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Ambiente e animali in Costituzione: la solita occasione (volutamente) mancata?

Ambiente e animali in Costituzione
Ambiente e animali in Costituzione

Ambiente e animali in Costituzione: la solita occasione (volutamente) mancata?

 

Sono trascorsi ormai alcuni giorni dalla notizia che ha scatenato plurime manifestazioni di giubilo per quella che da alcuni è stata definita storica modifica e da altri epocale cambiamento di rotta. Finanche rivoluzione copernicana.

Tante sono state le rivendicazioni di paternità in un paese che si è di colpo svegliato più ambientalista e animalista di quando, la sera prima, era andato a dormire. Perché, occorre dirlo, si è trattato di una riforma passata nel silenzio più assoluto, non accompagnata da un necessario e serio dibattito pubblico. Una riforma votata quasi all’unanimità. Mi chiedo in modo provocatorio se vi sia stata una non sottovalutatile inconsapevolezza di quello che si è approvato. L’alternativa potrebbe essere una lucida consapevolezza che si sarebbe trattato di una riforma destinata a restare simbolica.

Una provocazione, la mia, lo ammetto. Alimentata da una oggettiva (e riconosciuta) scarsa rappresentatività del nostro Parlamento che è stato però capace, senza che mai fosse accaduto prima, di intervenire su quelli che sono i principi della nostra costituzione. La domanda, come avrebbe detto qualcuno, sorge spontanea.

Si è realmente trattato di reale cambiamento di rotta o più mestamente di iconica proclamazione di una legge manifesto? Di una promessa, peraltro facile, perché pur con ineliminabili differenti punti di vista, è davvero difficile trovare qualcuno che si opponga ad un ambiente più salubre che contempli tra i suoi soggetti anche gli animali. E tra questi, alcuni e non altri.

Invero – in passato – non sono mancate le dichiarazioni di chi si è dichiarato sospeso tra lo stupore e l’incredulità di fronte ad un riconoscimento degli animali all’interno della Costituzione. Questo riconoscimento avrebbe significato sostituire i menù dei ristornati –soprattutto vegani o vegetariani – con la carta costituzionale. Che i pescherecci non sarebbero più usciti in mare perché se lo avessero fatto avrebbero violato gli ecosistemi marini. Che anche gli insetti e i moscerini avrebbero beneficiato di una tutela costituzionale gettando nella disperazione camionisti e viaggiatori autostradali.

Iperboli, certo. Ritenerle però (solo) mere boutade sarebbe un errore. Come sarebbe ugualmente un errore ritenere che questa riforma (soprattutto per quanto riguarda l’articolo 9) esprima inequivocabilmente una diversa e più diffusa sensibilità verso gli animali e il loro benessere.

Troppe le aporie che mi inducono a non ritenerlo.

Solo alcuni esempi.

Una ulteriore proroga triennale riferibile alla sperimentazione animale appena approvata;

la definitiva classificazione degli animali come beni (codice del consumo);

la reiterata ignoranza (nel senso di ignorare) il reale benessere degli animali (di tutti gli animali) da parte del legislatore europeo.

Un’abolizione del circo che utilizza gli animali ormai dimenticata. Una caccia che miete sempre più vittime. Non solo non umane. L’idea di risolvere ogni problema (mi riferisco a lupi, orsi, cinghiali, nutrie) solo con una eliminazione di massa. Un codice civile che, relativamente alla posizione degli animali, è praticamente fermo al medioevo. Un codice penale riformato a metà.

Provo allora a proporre tre riflessioni. Una di carattere generale. La seconda riguarda l’intera riforma costituzionale. L’altra segnatamente l’art. 9 e ancora più segnatamente il tema animali.

La prima.

Il ritenuto silenzio della nostra Costituzione sul tema ambiente e su quello degli animali creava imbarazzo al legislatore ordinario e in metteva in difficoltà la giurisprudenza. Un legislatore che, percependo comunque l’insofferenza più che giustificata delle associazioni ambientaliste e animaliste (alle quali va un plauso senza riserva alcuna), era e rimane subordinato a infiniti interessi particolari. Una giurisprudenza che in non poche occasioni è stata più realista del re creando però un inevitabile e non oltremodo incertezza del diritto pervenendo a decisioni spesso contraddittorie (penso al tema della fauna selvatica, a quello del riconoscimento del danno non patrimoniale per la morte dell’animale domestico; alle decisioni in tema di maltrattamento in danno degli animali quando più che fisico appare psicologico).

