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Le modifiche introdotte dalla L. n. 130/2022 agli istituti deflattivi della mediazione e della conciliazione nel processo tributario

mediazione tributaria
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Le modifiche introdotte dalla L. n. 130/2022 agli istituti deflattivi della mediazione e della conciliazione nel processo tributario

 

Sommario

La fase di reclamo-mediazione e la conciliazione ante riforma
Le modifiche apportate dalla L. n. 130/2022
Le novità dell’istituto deflattivo del reclamo-mediazione
La conciliazione proposta dalla Corte di Giustizia tributaria
La condanna alle spese del giudizio nel caso di mancata conciliazione


La fase di reclamo-mediazione e la conciliazione ante riforma

Per mediazione tributaria, si intende una proposta di accordo che il contribuente inserisce nell’istanza di reclamo contro determinati atti emanati dall’Agenzia delle Entrate. Lo scopo di tale mediazione è, pertanto, quello di evitare il ricorso alla giustizia tributaria per la risoluzione di quelle controversie risolvibili in sede amministrativa attraverso un esame volto ad anticipare l’esito ragionevolmente atteso del giudizio.

La mediazione tributaria inizialmente è stata applicata con riferimento agli atti suscettibili di reclamo notificati a decorrere dal 1° aprile 2012 e precisamente gli atti ricevuti dal contribuente a decorrere da tale data.

L’art. 17-bis, inserito nel D.lgs n. 546/1992 dall’art. 39, comma 9 D.L. n. 98 del 6 luglio 2011(conv. con modificazioni dalla L. n. 111/2011) e modificato, altresì, dal D.L. n. 50 del 24 aprile 2017 (convertito con modificazioni dalla legge 21 giugno 2017, n. 96) prevede come obbligatorio il ricorso alla mediazione tributaria se il valore della causa non è superiore a € 50.000.
Tale limite è stato variato rispetto al precedente di € 20.000 a seguito dell’entrata in vigore della c.d. Manovra correttiva di aprile 2017 (
D.L n.50 del 24 aprile 2017, convertito con modificazioni dalla legge  21 giugno 2017, n. 96).

La modifica de qua è stata applicata agli atti impugnabili notificati a decorrere dal 1° gennaio 2018.

In sintesi,  l'istituto del reclamo-mediazione in ambito tributario è una procedura, da esperire obbligatoriamente, a pena di improcedibilità, prima della costituzione in giudizio, per le controversie di valore non superiore ad € 50.000 (inteso come importo delle imposte, al netto di sanzioni e interessi) derivanti da atti di accertamento, avvisi di liquidazione, atti di irrogazione sanzioni (in tal caso, il valore della lite è dato dalle sole sanzioni), iscrizioni a ruolo (e, dunque, cartelle di pagamento a seguito di avvisi bonari), rifiuti espressi o taciti di rimborsi di tributi, sanzioni e interessi, dinieghi o revoche di agevolazioni.

Nello specifico, tale istituto deflattivo consiste nella presentazione, entro il termine di presentazione del ricorso (60 giorni dalla notifica dell'atto reclamabile), di un unico atto contenente sia il ricorso che l'istanza di mediazione all'Ufficio.

Trascorsi novanta giorni dal ricevimento del reclamo da parte dell'Ufficio, senza che sia stata conclusa la mediazione ovvero che sia intervenuto l'accoglimento, anche parziale, o il diniego dell'istanza, inizia a decorrere il termine di 30 giorni per l'eventuale costituzione in giudizio del contribuente.

A tal proposito, la Corte Costituzionale, con ordinanza n. 38 del 15 febbraio 2017, è intervenuta sull’istituto in oggetto precisando che il legislatore ha perseguito l’interesse generale alla deflazione del contenzioso tributario in modo ragionevole, prevedendo il rinvio dell’accesso al giudice con riferimento alle liti (quelle nei confronti dell’Agenzia delle entrate) che, come è ben noto, rappresentano il numero più consistente delle controversie tributarie e, parimenti, a quelle  liti che comportano le minori conseguenze finanziarie sia per la parte privata che per quella pubblica.

