Potere di autotutela in ambito tributario: può avere ad oggetto anche un provvedimento favorevole al contribuente?
Potere di autotutela in ambito tributario: può avere ad oggetto anche un provvedimento favorevole al contribuente?
In ambito tributario, la tesi secondo cui Il potere di annullamento in via di autotutela può avere ad oggetto soltanto provvedimenti sfavorevoli al contribuente (ossia annullamento “in bonam partem”) sembra prevalere su quella secondo cui tale potere può avere ad oggetto anche atti favorevoli al contribuente (c.d. annullamento “in malam partem”)
In the tax field, the thesis according to which the power of annulment by way of self-defense can only have as its object measures unfavorable to the taxpayer (i.e. cancellation "in bonam partem") seems to prevail over that according to which this power can also have as its object acts favorable to the taxpayer taxpayer (so-called cancellation “in malam partem”)
La Cassazione Sezione Quinta civile, con ordinanza n. 33665 del 01.12.2023, ha disposto la trasmissione del ricorso al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, in ragione della particolare importanza della seguente questione:
“se l’esercizio del potere di autotutela tributaria, in ragione del tenore letterale dell’art. 1 del D.M. n. 37 del 1997, presupponga l’esistenza di soli vizi formali presenti nell’atto impositivo e non anche vizi a carattere sostanziale e se, di conseguenza, sia diretto alla tutela dell’interesse individuale del contribuente, con esclusione del potere dell'amministrazione finanziaria di adottare provvedimenti di annullamento in malam partem, o sia finalizzato alla tutela dell’interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi con gli unici limiti della decadenza dei termini accertativi, ovvero del giudicato”;
Argomenti a favore della tesi secondo cui l’annullamento in autotutela può essere “in malam partem”, ossia può avere ad oggetto anche un precedente provvedimento favorevole al contribuente
L’art. 23 Costituzione prevede che “nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”, e quindi il pagamento di un debito tributario può essere richiesto solo se la legge lo prevede.
La norma costituzionale, quando parla di “legge”, non distingue tra “legge anteriore” alla commissione del fatto e “legge posteriore” rispetto a quando il fatto è stato commesso. Da ciò si ricava che un debito tributario può anche non sussistere nel momento in cui il fatto viene commesso ma può venire ad esistenza successivamente a tale momento. Questo principio, applicato all’annullamento in autotutela, cosa vuol dire? Che l’AF inizialmente può non ritenere sussistenti i presupposti per l’applicazione di una sanzione o per il diniego di uno sgravio, e quindi può adottare un provvedimento favorevole al contribuente, e poi però, successivamente, rimeditando la propria scelta, può considerare come sussistenti i medesimi presupposti, ragion per cui essa va ad annullare il precedente provvedimento favorevole (annullamento “in malam partem”). Ciò in quanto il principio di legalità, laddove sia stato violato mediante l’adozione di un provvedimento favorevole, deve poter essere sempre ripristinato, anche nel caso in cui tale ripristino dovesse ledere il legittimo affidamento maturato dal contribuente in ordine alla definitività degli effetti prodotti dal provvedimento stesso.
Tuttavia, se si seguisse questo ragionamento, si dovrebbe concludere che l’art. 21 nonies Legge 241/90, il quale attribuisce alla PA il potere di annullare “provvedimenti attributivi di vantaggi economici” e quindi atti ampliativi della sfera giuridica dei destinatari, è del tutto illegittimo. In pratica si dovrebbe ritenere che tale norma, per essere resa conforme alla Costituzione, debba essere modificata nel senso di prevedere l’esercizio del potere di autotutela solo come annullamento “in bonam partem”, ossia avente ad oggetto provvedimenti sfavorevoli al privato.
Ora, tutto è sostenibile, ma ipotizzare una modifica di questo tipo significherebbe non tener conto di due aspetti: in primo luogo, la Costituzione prevede anche un altro principio, che è quello del buon andamento (art. 97 Cost.), e l’attuazione del medesimo passa necessariamente attraverso il rispetto della legge, in quanto una PA non può dire di aver correttamente adempiuto alla sua missione istituzionale (potere esecutivo) se non garantisce l’osservanza delle norme poste dal potere legislativo; in secondo luogo, la necessità di ripristinare, mediante l’annullamento “in malam partem”, il principio di legalità, si impone in quanto in tal modo si elimina il pericolo di andare incontro a sentenze di condanna da parte della magistratura contabile, per aver questa accertato che l’AF precedentemente aveva, in modo illegittimo, concesso un beneficio al contribuente, il che ha significato minori introiti per l’erario, e pertanto, mediante l’annullamento sopra citato, si elimina il rischio di una condanna per danno erariale.
Argomenti a favore della tesi secondo cui l’annullamento in autotutela può essere solo “in bonam partem”, ossia può avere ad oggetto soltanto un precedente provvedimento sfavorevole al contribuente
L’art. 25 Cost., il quale, nel disciplinare il principio di legalità, prevede che “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”. Si può essere assoggettati a sanzione tributaria solo se quest’ultima era prevista dalla legge in vigore al momento in cui il fatto è stato commesso, mentre, nel caso in cui, in base ad una legge posteriore, il fatto non costituisca più un illecito tributario, nessuna sanzione potrà essere applicata. Tale principio è previsto anche dal D.lgs. 472 del 18.12.1997 – “Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie” – il quale, all’art. 3, prevede che “nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile”.
