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Gli strumenti deflattivi del contenzioso: dalla mediazione obbligatoria al tentativo di conciliazione in materia agraria

Rassegna dei casi di mediazione obbligatoria e di mediazione assistita
mediazione obbligatoria
mediazione obbligatoria

Il nostro legislatore, anche se non sempre in modo fruttifero, ha tentato più volte con innumerevoli strumenti di evitare un abuso delle domande giudiziali e dunque che i tribunali si ingolfassero con cause spesso pretestuose ed infondate: tra questi strumenti si evidenziano, su tutti, la mediazione obbligatoria ex Decreto Legislativo 28/2010, la negoziazione assistita, l’arbitrato bancario-finanziario, il tentativo obbligatorio di conciliazione.

C’è chi ancora non crede nell’efficacia deflattiva di questi interventi, ma se le parti e coloro che svolgono la professione di mediatore/conciliatore operassero e si comportassero sempre con positiva attitudine alla risoluzione stragiudiziale delle controversie, le nostre aule di Tribunale sarebbero sicuramente meno affollate.

Da una analisi a campione condotta dal Ministero della Giustizia, con riferimento al primo trimestre 2022, risulta che il tasso di successo della mediazione civile è salita al 46,1% se le parti accettano di sedersi al tavolo della mediazione stessa, anche dopo il primo incontro.

Le materie che stimolano maggiore adesione tra le parti (ciò senza implicare l’automatico successo della mediazione) rimangono le successioni ereditarie (68,6%), le divisioni (64,4%), gli inadempimenti dovuti alle misure di contenimento COVID d.l. 6/20 articolo 3 co. 6bis e 6ter (61,4%), i diritti reali (59,4%), le locazioni (58,3%), l’affitto di aziende (55,2%) e le questioni condominiali (54,7%).

 

1. Sulla Mediazione obbligatoria o facoltativa

Il Decreto Legislativo n. 28/2010 disciplina l’istituto della mediazione civile e commerciale, quale modalità di risoluzione delle controversie mediante l’intervento di un mediatore terzo (designato dall’Organo di mediazione scelto dalla parte istante) che aiuta le parti a raggiungere un possibile accordo.

L’esperimento del tentativo di mediazione è obbligatorio per le controversie inerenti specifiche materie previste dalla legge, rimanendo ferma sempre la facoltà di accedere al procedimento di mediazione per tutte le altre controversie aventi ad oggetto diritti disponibili.


L’articolo 5 comma I bis del Decreto Legislativo 28/2010, statuisce che la mediazione è obbligatoria quando la controversia abbia ad oggetto questioni inerenti alla materia:

§  condominio

§  diritti reali

§  divisione

§  successioni ereditarie

§  patti di famiglia

§  locazione

§  comodato

§  affitto di aziende

§  risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità

§  contratti assicurativi, bancari e finanziari

In tutti questi casi, il tentativo di risolvere la controversia con la procedura di mediazione è obbligatorio in quanto è condizione di procedibilità della domanda giudiziale.


Parimenti, anche la mediazione delegata è obbligatoria: il Giudice, anche in sede di appello (prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima della discussione della causa), valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti (cfr. articolo 5 comma II Decreto Legislativo 28/2010), può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione, valevole anche in questo caso come condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

Ad ogni modo, per avviare o aderire a una mediazione obbligatoria le parti devono essere necessariamente assistite da un avvocato iscritto all’albo, così come per avviare o aderire a una mediazione facoltativa. In capo al mediatore devono sussistere dei precisi requisiti di onorabilità, competenza, terzietà e imparzialità. Invero, quest’ultimo è colui che gestisce la procedura di mediazione attraverso metodi di problem solving, brain storming ecc. con l’assoluto divieto di assumere decisioni vincolanti per i destinatari dell’attività conciliativa.


Il compito del mediatore è quello di accompagnare le parti verso una soluzione condivisa che eviti il ricorso all’Autorità Giudiziaria.   

 

Sulla procedura di mediazione

Il procedimento di mediazione (sia obbligatoria che facoltativa) si articola in più fasi.

La prima attività riguarda il deposito della domanda di mediazione presso un organismo di mediazione iscritto presso il Registro del Ministero della Giustizia. L’Organismo adito procede dunque alla designazione di un Mediatore e alla fissazione del primo incontro tra le parti non oltre trenta giorni dal deposito della domanda (incontro che viene comunicato a tutte le parti coinvolte nel procedimento).