Pertanto, a parere del Giudice delle Leggi, la predetta scelta legislativa è stata il risultato del corretto esercizio della discrezionalità legislativa, non censurabile né sul piano del diritto alla tutela giurisdizionale, né su quello del rispetto dei princìpi di uguaglianza e ragionevolezza.

Nonostante le pregevoli finalità deflattive dell’istituto del reclamo-mediazione, tuttavia, analizzando i recenti dati, emerge che l’istituto de quo ha assunto una mera veste formale.

Difatti, secondo i dati relativi all’anno 2021, a fronte di oltre 35.000 istanze presentate, soltanto il 6,7% si è chiusa con un accordo di mediazione e la questione è stata identica anche negli esercizi precedenti, sin dall'introduzione nel 2011.

In sostanza, sino ad oggi, tale procedimento è stato esclusivamente formale tanto dal lato dell'Agenzia delle Entrate, quanto del contribuente.

Tenuto conto della finalità deflattiva del contenzioso perseguita dall’istituto del reclamo-mediazione e anche al fine di incoraggiare un’adeguata istruttoria dei reclami pervenuti e una ponderata valutazione delle proposte di mediazione, la novella legislativa di cui all’art. 4, co.1 lett. e) della L. n. 130/2022, ha aggiunto all’articolo 17-bis, il comma 9-bis, a norma del quale, nelle controversie in esame ex art. 17-bis cit., in caso di rigetto del reclamo o di mancato accoglimento della proposta di mediazione, la soccombenza di una delle parti, in accoglimento delle ragioni già espresse in sede di reclamo o mediazione, comporta, per la parte soccombente, la condanna al pagamento delle relative spese di giudizio (di questo ne daremo adeguata contezza di seguito).

Di converso, la conciliazione giudiziale, disciplinata dagli articoli da 48 a 48-ter del D.lgs n. 546/92, rappresenta un accordo tra ente impositore e contribuente e ha come principale effetto la riduzione delle sanzioni, che può essere al 40% del minimo, se perfezionata entro il primo grado di giudizio oppure al 50% del minimo, se perfezionata entro il secondo grado.

La conciliazione causa l'estinzione del processo per cessazione della materia del contendere, con decreto presidenziale (se in sede di esame preliminare del ricorso) o sentenza (se in udienza).

Nel dettaglio, la conciliazione de qua, come modificata dall’art. 9, comma 1, lett. s), t) del D. Lgs. n. 156/2015, è il mezzo attraverso il quale il contribuente può definire, in tempi ristretti, un contenzioso, già in atto o anche solo potenziale, godendo di una riduzione delle sanzioni amministrative, variabile in base al grado di giudizio in cui si perfeziona.

La disciplina della conciliazione è contenuta negli articoli 48 (conciliazione fuori udienza), 48 bis (conciliazione in udienza) e 48 ter (definizione e pagamento delle somme dovute).

  • La conciliazione fuori udienza (art. 48, D. Lgs. n. 546/1992).

Tale istituto deflattivo presuppone la presentazione di una istanza congiunta sottoscritta personalmente dalle parti o dai difensori, per la definizione totale o parziale della lite. Qualora la data di trattazione è già fissata, provvede la Corte di Giustizia Tributaria che, verificata la sussistenza delle condizioni di ammissibilità, dichiara con sentenza la cessazione della materia del contendere. Se l’accordo è parziale, la Corte provvede per tale parte con ordinanza, procedendo alla ulteriore trattazione della causa. Nel caso in cui la data di trattazione non è ancora fissata, provvede il presidente della sezione con decreto.

Tale conciliazione può essere proposta:

  1. da ciascuna delle parti entro dieci giorni liberi prima della data di trattazione, riferibile sia al primo che al secondo grado, con istanza di trattazione in pubblica udienza;
  2. dalla Corte in udienza la quale, sussistendo le condizioni di ammissibilità, invita le parti a conciliarsi, rinviando eventualmente la causa alla successiva udienza per il perfezionamento dell’accordo.

In caso di raggiungimento dell'accordo e, a seguito della valutazione di legittimità, il Collegio redige il processo verbale nel quale vengono analiticamente indicate le somme dovute a titolo di imposta, sanzioni e interessi, nonché i relativi termini e le modalità di pagamento. Il processo verbale costituisce titolo per la riscossione delle somme. A seguito dell'avvenuta conciliazione, la Corte dichiara, con sentenza, l’estinzione del giudizio per cessata materia del contendere.

