L’efficacia del giudicato penale di assoluzione nel processo tributario: aspetto sanzionatorio ed aspetto impositivo

Il cielo sopra le nuvole
Ph. Giorgia Pavani / Il cielo sopra le nuvole

L’efficacia del giudicato penale di assoluzione nel processo tributario: aspetto sanzionatorio ed aspetto impositivo

ABSTRACT

L’efficacia di giudicato che la sentenza penale irrevocabile di assoluzione riveste, ex art. 21 bis del D.lgs. 74/2000, nel processo tributario, deve intendersi come attinente non soltanto al profilo della irrogabilità della sanzione, ma anche a quello della sussistenza del rapporto impositivo, in quanto, ex art. 11 della Legge 212/2000, l’equiparazione tra atto sanzionatorio ed atto impositivo opera in riferimento alla tutela del legittimo affidamento, e quest’ultima costituisce, oltre che principio generale dell’ordinamento tributario, anche “norma dettata in attuazione della Costituzione”. Di conseguenza, tale equiparazione, se assume una dimensione costituzionale, non può non valere anche nel caso dell’art. 21 bis, il quale è norma ordinaria.

The effectiveness of res judicata that the irrevocable criminal judgment of acquittal has, pursuant to art. 21 bis of Legislative Decree 74/2000, in tax proceedings, must be understood as pertaining not only to the profile of the imposition of the sanction, but also to that of the existence of the tax relationship, since, pursuant to art. 11 of Law 212/2000, the equivalence between a sanctioning act and a taxing act operates in reference to the protection of legitimate expectations, and the latter constitutes, in addition to a general principle of the tax system, also a "rule dictated in implementation of the Constitution". Consequently, such equivalence, if it assumes a constitutional dimension, cannot fail to also apply in the case of art. 21 bis, which is an ordinary rule.

L’efficacia che il giudicato assolutorio penale riveste nel processo tributario in merito all’aspetto della sanzione, deve intendersi come pacifica, in virtù di quanto previsto sia dall’art. 4 dello stesso D.lgs. 472/1997, a norma del quale l’imputabilità soggettiva dell’illecito tributario dipende dalla disciplina penale, sia dall’art.  8 del D.lgs. 546/1992, per effetto del quale un’autonomia della sentenza penale rispetto al giudizio tributario (ed anche all’accertamento del Giudice comunitario) ha ragione di essere solo quando la medesima sia sfociata in una sanzione, e non anche quando la stessa abbia statuito una “non sanzione”, sia dall’art. 649 c.p.p. (“ne bis in idem processuale”).

The effectiveness that the criminal acquittal judgment has in the tax process with regard to the aspect of the sanction must be understood as clear by virtue of what is provided for both by art. 4 of the same Legislative Decree 472/1997, pursuant to which the subjective imputability of the tax offence depends on the criminal discipline, and by art. 8 of Legislative Decree 546/1992, by virtue of which an autonomy of the criminal sentence with respect to the tax judgment (and also to the assessment of the Community Judge) has reason to exist only when the same has resulted in a sanction, and not also when the same has established a "non-sanction", and by art. 649 of the Code of Criminal Procedure ("ne bis in idem processuale").

Il D.lgs. 74/2000 - Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, di seguito “D.lgs.” – all’art. 21 bis così dispone: la sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi“.

La Cassazione Sezione Tributaria, con ordinanza interlocutoria n. 5714 del 04.03.2025, prende atto dei due principali orientamenti giurisprudenziali formatisi in materia: il primo, secondo cui l’efficacia del giudicato penale si estende anche “all’accertamento del presupposto impositivo, e dunque ai fini del rapporto tra contribuente ed erario”; il secondo, in base al quale tale giudicato “esplicherebbe i suoi effetti esclusivamente con riguardo alle sanzioni irrogate, mentre con riguardo all’imposta la sentenza penale, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l'Amministrazione finanziaria ha promosso l'accertamento nei confronti del contribuente, continuerebbe ad essere una possibile fonte di prova, autonomamente valutabile dal giudice tributario”.

La Sezione, pertanto, ha disposto, ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., la trasmissione del ricorso alla Prima Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della seguente questione: la sentenza penale definitiva di assoluzione comporta, nei confronti del Giudice tributario, soltanto l’impossibilità di condannare il contribuente alle sanzioni derivanti dall’inadempimento dell’obbligazione tributaria (che il Giudice penale, con l’assoluzione, ha accertato come non sussistente), oppure anche l’impossibilità di accertare la piena validità ed efficacia dell’obbligazione medesima?