La seconda fase riguarda lo svolgimento del primo incontro (e gli eventuali successivi incontri) in cui il Mediatore si adopera (o almeno dovrebbe farlo) affinché le parti raggiungano un accordo di definizione della controversia.

Al termine del primo incontro il mediatore redige il verbale che, sottoscritto anche dalle parti, permette di assolvere alla condizione di procedibilità.

Si consideri che l’accordo può essere raggiunto spontaneamente dalle parti ovvero su proposta del Mediatore: quest’ultimo, infatti, se le parti ne fanno concorde richiesta, è tenuto a formulare una proposta di conciliazione in qualunque momento del procedimento (a condizione che vi siano tutti gli elementi necessari per contemplare una bozza di accordo. Le parti saranno ovviamente libere di accettare o meno la proposta.      

Il procedimento può concludersi:


- negativamente: al primo incontro per mancata adesione della parte chiamata o per mancato accordo di tutte le parti a dare seguito alla procedura oppure all’esito della procedura qualora le parti non raggiungano un accordo;


- positivamente: mediante il raggiungimento dell’accordo. In questo caso il Mediatore redige processo verbale, al quale è allegato il testo dell’accordo che, se sottoscritto da parti e avvocati, assume valore di titolo esecutivo.

 

2. Sulla negoziazione assistita

La procedura di negoziazione assistita, introdotta con D.L. 12 settembre 2014 n. 132, convertito in L. 10 novembre 2014 n. 162, è stata pensata come valido strumento attraverso il quale, con l’assistenza di uno o più avvocati, le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via bonaria una controversia.

La procedura di negoziazione assistita può essere utilizzata, in alternativa alla giurisdizione ordinaria, per qualsiasi tipo di controversia purché si verta in materia di diritti disponibili.

L’esperimento della negoziazione assistita funge poi come condizione di procedibilità della domanda giudiziale di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti e di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti gli € 50.000,00 ove non si tratti di uno dei casi di cui all’articolo 5 comma 1-bis del Decreto Legislativo 28/2010 (condominio, diritti reali, successioni ecc. cfr. parag.1).

La procedura di negoziazione assistita è altresì obbligatoria per le controversie in materia di contratto di trasporto o di sub-trasporto (quest’ultima materia è stata introdotta dalla legge n. 190/2014, articolo 1 comma 249 c.d. legge di stabilità 2015).

La procedura di negoziazione assistita può essere anche utilizzata per le soluzioni consensuali di separazione personale, cessazione degli effetti civili del matrimonio, scioglimento del matrimonio, e di modifica delle condizioni di separazione e divorzio (articolo 6 – D.L. 132/2014).

La procedura in esame prevede anch’essa molteplici fasi: la prima fase riguarda l’invito alla stipula di una convenzione di negoziazione assistita, formulato con raccomandata A/R o con pec alla controparte.

Tale invito deve indicare espressamente che la mancata risposta entro trenta giorni dalla ricezione o il suo rifiuto potrà essere valutato dal Giudice ai fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli artt. 96 (Responsabilità aggravata) e 642 (Esecuzione provvisoria), primo comma, del codice di procedura civile. La parte invitata ha 30 gg dal ricevimento della lettera per accettare o rifiutare l’invito. In caso di rifiuto espresso o tacito, la parte istante ha facoltà di avviare il giudizio avendo così soddisfatta la condizione di procedibilità.

Qualora la parte chiamata alla stipula accetti l’invito, inizia la seconda fase, in cui le parti, assistite dai rispettivi avvocati, stipulano un accordo in base al quale le parti stesse dichiarano di voler cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia (cd. convenzione di negoziazione assistita).

L’accordo deve contenere necessariamente l’oggetto della controversia, nonché la durata della negoziazione (max 3 mesi e, in ogni caso, non inferiore a un mese). Nel caso in cui la negoziazione abbia avuto esito positivo, le parti raggiungono un assetto di interessi che verrà trasposto nell’accordo definitivo, il quale costituisce titolo esecutivo e titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. Infatti, ove l’accordo non venga eseguito spontaneamente, la parte interessata potrà sempre metterlo in esecuzione, senza che sia necessaria una pronuncia giudiziale[1].

Al fine di monitorare il ricorso alla negoziazione assistita e consolidare l’affidamento agli avvocati della procedura alternativa di risoluzione delle controversie, è stato previsto l’onere per gli avvocati difensori che sottoscrivono l’accordo di trasmettere copia dell’accordo di negoziazione al Consiglio dell’Ordine di appartenenza ovvero del luogo ove l’accordo è stato concluso.