Se il principio costituzionale “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso” lo applichiamo all’annullamento in autotutela, cosa ne deriva? Che se l’AF, al momento in cui il contribuente ha posto in essere una determinata attività, ha ritenuto che quest’ultima, in base alla legge, non configurasse un illecito tributario e quindi ha adottato un provvedimento favorevole al contribuente, la stessa AF non potrà poi, in sede di autotutela, e cioè in un momento successivo, ritenere che tale illecito sussista e quindi adottare un provvedimento di contenuto contrario al precedente (annullamento “in malam partem”). Pertanto, la tutela del legittimo affidamento del contribuente deve prevalere sull’esigenza di ripristino della legalità dell’azione amministrativa, ragion per cui l’annullamento “in malam partem” non dovrebbe avere diritto di cittadinanza nell’ordinamento.
L’art. 7 comma 2 lett. B) Legge 212/2000 (Statuto del Contribuente, di seguito “Statuto”) stabilisce che gli atti dell’A.F. debbono indicare “l'organo o l'autorita' amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell'atto in sede di autotutela”.
Ha senso prevedere un riesame dell’atto in sede di autotutela se, mediante tale istanza, si vuole che l’A.F. annulli un atto che ha prodotto effetti negativi (il diniego di un’istanza, l’irrogazione di una sanzione, il mancato riconoscimento di uno sgravio). Pertanto, l’annullamento di ufficio ha una sua ratio se avviene “in bonam partem”, ossia se, attraverso esso, si priva di rilevanza giuridica un precedente atto il quale ha comportato una restrizione della sfera giuridica del privato, che si è visto negare la possibilità di usufruire dei benefici richiesti.
Non ha senso che un soggetto chieda all’A.F. di “riesaminare” un atto che ha prodotto nei suoi confronti dei benefici, al fine di farlo annullare (annullamento “in malam partem”).
Ciò, del resto, è coerente con quanto previsto dall’art. 13 comma 6 dello Statuto, il quale attribuisce al Garante il potere di attivare “le procedure di autotutela nei confronti di atti amministrativi di accertamento o di riscossione notificati al contribuente”: non si dice che l’autotutela può essere attivata anche per annullare un provvedimento favorevole al contribuente.
Quindi, mentre nella Legge 241/90 l’autotutela è un potere che, essendo attivato “di ufficio”, può consistere nell’annullamento anche di provvedimenti favorevoli al privato, nello Statuto tale potere, siccome consegue ad una “istanza di riesame”, non può che consistere nell’annullamento di un atto che è stato sfavorevole all’istante.
Lo Statuto, all’art. 10, disciplina la “tutela dell’affidamento e della buona fede” del contribuente, stabilendo quanto segue: “non sono irrogate sanzioni nè richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell'amministrazione finanziaria, ancorche' successivamente modificate dall'amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell'amministrazione stessa” (comma 1).
La norma parla di “indicazioni contenute in atti dell'amministrazione finanziaria”.
L’AF, se aveva rassicurato Tizio in merito al fatto che la sua attività non sarebbe stata soggetta ad imposta oppure lo sarebbe stata ma in una forma minore rispetto ad altri casi, potrà anche, in seguito, modificare il proprio orientamento, ma non potrà, sulla base di tale modifica, né irrogare sanzioni a Tizio né chiedergli il pagamento degli interessi, in quanto Tizio ha agito seguendo le indicazioni della stessa AF, la quale, in quel momento, aveva ritenuto il debito tributario come insussistente o come più tenue rispetto ad altre fattispecie debitorie. E non potrà farlo appunto perché le indicazioni contenute negli atti precedenti avevano legittimamente ingenerato in Tizio la ragionevole aspettativa di porre in essere un comportamento che sarebbe stato considerato come pienamente lecito, e quindi assolutamente non suscettibile né di sanzioni né di interessi di mora: proprio quel che si chiama “legittimo affidamento”.
Di conseguenza, anche se le suddette indicazioni erano contrarie alla legge, e quindi anche se adesso l’AF, mediante l’annullamento in autotutela, intende ripristinare la legalità, il comportamento di Tizio dovrà comunque continuare ad essere qualificato come lecito, in quanto posto in essere a seguito delle medesime.
L’art. 10 Statuto, nella seconda parte, parla di comportamenti del contribuente conseguenti ad “omissioni”, e ciò richiama la fattispecie del silenzio serbato dall’A.F. su una richiesta di quest’ultimo. Egli aveva chiesto indicazioni riguardo all’interpretazione di una norma, al fine di evitare possibili sanzioni, ma l’A.F. non ha risposto entro i termini.
Normalmente, la mancata risposta può abilitare il privato a compiere una certa attività solo nel caso in cui sia la legge stessa a qualificarla come tacito assenso.
