudenza.

Alcuna giurisprudenza ha individuato nella Regione l’ente pubblico (eventualmente) sempre responsabile per la colposa omessa adozione delle misure necessarie ad impedire il danno, anche laddove la Regione avesse delegato i suoi compiti ad altri soggetti.

Altra giurisprudenza ha affermato una responsabilità ascrivibile solo all’ente, sia esso Regione, Provincia, Ente Parco, Federazione o Associazione, al quale erano stati concretamente affidati taluni compiti nel singolo caso.

Altra ancora ha ritenuto doversi indagare, di volta in volta, se l’ente delegato fosse stato ragionevolmente posto in condizioni di adempiere ai compiti affidatigli o fosse un "nudus minister", senza alcuna concreta ed effettiva possibilità operativa. In alcune pronunce, più semplicemente, la responsabilità extracontrattuale è stata ascritta alla Provincia cui apparteneva la strada ove si fosse verificato il sinistro.

 

L’overruling della sentenza n. 7969 /2020 della terza sezione civile della Corte di Cassazione

È con la sentenza n. 7969 /2020 della Terza Sezione civile che la Corte di Cassazione individua nell’articolo 2052 c.c il criterio d imputazione per i danni cagionati da fauna selvatica e nella Regione il legittimato passivo.

Individuando nell’articolo 2043 Codice Civile il criterio di imputazione per i danni da impatto con la fauna selvatica il rischio era di lasciare il danno laddove esso si era verificato, senza giungere a quella integrale reintegrazione che costituisce il fine della responsabilità civile. Prospettiva che stante la frequenza e ricorsività di tali eventi dannosi assumeva particolare e preoccupante rilevanza.

È altrettanto vero che applicando oggi l’articolo 2052 Codice Civile occorre tenere in debita considerazione una dilatazione del “costo sociale” che una simile interpretazione comporta, una dilatazione o espansione che ha come esternalità negativa quella di mettere in gioco la sostenibilità di un sistema, quello appunto della responsabilità civile.

Il “il risarcimento, in altri termini, non solo secondo gli economisti della legge, ma secondo il buonsenso, è un trasferimento di ricchezza da un soggetto all’altro e il soggetto caricato del trasferimento di ricchezza è nell’Italia, ma nell’Europa e nel mondo del XXI secolo, non più solo il danneggiante, bensì anche la compagnia di assicurazione3. Alla sentenza n.7969 ne seguono altre, conformi (Cass. n.8384/2020; Cass. n.8385/2020; Cass. n.13848/2020; Cass. n.18085/2020; Cass. n.18087/2020; Cass. n.19101/2020; Cass. n.20997/2020; Cass. n. 25280/2020).

I principi di diritto enucleati sono noti.

Non vi è motivo alcuno perché l’articolo 2052 Codice Civile rimanga confinato agli animali domestici posto che la norma fa riferimento a quelli suscettibili di proprietà o di utilizzazione da parte dell’uomo che, per la fauna selvatica, è configurabile in capo allo Stato ex legge n.157/1992.  

Sono le Regioni, quali soggetti che “se ne servono” (della fauna selvatica), gli enti territoriali cui spetta la legittimazione passiva in via esclusiva in occasione delle richieste risarcitorie; laddove il danno si assuma essere stato causato dalla condotta negligente di un diverso ente cui spettava il compito di porre in essere le misure adeguate di protezione nello specifico caso, la stessa Regione potrà rivalersi nei confronti di detto ente anche chiamando in causa nello stesso giudizio avanzato nei suoi confronti dal danneggiato, onde esercitare la rivalsa e in tal caso l’onere di dimostrare l’assunto della effettiva responsabilità del diverso ente spetterà alla Regione che non potrà naturalmente avvalersi del criterio di imputazione della responsabilità di cui all’articolo 2052 Codice Civile, ma dovrà fornire la specifica prova della condotta colposa dell’ente convenuto in rivalsa, in base ai criteri ordinari.

Quanto all’onere probatorio, non è assolto sol dimostrando la presenza dell’animale sulla carreggiata e finanche l’impatto tra l’animale ed il veicolo occorrendo invece che il danneggiato dimostri l’esatta dinamica del sinistro dalla quale emerga che egli aveva adottato ogni opportuna cautela nella propria condotta di guida e che la condotta dell’animale selvatico abbia avuto effettivamente e in concreto un carattere di tale imprevedibilità ed irrazionalità per cui – nonostante ogni cautela – non sarebbe stato comunque possibile evitare l’impatto.

In altre parole al danneggiato compete l’ulteriore prova, ex articolo 2054 c.1 Codice Civile, di avere fatto tutto il possibile per evitare l’animale e ciò per superare la presunzione di concorso di colpa prevista dalla citata normativa codicistica.

 

Nomofilachia come antidoto alla incalcolabili del diritto

Già si è detto quali fossero vantaggi e svantaggi di questa oscillazione pendolare in tema di risarcimento danni a seguito di impatto con animali selvatici.

Confermata irresponsabilità in capo alla pubblica amministrazione in ambito civilistico.

Incapacità o impossibilità di prevedere prima quali saranno le conseguenze di una determinata violazione di norme.

Una incertezza di quale sarà la risposta del diritto a seconda di dove si verifica l’incidente.

Una elevata possibilità che il danno rimanga laddove esso si era verificato.

Il difetto di certezza o calcolabililità del diritto4.

Il tutto con spregio i quel principio di uguaglianza di cui all’articolo 3 della nostra Costituzione per cui occorre assicurare lo stesso trattamento a coloro che si rivolgono al giudice per cause simili o analoghe.

Proprio il ritorno ad una preziosa attività nomofilattica potrebbe rappresentare una sorta di antidoto a questa incalcolabilità del diritto, inevitabilmente conducendo il discorso al valore del precedente all’interno di un sistema di civil law dove il giudice, come è noto, è invece vincolato solo alla legge.

Dove la giurisprudenza che si forma relativamente ad un certo caso rappresenta quella giurisprudenza intesa come precedenti elaborati interpretativi della legge da applicare per decidere la controversia5. Una interpretazione che quando è opera della Corte di Cassazione, come lo è stato con la sentenza n.7969/2020, attribuisce al precedente un valore ancora maggiore.

Tanto è che laddove la Corte di Cassazione annulli con rinvio, il giudice di rinvio rimane vincolato ad uniformarsi al principio di diritto denunciato dalla Cassazione. E qualora il giudizio di rinvio venga nuovamente impugnato avanti la Cassazione, questa sarà vincolata al principio di diritto della sentenza di annullamento.

Un vincolo al precedente per cui il principio di diritto emanato da una pronuncia delle Sezioni Unite vincola una sezione della corte che in futuro si troverà avanti ad un caso simile, non potendosi quella discostare da quel principio sic et simpliciter. Lo potrà fare rinviando il caso alle stesse Sezioni Unite chiedendo di procedere ad mutamento di giurisprudenza per i motivi più diversi quali un ritenuto errore della pronuncia in questione oppure un mutamento del sentire sociale. Garantendo quei mutamenti di indirizzo, purché ragionevoli e fondati.

Forse proprio una pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite potrebbe determinare un decisivo passo avanti verso un consolidamento di quel principio di diritto di cui alla sentenza n. 7969/2020.

 

1Legge n. 157/1992

2 Articolo 65 Ordinamento Giudiziario del 1941

3Audizione alla Camera 2014. Prof. Giulio Ponzanelli modifiche in tema di. Danno non patrimoniale

4 cit. Natalino Irti

5 Il Giudice e il precedente, Pietro Curzio- Questione Giustizia-