 

Sul tentativo di conciliazione nel rito del lavoro e nelle controversie agrarie

In tema di rapporti di lavoro, l’articolo 410 c.p.c., vecchio testo, c.p.c. prevedeva, per chi volesse proporre domanda relativa ai rapporti previsti dal precedente articolo 409 (tra cui i rapporti agrari, salva la competenza delle Sezioni Specializzate Agrarie) la facoltà di promuovere presso la commissione di conciliazione dell’Ufficio Provinciale del Lavoro il tentativo di conciliazione tra le parti.

Il Decreto Legislativo n. 80/98 ha poi reso obbligatorio il tentativo di conciliazione. Successivamente, nel 2010, con legge n. 183, si è ritornati alla facoltatività del tentativo ex articolo 410 c.p.c. Il legislatore ha dunque espresso molto chiaramente la volontà di rendere il medesimo nuovamente una opzione a scelta dell’istante, senza che ciò possa incidere sulla valutazione di ammissibilità o meno della domanda.  È tuttavia sempre rimasto fermo l’obbligo del tentativo di conciliazione – a pena di improcedibilità – in relazione a controversie per nullità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo ed in tema di procedura di certificazione dei contratti di lavoro ex Decreto Legislativo 10 settembre 2003 n. 276.

La dottrina si è chiesta se la disciplina introdotta dagli artt. 410 e segg. c.p.c. dovesse ritenersi applicabile anche alle controversie agrarie. La risposta è stata negativa: invero, secondo autorevoli autori[2], il sistema non era e non è estensibile alle controversie agrarie, per una ragione essenziale: esiste una disciplina processuale positiva, contenuta nella disposizione dell’articolo 46 (oggi sostituita dall’articolo 11 del Decreto Legislativo n. 150 del 2011), che regola già interamente la materia del tentativo di conciliazione nel processo agrario.

L’articolo 11 del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, esattamente al comma III, ha riprodotto integralmente l’46 della Legge n. 203/1982, il quale prevedeva per colui che intendesse proporre in giudizio una domanda relativa ad una controversia agraria, l’onere di promuovere preventivamente il tentativo di conciliazione, a pena di improponibilità[3]. Attesa la mancanza di variazioni sostanziali con l’intervento legislativo del 2011, può dirsi che nulla è stato innovato in tema di tentativo di conciliazione.

La parte istante è infatti sempre tenuta ad inviare alla controparte ed all’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura (Organismo designato all’uopo) competente per territorio, una lettera raccomandata con avviso di ricevimento con cui si preannuncia l’intenzione di incardinare un giudizio nei confronti del chiamato con richiesta all’Ispettorato di fissazione di una data per il tentativo di conciliazione.

Sul punto, è opportuno rammentare che deve ricorrere la coincidenza oggettiva e soggettiva tra la richiesta di conciliazione e la domanda successivamente incardinata[4].

Come già detto, il tentativo di conciliazione è previsto come condizione di proponibilità della domanda, la cui omissione può essere rilevata in ogni stato e grado del giudizio, sempre che sia stata eccepita nei precedenti gradi. L’obbligo della conciliazione non deve percepito come un ultroneo adempimento burocratico da svolgere ma deve essere percepito nella sua intrinseca funzione: la sede per il raggiungimento di una soluzione precontenziosa condivisa tra le parti.

Tuttavia, la grande differenza tra la conciliazione in materia agraria e gli altri strumenti deflattivi si radica nel fatto che mentre l’azione giudiziaria non preceduta dal tentativo obbligatorio di conciliazione – sempre preventivo all’instaurazione del processo – non è “proponibile” e comporta una pronuncia di “inammissibilità” della domanda, negli altri casi, come nella mediazione obbligatoria, la fase conciliativa costituisce condizione di procedibilità da esperirsi preventivamente ma anche in corso di causa, così da svolgere efficacia sanante.

In ordine all’oggetto del tentativo, si precisa che esso deve riguardare tutte le domande proposte, anche se in via alternativa o subordinata, nonché le domande riconvenzionali proposte dal convenuto.  In merito poi alla procedura, il capo dell’Ispettorato Agrario è tenuto a convocare le parti ed i rappresentanti delle associazioni professionali di categoria, se indicati, entro 20 giorni dalla ricezione dell’istanza.

A prescindere dall’esito della conciliazione, dell’incontro dovrà essere redatto processo verbale – sottoscritto da tutti i partecipanti (le parti, i rappresentanti delle associazioni professionali, ove presenti, e il funzionario dell’Ispettorato)[5] in cui, nell’ipotesi di mancato accordo, si darà atto delle reciproche posizioni delle parti.