Tale quesito sottintende che la sentenza penale di assoluzione potrebbe escludere l’applicabilità, da parte del Giudice tributario, delle sanzioni previste in merito alla fattispecie, ma potrebbe, al contempo, lasciare impregiudicata la facoltà del medesimo di accertare la piena legittimità della pretesa impositiva, e quindi di emettere una sentenza la quale condanni il contribuente ad adempiere all’obbligazione tributaria.

L’art. 20 comma 1 del D.lgs. disciplina specificamente il rapporto tra procedimento penale e processo tributario, stabilendo quanto segue: “il procedimento amministrativo di accertamento ed il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione”. Il principio è quello per cui il giudizio tributario è autonomo dal processo penale: se il primo non può essere sospeso, ciò vuol dire che esso può concludersi con una sentenza di accertamento dell’illecito anche nel caso in cui il secondo si dovesse concludere con una sentenza (irrevocabile) di assoluzione. Pertanto, vista tale autonomia, ci si chiede: perché mai la sentenza penale di assoluzione dovrebbe avere efficacia di giudicato nel processo tributario, come prevede l’art. 21 bis? La domanda è quasi “d’obbligo” in quanto tale efficacia presuppone una sostanziale “superiorità” del primo rispetto a quella che potrebbe la decisione del secondo. Ma questa “superiorità” dovrebbe, coerentemente, a sua volta comportare che il giudizio tributario rimanga sospeso nell’attesa dell’accertamento operato dal Giudice penale, e ciò non foss’altro che per una questione di economicità procedimentale: non ha senso prevedere (art. 20 comma 1) che il processo tributario non debba essere sospeso, e quindi debba proseguire, in pendenza di quello penale, se poi si stabilisce che la decisione (definitiva) emessa all’esito di quest’ultimo determina l’esito anche del suddetto processo (art. 21 bis). Appare, quindi, esservi una contraddizione, anche abbastanza palese, tra l’art. 21 bis e l’art. 20 comma 1, e ciò genera più di qualche perplessità in merito a quella che l’effettiva pregnanza dell’efficacia del giudicato penale prevista da quest’ultimo.

Allora, è necessario vedere se questa contraddizione possa essere superata.

Il comma 1 bis dello stesso art. 20 così dispone: “le sentenze rese nel processo tributario, divenute irrevocabili, e gli atti di definitivo accertamento delle imposte in sede amministrativa, anche a seguito di adesione, aventi a oggetto violazioni derivanti dai medesimi fatti per cui è stata esercitata l'azione penale, possono essere acquisiti nel processo penale ai fini della prova del fatto in essi accertato”.

La sentenza del Giudice tributario, ove sia divenuta definitiva, non ha efficacia di giudicato nel processo penale: essa può essere utilizzata dal Giudice penale solo “ai fini della prova” del fatto accertato. Un conto è dire che la sentenza sopra citata “condiziona” (effetto di giudicato) l’esito del processo penale, un altro conto è dire che l’accertamento operato dalla medesima sentenza “costituisce prova” del fatto oggetto dello stesso processo. Dinanzi a tale prova, sia il contribuente che l’Amministrazione Finanziaria (di seguito “AF”) potrebbero sempre opporre una prova contraria, e se quest’ultima dovesse essere valutata dal Giudice penale come “prevalente”, la decisione di quest’ultimo potrebbe essere di contenuto opposto a quello della sentenza del Giudice tributario.

Che cosa si può evincere, quindi, dall’art. 20 comma 1 bis? Il fatto che la sentenza definitiva emessa dal Giudice tributario non abbia efficacia di giudicato nel processo penale, rafforza ancor di più la rilevanza della norma contenuta nell’art. 21 bis, la quale invece prevede, al contrario, che la sentenza penale di assoluzione abbia tale efficacia nel processo tributario. E’ proprio tale contrasto di discipline tra casi opposti a dare fondamento alla tesi secondo cui il giudicato penale di assoluzione produce i suoi effetti nel processo tributario in ordine non soltanto alla “sanzione” ma anche al “rapporto impositivo”.