La seconda riflessione.

Dobbiamo domandarci se questa riforma (in particolare l’art. 9) sia solo la costituzionalizzazione di un principio giù esistente (e dunque non vi era necessità di intervenire: la tutela ambientale era già scritta negli artt. 9 e 32) oppure può rafforzare il riconoscimento di un valore già patrimonio di un sistema.

Dunque una sfida al principio di cui alla sentenza della Corte Costituzionale n. 85 del 2013 (caso Ilva). Quella per cui non esistono principi e diritti che prevalgono su altri previsti in Costituzione. L’avere indicato nell’art. 41 salute e ambiente come limite all’iniziativa economica privata significa proprio il venire meno di quella sentenza. Se e qualora la Corte Costituzionale dovesse licenziare un’altra sentenza come quella del 2013 vorrà forse dire che l’art. 41 non è stato preso sul serio (cit. Prof. Gaetano Azzariti).

Vengo alla terza riflessione.

In tema di animali cosa è cambiato? Vi è un rimando alla legge: “La legge dello stato determina i modi e le forme di tutela della legge. Dunque una riserva di legge. Ma di leggi in tema di tutela animali ne abbiamo.

Anche di valore paracostituzionale (trattato di Lisbona), pur con i suoi fisiologici limiti ampiamente dimostrati dal momento che subordina la sua applicazione ad una serie di attività economiche umane nonché alle tradizioni e religioni di ciascun paese firmatario. A onor del vero vi sono anche perplessità circa il fatto che si tratta di un “principio generale del diritto europeo” dal momento che la giurisprudenza della Corte europea –ante e post il Trattato di Lisbona – ha escluso si tratti di un principio generale del diritto europeo affermando invece che la protezione del benessere degli animali costituisce un obiettivo legittimo di interesse generale invocabile dagli Stati membri nonché un interesse di cui le istituzioni comunitarie devono tener conto nell’esercizio delle loro competenze.

Mi permetto azzardare che quello della tutela non può essere considerato più un problema. La tutela può essere rafforzata, migliorata. Certo che sì. Ma a livello di legislazione ordinaria. Quella penale ha le sue origini nel Codice Zanardelli (1889), per poi migrare nel Codice Rocco e trovare la sua massima espansione con la legge 189/2004. Sotto questo aspetto, come anticipato, ci si può interrogare circa la qualità e i contenuti (e dunque l’efficacia) di questa tutela che, a riflettere bene, rappresenta la misura legalmente accettabile di una violenza verso gli animali.

Il problema è non confondere la tutela con la soggettività in capo agli animali. La tutela riconosciuta agli animali non consente di riconoscerli (ancora) come titolari di diritti e dunque l’antico interrogativo se sia possibile immaginare e sostenere che la titolarità di un diritto sia indipendente dalla condizione di persona umana rimane ancora privo di risposta. Nonostante la riforma. Ecco perché sono persuaso che sia importante ricondurre il dibattito laddove una nuova norma abbia promesso qualcosa e nello stesso tempo ne abbia oscurata altra di cosa. Mi riferisco ai costi qualitativi e quantitativi degli articoli costituzionali come riformati, se oggetto di una attuazione integralista.

Una speranza.

Quella che il legislatore torni a decidere, a stabilire princìpi senza limitarsi ad accertare e confermare l’esistente facendoci realmente intendere se l’antropocentrismo normativo che caratterizza il nostro ordinamento sia in fase di cambiamento o di avanzata trasformazione a beneficio di una prospettiva diversa. Magari come quella dei paesi latino-americani per i quali la natura può essere un soggetto di diritto traslocando dal diritto degli umani ad avere un ambiente salubre al diritto della natura, in quanto tale, a rigenerarsi.

In ogni caso e comunque, “La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose e il coraggio per cambiarle” (SantAgostino).