Di seguito si riportano gli aspetti normativi salienti dell’istituto:

  1. l'estensione della conciliazione ai giudizi pendenti in secondo grado;
  2. la possibilità di conciliare le controversie che ricadono nell'ambito di applicazione dell'istituto del reclamo/mediazione di cui all’articolo 17 bis, D. Lgs. n. 546/1992, cioè le cause tributarie di valore non superiore a 50.000 euro, e quelle relative al classamento e all’attribuzione della rendita catastale, anche se di valore indeterminabile, instaurate a seguito di rigetto dell'istanza di reclamo ovvero di mancata conclusione dell'accordo di mediazione;
  3. l’estensione dell’istituto alle controversie sorte a seguito di diniego espresso o tacito di rimborso. I commi 4 dell’art. 48 e comma 3 dell’art. 48 bis, infatti, prevedono ora, rispettivamente, che l’accordo conciliativo e il processo verbale costituiscono “titolo per la riscossione delle somme dovute all’ente impositore e per il pagamento delle somme dovute al contribuente”;
  4. l’accordo conciliativo si perfeziona non più con il versamento dell'importo, ma con la sottoscrizione dell'accordo conciliativo o del processo verbale;
  5. il versamento delle somme dovute o, in caso di versamento rateale, della prima rata, va effettuato entro venti giorni dalla data di sottoscrizione dell'accordo o di redazione del processo verbale. Gli importi dovuti a titolo di conciliazione devono essere diminuiti delle eventuali somme versate dal contribuente a titolo di iscrizione provvisoria;
  6. in caso di rateazione il contribuente potrà optare per il versamento di massimo otto rate trimestrali, elevate a sedici per importo maggiori di cinquanta mila euro, a seguito del rinvio operato dall'articolo 48 ter, comma 4, del D. Lgs. n.546/92;
  7. le sanzioni amministrative si applicano nella misura del 40% e nella misura del 50% del minimo previsto dalla legge, se la conciliazione si perfeziona rispettivamente nel primo e nel secondo grado di giudizio.

Sul punto si precisa che la giurisprudenza e la dottrina auspicavano da tempo una riscrittura dell'art. 48 D.lgs. n. 546/92 con lo scopo di affrancare il giudice da un ruolo esclusivamente notarile e attribuirgli, di conseguenza, un ruolo propulsivo o comunque più incisivo.

Tale ruolo propulsivo del giudice tributario è stato in parte attuato con l’aggiunta da parte della L.n.130/2022 dell’art.48 bis.1 prevedendo il nuovo istituto della conciliazione, su proposta del giudice tributario, nella fase di mediazione.

Tanto chiarito, occorre evidenziare che il nuovo canale deflattivo della “Conciliazione proposta dalla corte di giustizia tributaria introdotto con l’art. 48-bis.1, si aggiunge alla fase di reclamo-mediazione obbligatoria di cui all’art. 17-bis, D.lgs. 546/1992, di cui illustreremo più approfonditamente di seguito.
 

Le modifiche apportate dalla L. n. 130/2022

Le novità dell’istituto deflattivo del reclamo-mediazione

L’articolo 4, comma 1, lett. e) aggiunge all’art. 17-bis del D.lgs. 546/1992 il comma 9-bis, il quale disciplina l’ipotesi in cui, a seguito del rigetto dell’istanza di reclamo o della proposta di mediazione, senza un giustificato motivo, laddove in sede giudiziale vi sia accoglimento delle ragioni già espresse in sede di reclamo o mediazione, la parte soccombente deve essere condannata al pagamento delle relative spese di giudizio. L’eventuale condanna dell’Amministrazione può rilevare ai fini della responsabilità amministrativa del funzionario che ha immotivatamente rigettato il reclamo o non accolto la proposta di mediazione.

