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Il responsabile del procedimento nella legge 241/1990

Individuazione, compiti e responsabilità
strade quotidiane
Ph. Anna Fasolo / strade quotidiane

Indice:

1. Nozione

2. Individuazione

3. Compiti e responsabilità

4. Rapporti tra il responsabile del procedimento, dirigente responsabile di struttura dell’unità organizzativa e i responsabili delle singole fasi

5. Compiti e responsabilità del responsabile dei servizi

 

1. Nozione

Il procedimento amministrativo, inteso come l'insieme di atti amministrativi autonomi tra loro all'interno di una procedura o di un processo, cadenzati nel tempo e finalizzati alla emanazione di un provvedimento finale, è regolato principalmente dalla legge n. 241 del 7 agosto 1990, che ne fissa i principi, secondo il principio del “giusto procedimento”, di matrice europeista, e modificata dalle leggi 11 febbraio 2005, n. 15, 14 maggio 2005, n. 80, che hanno completato ed integrato profondamente le norme in essa contenute.

Il procedimento amministrativo è composto da una ordinata sequenza di fasi: iniziativa, istruttoria, costitutiva, eventuale fase integrativa dell’efficacia. L'iniziativa concerne l'apertura del procedimento, ad istanza di parte o d’ufficio. La seconda (istruttoria) riguarda la ricognizione e valutazione degli interessi in gioco, attraverso l’acquisizione di pareri, nulla osta, ecc. Segue la fase costitutiva, con l’adozione da parte dell’organo competente dell’atto finale del procedimento, perfetto ma non necessariamente efficace. Per questo in alcuni casi si procede con la successiva fase (c.d. integrazione dell’efficacia), costituita da operazioni necessarie affinché l’atto adottato diventi efficace (es., pubblicazione all'albo pretorio delle delibere adottate, in ambito locale, dai Consigli e dalle Giunte; pubblicazione in G.U. per atti di competenza statale, ecc.).

L’articolo 4 della legge 241/1990 prevede che tutte “le pubbliche amministrazioni sono tenute a determinare, per ciascun tipo di procedimento relativo ad atti di loro competenza, l’unità organizzativa responsabile della istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale, nonché dell’adozione del provvedimento finale”.

Il responsabile del procedimento riassume, quindi, una pluralità di compiti che vanno nella direzione di valorizzare il coordinamento e la conclusione del procedimento amministrativo del soggetto pubblico responsabile dell’istruttoria, garante del buon funzionamento e dell’imparzialità dell’azione amministrativa (ex articolo 97 Costituzione).

La legislazione di settore, soprattutto successiva alla legge 241/1990, ha introdotto specifiche figure di responsabile del procedimento, differenziate per l’ambito specialistico della materia. Ne sono esempi il responsabile unico per le fasi di realizzazione dei lavori pubblici (articolo 31 del decreto legislativo n. 50/2016 e s.m.), il responsabile del trattamento dati e della sicurezza (decreto legislativo 196/2003, modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101) e il responsabile del servizio per la tenuta del protocollo informatico (articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica 428/1998). Sono figure comunque accomunate dall’appartenenza all’unico genus creato dalla legge 241/1990, del quale condividono gli aspetti di fondo. È opportuno, pertanto, esaminare preventivamente la figura generale del responsabile del procedimento.

Questa ha - come il tipo di responsabilità di cui è portatore - una duplice valenza: verso l’interno dell’amministrazione, intesa come cura dell’interesse pubblico soddisfatto attraverso l’organizzazione degli uffici e il raggiungimento dell’obiettivo assegnato; verso l’esterno quale responsabilità per i risultati conseguiti non già nei confronti dell’amministrazione e ai fini della retribuzione aggiuntiva, bensì nei confronti dei privati interessati o dei cittadini e ai fini della soddisfazione dei loro interessi e diritti.

 

2. Individuazione

L’articolo 5 della legge n. 241/1990 e successive modificazioni dispone che il soggetto che dirige ciascuna unità organizzativa provvede ad assegnare a sé o ad altro dipendente addetto all’unità la responsabilità dell’istruttoria e di ogni altro adempimento inerente al singolo procedimento nonché, eventualmente, dell’adozione del provvedimento finale.

Tale nomina, a norma del citato articolo 4, è obbligatoria per la pubblica amministrazione, salvo che non sia già stabilita a norma di legge o di regolamento.

La mancata indicazione del nominativo del responsabile, secondo il costante orientamento della giurisprudenza amministrativa, non è suscettibile di rilevare come causa d’invalidità dell’avviso o del provvedimento definitivo emanato.

Le modalità ipotizzabili per l’individuazione in modo espresso del responsabile del procedimento amministrativo potranno essere più di una:

  1. un’individuazione in relazione al singolo procedimento;
  2. un’individuazione a priori per categoria di procedimenti.

Nella prima fattispecie, ogni qualvolta sia avviato un procedimento d’ufficio, o ad istanza di parte, il dirigente (rectius: negli enti locali ove non è prevista la dirigenza, responsabile degli uffici e dei servizi per indicare quel dipendente preposto ad un servizio, atecnicamente concepito quale unità organizzativa autonoma e composta anche da una sola unità operativa di categoria D o, in assenza ed in via residuale, di categoria C o, in casi limite, anche B) della competente unità organizzativa dovrà individuare con un atto espresso il responsabile del procedimento e, sino a che ciò non avvenga, la responsabilità del procedimento graverà sullo stesso dirigente/responsabile dei servizi, sulla base del modulo adottato dall’ente.