Nello Statuto l’unica norma a prevedere tale qualificazione è quella contenuta nell’art. 11 comma 3, il quale prevede che quando la risposta ad un’istanza di interpello non viene comunicata al contribuente entro il termine previsto, “il silenzio equivale a condivisione, da parte dell'amministrazione, della soluzione prospettata dal contribuente”. La norma precisa che gli atti a contenuto impositivo o sanzionatorio difformi dalla risposta, “anche tacita”, sono nulli.
Qui vi è una differenza importante rispetto alla disciplina del silenzio assenso quale prevista dalla Legge 241/90: infatti, mentre quest’ultima, all’art. 20 comma 3, stabilisce che la PA può annullare in via di autotutela anche i provvedimenti di accoglimento di una istanza formatisi per tacito consenso, lo Statuto stabilisce che gli atti adottati in contrasto con il silenzio assenso sono nulli, in quanto la mancata risposta da parte dell’A.F. sancisce definitivamente (tutela dell’affidamento) il diritto del contribuente a compiere l’attività per la quale egli aveva fatto istanza di interpello. Di conseguenza, un eventuale provvedimento di annullamento di un atto ampliativo (o comunque non restrittivo e non sanzionatorio) della sfera giuridica del contribuente, sarebbe destinato ad essere qualificato come nullo, ragion per la quale in ambito tributario l’annullamento in via di autotutela non può essere disposto “in malam partem”, e cioè non può avere ad oggetto un provvedimento favorevole al contribuente.
L’art. 2 comma 1 del D.M. 37/1997 – ossia la norma speciale che disciplina il potere di autotutela in materia tributaria – elenca i casi nei quali l’AF può esercitare tale potere, che sono i seguenti:
a) errore di persona;
b) evidente errore logico o di calcolo;
c) errore sul presupposto dell'imposta;
d) doppia imposizione;
e) mancata considerazione di pagamenti di imposta, regolarmente eseguiti;
f) mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini
di decadenza;
g) sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi
agevolativi, precedentemente negati;
h) errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall'Amministrazione.
Come si può vedere, sono tutti casi nei quali oggetto dell’annullamento è non già un atto favorevole al contribuente, bensì un atto impositivo nei suoi confronti, e quindi parlare di annullamento anche “in malam partem”, ossia in riferimento ad atti favorevoli, non appare corretto alla luce di quella che è la normativa speciale.
L’art. 43 comma 3 del d.P.R. n. 600 del 1973 prevede che, fino a quando non sia scaduto il termine entro il quale l’avviso di accertamento deve essere notificato, “l'accertamento può essere integrato o modificato in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi da parte dell'Agenzia delle entrate”. La notifica dell’avviso rappresenta il termine oltre il quale l’AF non può adottare un provvedimento avente, nei riguardi del contribuente, un contenuto peggiorativo rispetto a quello proprio dell’atto che viene notificato. Essa però, prima di tale termine, può accertare che il contribuente deve pagare una somma superiore a quella che sarà oggetto della notifica.
Quindi il discorso potrebbe essere il seguente: l’AF, come può adottare un provvedimento peggiorativo (“in malam partem”) rispetto a quello che deve essere notificato, allo stesso modo potrà annullare in autotutela un precedente provvedimento favorevole al contribuente (annullamento “in malam partem”).
Tale parallelismo, tuttavia, non sembra reggere: nel primo caso il provvedimento peggiorativo viene emesso prima ancora che il contribuente abbia ricevuto la notifica del provvedimento originario (ossia quello che per lui sarebbe stato più favorevole) e quindi prima ancora che quest’ultimo potesse produrre i propri effetti, ragion per cui non vi è nessun “legittimo affidamento” da tutelare in quanto l’atto favorevole non è mai stato adottato; nel secondo caso, il provvedimento peggiorativo, e cioè l’atto di annullamento, viene emesso dopo che il precedente provvedimento (quello favorevole al contribuente) ha già prodotto i suoi effetti, e quindi qui vi è un legittimo affidamento da tutelare.
Pertanto, l’art. 43 comma 3 del d.P.R. n. 600 del 1973 non può essere utilizzato per sostenere l’ammissibilità di un annullamento in autotutela “in malam partem”, trattandosi di ipotesi distinte.
L’art. 57 comma 4 del d.P.R. n. 633 del 1972 stabilisce che, fin a quando non sia scaduto il termine entro il quale gli avvisi relativi alle rettifiche ed agli accertamenti IVA debbono essere notificati, sia le une che gli altri “possono essere integrati o modificati, mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi da parte dell'Agenzia delle entrate”.
Anche in merito a tale norma valgono le stesse osservazioni fatte riguardo all’art. 43 comma 3 del d.P.R. n. 600 del 1973. Modifica ed integrazione possono essere fatti, in senso peggiorativo per il contribuente, solo fin quando l’atto originario, più favorevole al contribuente, non sia stato a quest’ultimo ancora notificato, e quindi solo se tale atto non ha ancora prodotto i propri effetti benefici. L’annullamento in autotutela “in malam partem”, invece, viene disposto dopo che l’atto favorevole ha già prodotto i propri effetti, e quindi la legittimità di tale potere di annullamento non può essere fondata neanche sull’art. 57 DPR 633/1972.