Il reclamo mediazione si configura particolarmente come espressione dell’esercizio di un potere di autotutela, nonché di una più attenta determinazione dell’ente impositore, che va stimolato ed incoraggiato, per indurre l’ufficio a rivedere i propri errori prima dell’intervento del giudice tributario. L’ufficio che procede all’istruttoria del reclamo mediazione presentato, se non intende accogliere il reclamo o l’eventuale proposta di mediazione del contribuente, ne può formulare una propria.

Nel valutare il reclamo mediazione, l’ufficio deve tenere presenti tre criteri specifici previsti dalla legge, l’«eventuale incertezza delle questioni controverse», il «grado di sostenibilità della pretesa» e il «principio di economicità dell’azione amministrativa». A questi tre criteri, si aggiungono ora le novità della riforma, con l’ufficio che, in caso di rigetto immotivato del reclamo, subirà la condanna al pagamento delle spese di giudizio, condanna che può rilevare ai fini della responsabilità amministrativa del funzionario che ha rigettato l’istanza o non accolto la proposta di mediazione.

Il legislatore, con la nuova formulazione dell’art. 17-bis del D.lgs n.546/1992, con l’introduzione del citato comma 9-bis, si pone lo scopo di deflazionare il contenzioso ponendo, a carico del funzionario responsabile dell'ente, l'onere di prestare particolare attenzione alle ragioni espresse dal contribuente già in fase di mediazione.

Difatti, sempre l'articolo 17-bis prevede che “per le controversie di valore non superiore a cinquantamila euro, il ricorso produce anche gli effetti di un reclamo e può contenere una proposta di mediazione con rideterminazione dell'ammontare della pretesa”.

E’ di tutta evidenza che la fase della mediazione, propedeutica al deposito del ricorso in Commissione (ora Corte di Giustizia tributaria), è obbligatoria e le relative motivazioni sono le medesime del ricorso; pertanto, il mancato esame delle ragioni addotte dal contribuente o, addirittura, la mancata costituzione in giudizio dell'ente, fa nascere, in caso di soccombenza, una responsabilità diretta in capo al responsabile del servizio, dirigente o posizione organizzativa, all'uopo delegato.

L'indubbia attenzione posta dalla legge alla materia della responsabilità amministrativa, merita un approfondimento.

Orbene, in considerazione del dettato legislativo giova, preliminarmente, chiarire che, generalmente, nell'ambito della responsabilità amministrativa dei dipendenti della pubblica amministrazione, occorre distinguere tra:

  1. responsabilità diretta del funzionario nei confronti dei terzi.

Tale responsabilità è disciplinata dall’art. 28 Cost, secondo cui i funzionari rispondono del danno prodotto con il loro comportamento nell'esercizio delle proprie attribuzioni direttamente verso i terzi estranei all'amministrazione, allorché abbiano agito con dolo o colpa grave. Tale responsabilità è disciplinata dagli articoli 22 e seguenti del T.U. n.3/1957;

  1. responsabilità patrimoniale dei funzionari verso l'amministrazione.

La responsabilità de qua è contemplata dall’art. 82 R.D. n.2440 del 18 novembre 1923, secondo cui i funzionari che, per azione od omissione, anche solo colposa, nell'esercizio delle loro funzioni, cagionino danno all'amministrazione sono tenuti a risarcirlo.

 Tale responsabilità si fa valere dalla Procura della Corte dei conti innanzi alle sezioni giurisdizionali della stessa Corte, secondo le disposizioni contenute nella legge n. 20/1994 e nella legge n. 639/1996.

Alla luce di tanto, con specifico riferimento alla responsabilità amministrativa dei dipendenti dell'Amministrazione Finanziaria, l'articolo 2-septies del D.L. 564/1994, convertito in legge, con modifiche, dalla L. 30.11.1994, n. 656, statuisce una eccezione al regime ordinario della colpa previsto dall'articolo 82 del Regio Decreto 18-11-23 n. 2440.

In particolare, a norma del citato art. 2-septies, co. 1, rubricato “Responsabilità patrimoniale dei dipendenti dell'Amministrazione finanziaria”:

1. Nell'attività di interpretazione delle disposizioni tributarie e, comunque, nell'applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 2-bis, 2-quater e 2-sexies i dipendenti dell'Amministrazione finanziaria che svolgono le relative funzioni rispondono patrimonialmente solo in caso di danno cagionato per dolo o colpa grave. (…)”.