Il verbale redatto al termine di una conciliazione positiva ha valore di scrittura privata autenticata e non di titolo esecutivo. Se la procedura di conciliazione invece non si conclude entro 60 giorni dalla comunicazione dell’istante all’Ispettorato, ciascuna parte si potrà ritenere libera di adire direttamente l’Autorità Giudiziaria.

È ormai pacifico che il tentativo obbligatorio di conciliazione si considera assolto con la mera richiesta di attivazione della procedura presso l’ispettorato provinciale dell’agricoltura ed alla controparte. Di conseguenza, trascorso il termine fissato dalla normativa, la parte può incardinare il giudizio senza che rilevi né l’avvenuta convocazione delle parti e delle associazioni di categoria ad opera dell’ispettorato, né l’eventuale mancata presentazione delle stesse, pur convocate, né, ancora, l’eventuale fallimento del tentativo di conciliazione (tra la recente giurisprudenza di merito sul punto cfr. Tribunale sez. agraria - Mantova, 18/10/2021, n. 963).

 

Altri strumenti deflattivi del contenzioso

In conclusione, si segnala che per le controversie riguardanti contratti aventi ad oggetto servizi di telecomunicazioni, il Legislatore (l’articolo 1, comma 11 della l. n. 249 del 1997) ha previsto la necessità – dinanzi al CORECOM – di un tentativo obbligatorio di conciliazione, la cui omissione determina l’improponibilità della domanda dinanzi al Giudice.

In questa materia, invero, nessuna norma prevede l’ulteriore requisito della coincidenza tra l’oggetto del tentativo di conciliazione e quello della causa proposta poi in caso di esito negativo della conciliazione, posto che le norme vigenti si limitano a stabilire che la controversia giudiziale debba essere preceduta da un tentativo di conciliazione dinanzi al CORECOM competente. Ad ulteriore conferma di ciò, posto che il tentativo di conciliazione non richiede l’assistenza tecnica di un difensore, è evidente che non ha senso assumere che il tentativo di conciliazione debba contemplare

petita e causae petendi identici a quelli delle domande svolte in causa: tale procedura, infatti, non ha natura di controversia giudiziale e quindi è ovvio che non abbia una causa petendi ed un petitum qualificabili come tali (cfr Tribunale sez. XI - Milano, 06/10/2021, n. 8044).

Da non dimenticare, l’Arbitro Bancario Finanziario (ABF), organo imparziale sostenuto da Banca d’Italia, che opera come arbitro in caso di contenzioso tra consumatore e banca (o altro intermediario finanziario).

Il procedimento si incardina previo reclamo inoltrato all’Istituto di credito da parte del consumatore. Se entro 30 giorni, la Banca non fornisce riscontro o la risposta risulta insoddisfacente, entro un anno il consumatore può promuovere l’arbitrato.

Una volta che l’Organismo riceve il ricorso, viene data comunicazione anche alla Banca, la quale ha 45 giorni di tempo per esporre le proprie argomentazioni difensive. La procedura prevede inoltre il deposito di repliche e controdeduzioni.

Sentite le parti, l’ABF entro due mesi si pronuncia sul merito.

 

 

[1] In tal caso, l’accordo deve essere integralmente trascritto nel precetto ai sensi dell’articolo 480, secondo comma, del codice di procedura civile.

[2] Rauseo N. “Il tentativo obbligatorio di conciliazione ex articolo 46 della legge n. 203/82 alla luce dell’introduzione dell’articolo 412 bis c.p.c.” in Diritto e Giurisprudenza agraria, alimentare e dell’ambiente 2011.

[3] Cassazione civile sez. III - 15/07/2008, n. 19436

[4] Tribunale sez. I - Civitavecchia, 21/01/2022, n. 110

Il giudice investito di una controversia in materia di contratti agrari, al fine di verificare se la domanda sottoposta al suo esame sia o meno proponibile - ossia se sussista la condizione di procedibilità del previo esperimento della conciliazione prevista dall’articolo 11, comma 3 del d.lgs n. 150 del 2011 - non si può limitare alla verifica formale del deposito di un verbale di conciliazione, ma deve accertare non solo la perfetta coincidenza soggettiva fra coloro che hanno partecipato al tentativo di conciliazione e quanti hanno assunto nel successivo giudizio la qualità di parte, ma anche che le domande formulate dalle parti siano le stesse intorno alle quali il tentativo medesimo si è svolto”.

[5] La firma dei rappresentanti di categoria assume maggior valore nel caso in cui si siano raggiunti patti transattivi in deroga.