Ma, oltre a ciò, il criterio per poter dare una risposta al quesito sollevato dalla Sezione può essere individuato nella Legge 212/2000 (di seguito “Statuto”). L’art. 11, nel disciplinare la risposta che l’AF fornisce alle istanze di interpello, stabilisce che “gli atti, anche a contenuto impositivo o sanzionatorio difformi dalla risposta, espressa o tacita, sono annullabili”. L’atto impositivo viene posto sullo stesso piano di quello sanzionatorio per quel che attiene all’annullabilità degli atti emessi dall’AF in contrasto con una precedente nota con la quale la medesima, in riscontro ad un’istanza di interpello formulata dal contribuente, aveva attestato la non configurabilità della condotta di quest’ultimo in termini di “illecito tributario” ed aveva quindi indotto il medesimo a riporre un legittimo affidamento in merito alla non emissione, a suo carico, di nessuna delle due tipologie di atti sopra citate. Nello Statuto la tutela del legittimo affidamento del contribuente riveste un’importanza centrale, sia perché essa costituisce, per espressa previsione dell’art. 1, un “principio generale” dell’ordinamento tributario, sia perché, ai sensi dell’art. 10, per quel che attiene ai tributi UE, questi ultimi non sono dovuti “nel caso in cui gli orientamenti interpretativi dell'amministrazione finanziaria, conformi alla giurisprudenza unionale ovvero ad atti delle istituzioni unionali e che hanno indotto un legittimo affidamento nel contribuente, vengono successivamente modificati per effetto di un mutamento della predetta giurisprudenza o dei predetti atti”.

L’art. 1 dello Statuto stabilisce che le disposizioni ivi contenute – tra cui, quindi, quelle sopra citate – sono   dettate “in attuazione delle norme della Costituzione”, e, oltre a costituire principi generali dell’ordinamento tributario, assumono la valenza di “criteri di interpretazione della legislazione tributaria”.

Ebbene, la parificazione tra atto impositivo ed atto sanzionatorio, se riveste una dimensione costituzionale, non potrà non applicarsi anche in relazione alla norma contenuta nell’art. 21 bis del D.lgs., riguardante l’efficacia del giudicato penale nel processo tributario, essendo questa una norma ordinaria.

Di conseguenza, la questione posta dalla Sezione si presta ad essere risolta nel senso che la suddetta efficacia si esplica non soltanto in ordine alla “sanzione” ma anche in merito a quello che è il “rapporto impositivo”.

A parere di chi scrive, semmai, il discorso è un altro, ossia: vi sono delle norme dalle quali possa ricavarsi che la sentenza penale di assoluzione in ordine alla “sanzione” non pregiudica, contrariamente a quanto previsto dall’art. 21 bis del D.lgs., l’esercizio del potere sanzionatorio da parte del Giudice tributario?

L’art. 26 comma 3 del D.lgs. 472/1997 - Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie - stabilisce che “salvo diversa espressa previsione, i procedimenti di irrogazione delle sanzioni disciplinati nel presente decreto si applicano all'irrogazione di tutte le sanzioni tributarie non penali”. Il procedimento riguardante l’irrogazione delle sanzioni tributarie non si applica alle sanzioni previste dalle leggi penali tributarie, in quanto deve essere salvaguardata l’autonomia di queste ultime. Allora, vista quest’autonomia, si potrebbe sostenere quanto segue: siccome il procedimento con cui l’AF accerta l’illecito ed adotta le sanzioni è diverso dal procedimento adottato dal Giudice penale, in teoria la sentenza penale di assoluzione, seppur passata in giudicato, non dovrebbe avere alcuna efficacia nel procedimento tributario: la mancata irrogazione della sanzione penale non dovrebbe comportare il venir meno della sanzione tributaria, e ciò vale sia l’AF sia per il Giudice tributario.

Tuttavia, a norma dell’art. 4 dello stesso D.lgs. 472/1997, “non può essere assoggettato a sanzione chi, al momento in cui ha commesso il fatto, non aveva, in base ai criteri indicati nel codice penale, la capacità di intendere e di volere”. L’imputabilità soggettiva dell’illecito tributario, dalla quale poi dipende l’irrogabilità della sanzione sia da parte dell’AF sia da parte del Giudice tributario, è basata sulla disciplina penalistica. Quindi, se è la legge penale a disciplinare il presupposto soggettivo della sanzione, allora alla stessa legge dovrà essere riconosciuta l’efficacia di disciplinare anche il presupposto oggettivo (ossia l’illecito tributario) della medesima. Non avrebbe senso che alla legge penale fosse demandato il potere di determinare l’esito del procedimento tributario dal punto di vista della imputabilità soggettiva dell’illecito, e che alla medesima fosse invece inibito il potere di determinare tale esito anche per quel che attiene all’imputabilità oggettiva.