La ratio di tale specifica previsione, esclusiva per i dipendenti dell’Amministrazione Finanziaria, è rinvenibile nella circostanza che essi, nell'esercizio delle specifiche funzioni di cui all'articolo 2-septies citato, sono sottoposti a rischi maggiori e più gravosi rispetto a quelli che incombono sugli altri impiegati o funzionari dello Stato.

La responsabilità amministrativa in esame è la responsabilità patrimoniale in cui incorre il dipendente della Amministrazione Finanziaria che cagiona un danno economico a seguito dell'attività di interpretazione delle disposizioni tributarie (norma tributaria di imposizione, norma tributaria di esenzione, norma procedimentale e norma processuale) e comunque nell'applicazione dei seguenti istituti (in virtù del richiamo alle disposizioni di cui agli articoli 2-bis, 2-quater e 2-sexies):

  • accertamento con adesione;
  • autotutela;
  • conciliazione giudiziale.

Ciò posto, appare opportuno rilevare che, il fatto che l'articolo 2-septies del D.L. 564/94 conv., con mod., dalla legge 656/94 non richiami l'articolo 2-quinquies dello stesso decreto-legge (relativo alla chiusura delle liti fiscali pendenti), vuole significare che nell'applicazione di tale istituto, il personale dell'Amministrazione Finanziaria (preposto al controllo dell'ammissibilità e della validità della domanda di chiusura delle liti) risponde anche per colpa lieve.

Di converso, il mancato richiamo dell'art. 2-ter del D.L. 564/94 conv., con mod., dalla legge 656/94 (relativo all’accertamento con adesione ai fini di altre imposte indirette) da parte del citato articolo 2-septies non sta a significare che il personale della Amministrazione Finanziaria (preposto all'applicazione dell'accertamento con adesione ai fini dell'imposta sulle successioni e donazioni, dell'imposta di registro, dell'imposta ipotecaria, dell'imposta catastale e dell'imposta comunale sull'incremento di valori degli immobili) risponde anche per colpa lieve.

Tale assunto è avvalorato dal fatto che l'accertamento con adesione “ai fini di altre imposte indirette” è applicabile alle medesime condizioni di cui all'art. 2-bis del D.L. 564/94 conv., con mod., dalla legge 656/94.

Tanto chiarito, si  sottolinea che la condotta del funzionario dell’Amministrazione ai fini di una responsabilità deve concretizzarsi nell'emanazione di un atto di natura provvedimentale che per dar luogo alla responsabilità dell'amministrazione deve necessariamente essere non soltanto un atto illegittimo (elemento oggettivo), ma anche un atto del quale deve essere accertata la colpevolezza nelle modalità dell'agere pubblico, ossia che tale provvedimento sia l'esito di una condotta dolosa o gravemente colposa (solo colposa in relazione alla chiusura delle liti pendenti) (elemento soggettivo). Il danno comprende sia la diminuzione patrimoniale (danno emergente) sia il mancato guadagno (lucro cessante) ossia gli aumenti patrimoniali non conseguiti a causa dell'evento dannoso.

In altri termini, gli elementi costituitivi della responsabilità amministrativa dei funzionari dell’Amministrazione Finanziaria sono:

  1. una condotta riconducibile ad un soggetto legato alla p.a. da un rapporto d’impiego o di servizio nell’Amministrazione Finanziaria. L’evento dannoso deve essere riconducibile all’autore secondo i criteri comuni del rapporto causale. Esso deve porsi come conseguenza inevitabile della condotta cui è riconducibile. La nozione di causalità è quella delineata dall’art. 40 c.p. secondo cui l’evento dannoso non può essere attribuito all’agente se non è conseguenza immediata e diretta all’azione od omissione. Il concetto di causalità adeguata di natura penalistica trasfusa nel diritto amministrativo consente di accertare se ed in che misura l’entità della lesione è riconducibile all’autore;
  2. esistenza di un danno valutabile economicamente;
  3. l’evento dannoso di natura patrimoniale è inteso sotto il duplice profilo del danno emergente o del lucro cessante;
  4. la sussistenza di un rapporto di dipendenza tra l'Amministrazione Finanziaria e l'esercizio delle funzioni specificate dall'art. 2-septies citato;
  5. dolo, colpa grave (nel caso di accertamento con adesione; autotutela; conciliazione giudiziale) o colpa lieve (nel caso di chiusura di liti pendenti).

In conclusione, la novella legislativa in esame, nel disciplinare la responsabilità amministrativa del funzionario che abbia immotivatamente rigettato il reclamo o non accolto la proposta di mediazione, non richiama il suddetto art. 2-septies, dovendosi pertanto interpretare nel senso che, nella fase del reclamo- mediazione, il funzionario amministrativo che abbia immotivatamente rigettato il reclamo o non accolto la proposta di mediazione è passibile di responsabilità per una condotta anche solo colposa.

Più nel dettaglio, si tratta della responsabilità dei funzionari e dipendenti pubblici nei confronti dei terzi e nei confronti della loro amministrazione. In effetti, essa è la responsabilità in cui incorre il soggetto che ha un rapporto di servizio con un ente pubblico, il quale, violando i doveri che derivano da tale rapporto, può cagionare un danno (erariale) alla Pubblica amministrazione.

E’  fuori da ogni dubbio, tuttavia, che l'onere di dimostrare la colpevolezza del presunto autore del "danno" nei confronti dell'Amministrazione finanziaria, sia in capo alla Procura della Corte dei conti la quale, però, potrà celermente attivarsi a seguito di segnalazione degli ispettori della Ragioneria generale dello Stato, o in capo agli stessi contribuenti ove essi si sentiranno vessati da funzionari poco diligenti o, più probabilmente, trascurati da responsabili particolarmente oberati di lavoro.

In ogni caso, tali circostanze, ove ripetute, non potranno non essere considerate, dagli Organismi Indipendenti di Valutazione o dai Nuclei di Valutazione, ai fini della valutazione della performance individuale.

Ad ogni modo, ci si augura che tali innovative disposizioni inducano gli uffici ad assolvere meglio i propri compiti istituzionali e a dimostrare maggiore cautela durante la delicata fase di mediazione, dando formale attuazione ai principi cardine del contenzioso quali l’eventuale incertezza della questione, il grado di sostenibilità della pretesa nonché l’economicità dell'azione amministrativa.


La conciliazione proposta dalla Corte di Giustizia tributaria

L’art. 4, comma 1, lett. g) della L. n. 130/2022 dispone che, per le controversie soggette a reclamo ai sensi dell’art. 17-bis, la Corte di giustizia tributaria possa proporre alle parti una conciliazione, avuto riguardo all’oggetto del giudizio e all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione.

Precisamente, la nuova procedura tributaria prevede che, oltre alla fase obbligatoria di reclamo-mediazione di cui all’art. 17-bis cit., la Corte di giustizia tributaria possa formulare una proposta conciliativa, così aprendo, di fatto, un ulteriore canale deflattivo.

Sul punto, giova sottolineare che la locuzione «ove possibile» delimita la portata applicativa dell’istituto, in quanto è la stessa disposizione che stabilisce che il giudice dovrà aver riguardo, nell’assumere tale provvedimento:

  • all'oggetto del giudizio;
  • e all'esistenza di questioni di facile e pronta soluzione.

L’istituto in esame sembra ricalcare il modello della proposta di conciliazione del giudice ex art. 185-bis c.p.c. a norma del quale «Il giudice, alla prima udienza, ovvero fino a quando è esaurita l’istruzione, formula alle parti, ove possibile, avuto riguardo alla natura del giudizio, al valore della controversia e all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione di diritto, una proposta transattiva o conciliativa. La proposta di conciliazione non può costituire motivo di ricusazione o astensione del giudice». Tale strumento processual-civilistico, introdotto con D.L. 21 giugno 2013, n. 69, poi convertito, con rilevanti modificazioni, in L. 9 agosto 2013, n. 98, consente al giudice civile di formulare e rivolgere formalmente alle parti una propria proposta conciliativa della lite, a partire dalla prima udienza e fin quando non sia terminata la fase istruttoria, nell’ottica della deflazione immediata del processo.