Pertanto, alla sentenza del Giudice penale, la quale abbia attestato l’insussistenza dell’illecito tributario e pertanto la non imputabilità oggettiva del medesimo (ossia il soggetto era pienamente capace di intendere e di volere ma non ha commesso alcun illecito tributario) dovrebbe essere riconosciuta l’idoneità ad arrestare il procedimento tributario, facendo sì che quest’ultimo si concluda con una “non sanzione”.

Ai sensi dell’art. 56 del D.lgs. 600/73, l’azione penale per i reati ivi previsti “non può essere iniziata o proseguita prima che l'accertamento dell'imposta sia divenuto definitivo”. Se un medesimo fatto è previsto come illecito sia dalla norma tributaria sia dalla norma penale, il procedimento penale può essere avviato solo dopo che l’impugnazione innanzi al Giudice tributario sia stata respinta con una decisione di quest’ultimo passata in giudicato (definitività). Per quale ragione la norma non prevede che l’azione penale possa essere esercitata anche quando il ricorso dinanzi al Giudice tributario è ancora pendente? Perché, evidentemente, l’accertamento del Giudice tributario, per precisa scelta del legislatore, condiziona l’accertamento penale: solo dopo che il Giudice tributario abbia verificato essere stato effettivamente commesso un illecito ed abbia quindi comminato la sanzione prevista dalla norma tributaria, respingendo in via definitiva il ricorso proposto dal contribuente, il Giudice penale potrà, in relazione al medesimo fatto, applicare la sanzione penale.

Viceversa, se il Giudice tributario attesta che l’obbligazione tributaria non sussiste e quindi impedisce all’atto di accertamento dell’AF di acquisire la “definitività”, il contribuente non può essere perseguito neanche penalmente (l’azione penale, infatti non può essere né iniziata né proseguita).

Il principio, quindi, è quello per cui l’azione penale, con conseguente (possibile) sanzione, può essere esercitata solo dopo che la sussistenza dell’obbligazione tributaria sia stata accertata in via definitiva (giudicato) dal Giudice tributario: il potere sanzionatorio del Giudice penale è subordinato al giudicato tributario. Da ciò si può quindi desumere che, nei casi diversi da quello previsto dall’art. 56, e cioè quando l’azione penale è autonoma dal processo tributario, laddove il Giudice penale abbia escluso, con sentenza definitiva, la sanzione (art. 21 bis D.lgs.), tale decisione debba necessariamente assumere efficacia di giudicato nel processo tributario, perché, se così non fosse, non vi sarebbe alcuna differenza tra le ipotesi (quelle, appunto, di cui all’art. 56) in cui il giudizio penale deve rimanere bloccato a causa della pendenza del giudizio tributario, e quelle invece in cui tale blocco non è previsto. 

Altri motivi per i quali si deve ritenere che la sentenza penale irrevocabile di assoluzione abbia efficacia di giudicato nel processo tributario per quel che attiene all’aspetto sanzionatorio, sono i seguenti.

Ai sensi dell’art. 8 del D.lgs. 546/1992 - Disposizioni sul processo tributario - “la corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado dichiara non applicabili le sanzioni non penali previste dalle leggi tributarie quando la violazione è giustificata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce”. Il Giudice comunitario, se riconosce che la violazione della norma tributaria è stata determinata dall’incertezza del quadro normativo e quindi da un errore “scusabile” del contribuente, può decidere che non si debba far luogo all’applicazione delle sanzioni previste dalla legge tributaria, ma non ha alcun potere di decidere in merito all’applicabilità delle sanzioni previste dalla norma penale tributaria. Quindi, se la norma penale stabilisce che la suddetta violazione costituisce comunque reato, indipendentemente dalla “scusabilità” dell’errore prevista dalla norma tributaria (vedi incertezza normativa), il Giudice penale può, in modo del tutto legittimo, emettere sentenza di condanna, senza che il Giudice comunitario possa annullare tale decisione. Però, allora, a maggior ragione, la sentenza con cui il Giudice penale abbia escluso la violazione e quindi abbia deciso di non applicare alcuna sanzione, dovrà estendersi anche al giudizio tributario, in quanto, in base all’art. 8 sopra citato, una totale autonomia della sentenza penale rispetto al suddetto giudizio (ed anche all’accertamento del Giudice comunitario) ha ragione di essere solo quando la medesima sia sfociata in una sanzione, e non anche quando la stessa abbia statuito una “non sanzione”.