In  riferimento alle modalità operative e procedurali della proposta conciliativa attivata dalla Corte di giustizia tributaria, l’art. 48-bis.1 del D.lgs. 546/1992 così chiarisce:

  1. la proposta può essere formulata dalla Corte di giustizia tributaria sia in udienza (in tal caso la proposta deve essere comunicata alle parti non comparse) che fuori udienza (in tal caso la proposta deve essere comunicata alle parti) (comma 2);
  2. la causa può essere rinviata alla successiva udienza per il perfezionamento dell’accordo conciliativo. Tuttavia, laddove l’accordo non si perfezioni, si procede nella stessa udienza alla trattazione della causa (comma 3);
  3. la conciliazione si perfeziona con la redazione del processo verbale che costituisce titolo per la riscossione (comma 4);
  4. intervenuta la conciliazione, il giudice dichiara estinto il giudizio per cessazione della materia del contendere (comma 5).

La proposta di conciliazione non può costituire motivo di ricusazione o astensione del giudice.

Inoltre, alla luce del nuovo art. 48-bis. 1, si è reso necessario “adattare” il sistema operativo relativo alla definizione e al pagamento delle somme dovute.

A tal fine, l’art. 4, comma 1, lett. h) della L. 130/2022 integra l’art. 48-ter del D.lgs. n. 546 del 1992, tenendo conto dell’introduzione, nel processo tributario, della conciliazione su proposta del giudice.

Per la definizione e il pagamento delle somme dovute, anche in forma rateale, si applica l'articolo 48-ter del Dlgs 546/1992. Esso stabilisce che le sanzioni si applicano nella misura del 40% del minimo previsto dalla legge, in caso di perfezionamento della conciliazione nel corso del primo grado di giudizio e nella misura del 50% del minimo previsto dalla legge, in caso di perfezionamento nel corso del secondo grado di giudizio.

Il versamento delle somme dovute o, in caso di rateazione, della prima rata, deve essere effettuato entro venti giorni dalla data di sottoscrizione dell'accordo conciliativo di cui all'articolo 48 o di redazione del processo verbale di cui agli articoli 48-bis e 48-bis.1. In caso di mancato pagamento delle somme dovute o di una delle rate (compresa la prima) entro il termine per la rata successiva, l'ufficio procede all'iscrizione a ruolo delle residue somme dovute a titolo di imposta, interessi e sanzioni, nonché della sanzione di cui all'articolo 13 del Dlgs 471/1997, di norma, quella del 30%, aumentata della metà e applicata sul residuo importo dovuto a titolo di imposta. È esclusa la decadenza in caso di lieve inadempimento dovuto a: insufficiente versamento della rata, per una frazione non superiore al 3% e, in ogni caso, a 10mila euro; tardivo versamento della prima rata, non superiore a sette giorni. L'iscrizione a ruolo non è eseguita se il contribuente si avvale del ravvedimento entro il termine di pagamento della rata successiva o, in caso di ultima rata o di versamento in unica soluzione, entro 90 giorni dalla scadenza.

In conclusione, con l’introduzione della forma conciliativa de qua, è stato attuato un doppio canale verso la mediazione stragiudiziale (preventiva e successiva, rispetto alla pendenza del processo) con una variabile conciliativa endoprocessuale che appare avere pregevoli potenzialità se utilizzata con metodo al ricorrere dei presupposti previsti dalla norma e, ancor più, se connessa a una  fase di mediazione stragiudiziale.


 La condanna alle spese di giudizio nel caso di mancata conciliazione

L’articolo 4, comma 1, lett. d) cit. prevede un addebito delle spese di giudizio, maggiorate del 50%, per la parte che, a seguito del rifiuto di una proposta di conciliazione formulata dall’altra parte o dal giudice, si veda riconosciuta nel merito una pretesa inferiore rispetto al contenuto della proposta conciliativa.

Nel dettaglio, il disegno di legge interviene sull’art. 15 del decreto legislativo n. 546 del 1992, che disciplina le spese del giudizio tributario, per sostituirne il comma 2-octies.

In riferimento alle spese di giudizio, come chiarito dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 152 del 23.06.2016, la regola generale è che le spese seguono la soccombenza per cui devono essere rimborsate alla controparte le spese di costituzione in giudizio e di difesa nella misura stabilita dal giudice, laddove, al contrario, la compensazione delle spese di lite si pone come ipotesi eccezionale.

Tuttavia, l’art. 92 del c.p.c. così espressamente precisa: “Se vi è soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero”.

E ancora, l’art. 96 del c.p.c. disciplina l'ulteriore previsione di "responsabilità aggravata", c.d. lite temeraria, applicabile nel caso in cui, alla sostanziale inconsistenza della pretesa, si aggiunga una pretestuosa e inopportuna attività processuale colpevolmente coltivata: in tale ipotesi il giudice può disporre, anche di ufficio, la condanna ad un ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno subito dalla controparte che va a sommarsi alle spese di lite vere e proprie.

Nel processo tributario, le spese del giudizio (che comprendono, oltre al contributo unificato, gli onorari e i diritti del difensore, le spese generali e gli esborsi sostenuti, oltre il contributo previdenziale e l'IVA, se dovuti) sono disciplinate dall’art. 15 D.lgs. 546/1992 che, in ossequio alle regole generali predette, per il processo tributario così dispone:

  1. le spese di giustizia seguono la soccombenza (art. 15, commi 1 e 2-ter);
  2. le spese di giudizio possono essere compensate in tutto o in parte dalla Corte di giustizia tributaria soltanto in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate (art. 15, comma 2);
  3. se la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con malafede o colpa grave:
    • la Corte di giustizia tributaria può condannare, su istanza dell'altra parte, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni liquidati, anche d'ufficio nella sentenza;
    • inoltre, anche d’ufficio, la Corte di giustizia tributaria può condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata (art. 15, comma 2-bis, richiama l’art. 96, primo e terzo comma, c.p.c., in materia di responsabilità aggravata per la c.d. lite temeraria);
  4. nelle controversie di cui all’articolo 17-bis, le spese di giudizio sono maggiorate del 50 % a titolo di rimborso delle maggiori spese del procedimento (art. 15, comma 2-septies);
  5. qualora una delle parti abbia formulato una proposta conciliativa, non accettata dall’altra parte senza giustificato motivo, restano a carico di quest’ultima le spese del processo ove il riconoscimento delle sue pretese risulti inferiore al contenuto della proposta ad essa effettuata. Se è intervenuta conciliazione le spese si intendono compensate, salvo che le parti stesse abbiano diversamente convenuto nel processo verbale di conciliazione (art. 15, comma 2-octies nella sua versione previgente).

Tanto premesso, è di tutta evidenza che la modifica legislativa del comma 2-octies dell'articolo 15, rispetto alla precedente formulazione (che già poneva le spese del giudizio a carico della parte soccombente che rifiutava, senza motivo, una conciliazione per poi vedersi riconosciuta dal giudice una pretesa inferiore a quanto proposto in sede conciliativa, il disegno di legge), così interviene:

  • coordina il contenuto dell’art. 2-octies con la possibilità che la proposta di conciliazione venga dalla Corte di giustizia tributaria di primo e di secondo grado;
  • aggiunge all’obbligo di pagare le spese processuali, la specifica previsione della loro maggiorazione nella misura del 50 % ove il riconoscimento delle sue pretese risulti inferiore al contenuto della proposta ad essa effettuata (nella versione previgente non era indicata una soglia percentuale).

Le considerazioni sopra esposte inducono a ritenere che la formulazione del nuovo comma 2-octies, possa contribuire a integrare, nel processo tributario, la piena uguaglianza delle parti processuali, contribuendo a sanzionare l’Amministrazione finanziaria laddove quest’ultima, non di rado, agisce o resiste in giudizio in maniera irragionevole e dissennata.

 In conclusione, tale novella è di notevole pregio in quanto il riconoscimento di una somma aggiuntiva del 50% delle spese, pur in assenza di un concreto danno subito, concorre a potenziare le garanzie processuali, fornendo una più incisiva efficacia deterrente all'instaurarsi o alla prosecuzione di liti manifestamente infondate e insostenibili.