L’art. 649 c.p.p. così dispone: l'imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze, salvo quanto disposto dagli articoli 69 comma 2 e 345. Se ciò nonostante viene di nuovo iniziato procedimento penale, il giudice in ogni stato e grado del processo pronuncia sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, enunciandone la causa nel dispositivo”. Tale norma stabilisce il principio del c.d. “ne bis in idem processuale”, il quale implica che nessuno possa essere sottoposto per due volte al medesimo procedimento giurisdizionale. Esso, quindi, non significa che non si possa essere giudicati, per il medesimo fatto, in due diverse sedi, quella tributaria e quella penale, e pertanto questi due procedimenti giudiziali sono e restano del tutto autonomi. La rilevanza tributaria di una violazione ha una valenza autonoma rispetto alla rilevanza penale della stessa. Il legislatore ha deciso che un medesimo fatto costituisce un duplice illecito, sia tributario che penale. L’identità di fattispecie non implica che, se il Giudice penale ha accertato la non configurabilità della stessa in termini di illecito (vedi sentenza irrevocabile di assoluzione), il Giudice tributario debba stabilire, sulla base di tale accertamento, che la medesima fattispecie non costituisce un illecito alla stregua della norma tributaria. Di conseguenza, tale decisione del Giudice penale non dovrebbe aver efficacia di giudicato nel processo tributario, perché questo dovrebbe poter proseguire in maniera autonoma e concludersi anche con una decisione di contenuto diverso da quello della sentenza penale.

Tuttavia, se noi guardiamo a quello che è il bene giuridico oggetto di tutela, non possiamo non constatare che l’interesse protetto dalla norma penale è di tipo “pubblico”, esattamente come quello che viene protetto dalla norma tributaria. Alla base della sanzione tributaria vi è la lesione dell’interesse pubblico alla riscossione dei tributi da parte di ciascun contribuente; tale interesse viene ritenuto talmente meritevole di tutela che il legislatore, anche (e soprattutto) a scopo di deterrente, ha sentito il bisogno di prevedere, nel caso di comportamenti aventi l’effetto di sottrarsi alla pretesa impositiva, che questi ultimi vengano puniti anche con pene eventualmente detentive o comunque con altre sanzioni di natura penale.

Ma l’interesse protetto rimane comunque lo stesso: il fatto che sia stato previsto anche un illecito penale, è legato al grado di importanza che, per l’ordinamento “tutto”, riveste la riscossione dei tributi, essendo questa essenziale per garantire a tutti i cittadini (in primis proprio a quelli che vorrebbero sottrarsi all’obbligo) servizi pubblici adeguati. La qualificazione, in termini di illecito penale, di una condotta che è già prevista come illecita dalle norme tributarie, non deriva dalla scelta di disciplinare, appunto penalmente, una fattispecie che, fino a ieri, non trovava rispondenza in nessun’altra norma dell’ordinamento e la quale, quindi, adesso, necessita di un’apposita regolamentazione, pena un “vuoto di tutela”; essa rappresenta soltanto la conseguenza dell’estrema rilevanza che un illecito, già previsto dalla norma tributaria, riveste per l’ordinamento.

Quindi il ragionamento è questo: il Giudice penale, poiché può infliggere, nel caso di inosservanza degli obblighi tributari, anche pene detentive, è investito del compito di assicurare alla pretesa impositiva la tutela “massima”. Proprio per questo, se egli accerta la non sussistenza dell’illecito tributario, e quindi l’inesistenza del rapporto impositivo, questa decisione dovrebbe ritenersi vincolante anche per il Giudice tributario, il quale è sì il Giudice “naturalmente” investito del compito di assicurare l’attuazione della pretesa impositiva, ma non può spingersi fino al punto di privare della libertà personale il contribuente il quale si sia sottratto alla medesima. Se la condotta del contribuente non è stata ritenuta antigiuridica dal Giudice che è deputato dalla legge ad infliggere le sanzioni più gravi e quindi ad assicurare alla pretesa impositiva la “massima” tutela, allora questa decisione (sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste) dovrebbe poter produrre effetti anche nei confronti del Giudice tributario, al quale la legge attribuisce, in relazione alla medesima condotta, poteri sanzionatori senza dubbio rilevanti ma certamente meno afflittivi di quelli riservati al Giudice penale.