Nel conferimento di tale incarico il dirigente/responsabile dei servizi ha un’ampia autonomia e non è vincolato dall’obbligo di motivazione, anche se ritengo sia necessaria ai sensi dell’articolo 3 della legge 241/1990 il quale dispone che “ogni provvedimento amministrativo deve essere motivato, con l’indicazione dei presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria”, con particolare riferimento al possesso delle competenze tecniche.

Occorre ricordare che il dirigente/responsabile dei servizi ha una così ampia sfera di autonomia perché è sua la responsabilità complessiva dell’attività amministrativa e quella di risultato o di prodotto finale.

Tuttavia vi è una responsabilità di natura amministrativo-contabile, civile, disciplinare, oltre che penale, aggravata nei casi in cui il responsabile unico del procedimento sia particolarmente qualificato (es. ingegnere, architetto, avvocato, dottore commercialista, ecc.) e non di un impiegato di mero ordine e soprattutto che nel provvedimento di nomina siano puntualmente indicate le varie attività da compiere.

Due sono i punti di riferimento di cui tenere conto: la struttura organizzativa dell’ente, in particolare per la definizione del modello di riferimento e per la sua complessità, e la declaratoria delle categorie professionali.

Per gli enti locali, sulla base dell’allegato al cosiddetto nuovo ordinamento professionale, Ccnl 31 marzo 1999, che le contiene, è evidente che tale incarico può essere conferito ai dipendenti di categoria D e di categoria C o, come già accennato ed in casi limite, anche B).

Tale opzione deve tenere conto del livello di complessità del procedimento e della struttura dell’ente, fermo restando che non vi è un vincolo all’utilizzazione preventiva dei dipendenti della categoria più elevata. E ancora può essere conferito anche a dipendenti di categoria B, in particolare nei comuni di piccole dimensioni e per incarichi che abbiano un ridottissimo grado di complessità e un carattere sostanzialmente ripetitivo. In ogni caso, il dipendente individuato dal dirigente/responsabile dei servizi come responsabile del procedimento non può respingere tale attribuzione, neppure laddove ritenga che questa responsabilità sia più elevata delle sue competenze professionali, quindi determinando nei fatti una sorta di conferimento di mansioni superiori, né perché non è prevista una remunerazione né perché ritenga eccessivo il suo carico di lavoro. Il dirigente/responsabile dei servizi ha, in ogni momento, il potere di revocare e/o di avocare le responsabilità di procedimento, ma non può dettare specifiche prescrizioni di merito: il responsabile del procedimento è dotato di un’ampia autonomia e per tale aspetto non può essere gerarchicamente subordinato, ma come operativamente coordinato.

Nella individuazione del responsabile unico del procedimento non si assiste ad una “delega di poteri, ma di nomina, di assegnazione di funzioni a soggetto sottoposto e fornito di titoli”.

Per l’individuazione del responsabile si potrà procedere in due modi.

Il primo metodo consiste nell’individuare un responsabile per ogni singolo procedimento il quale però presenta, a mio avviso, alcuni lati deboli come, ad esempio:

  1. il succedersi nell’ambito di un procedimento di due responsabili:
    • il dirigente/responsabile del servizio, sino a che non sia avvenuta l’individuazione di altro responsabile con atto espresso;
    • il responsabile del procedimento così come individuato successivamente;
  2. un inutile moltiplicarsi di atti, con conseguente dispendio di risorse, dovendosi procedere all’individuazione con atto espresso in relazione al singolo procedimento;
  3. una riduzione del termine effettivo a disposizione del responsabile del procedimento per la conclusione del procedimento stesso, in virtù del fatto che una parte di detto termine si consumerà inutilmente dal momento della ricezione (per i procedimenti ad iniziativa eteronoma) all’Ente dell’istanza a quello dell’individuazione del responsabile da parte del dirigente/responsabile.

Una diversa e più opportuna modalità di individuazione del responsabile del procedimento potrà essere quella per cui il dirigente/responsabile del servizio individua a priori, con un atto a contenuto generale, i vari responsabili dei procedimenti amministrativi per categorie e/o tipologie di procedimenti, stabilendo ad esempio che la responsabilità dei procedimenti in materia A compete al dipendente Tizio, la responsabilità dei procedimenti in materia B compete al dipendente Mevio, e così via.

Ciò consente di superare le problematiche sopra prospettate con riferimento all’individuazione del responsabile del singolo procedimento.

Infatti, adottando la metodologia da ultimo prospettata, il responsabile del procedimento è automaticamente individuato a monte in relazione alla categoria o tipologia di procedimento, senza la necessità di un espresso atto volta per volta del dirigente/responsabile con riferimento al singolo procedimento.

Il dirigente/responsabile dei servizi sarà eventualmente chiamato in causa solo in presenza di procedimenti che per contenuti possano essere tali da determinare un conflitto di competenza, positivo o negativo.

Naturalmente il dirigente/responsabile dei servizi che abbia optato per un metodo di individuazione a priori dei responsabili del procedimento non per questo sarà privo, in relazione al singolo procedimento, del potere di riservarlo od avocarlo, ove ritenuto opportuno, alla propria competenza.

In generale il responsabile del procedimento è il soggetto preposto all’unità organizzativa competente, salvo che tale funzionario, avvalendosi della possibilità di nomina consentita dalla legge, assegni ad altro dipendente tale responsabilità. Tale assegnazione, come accennato, potrà essere continuativa, cioè fatta “una volta per tutte” per tutti i procedimenti di una certa specie o tipo, oppure occasionale, cioè fatta di volta in volta “per ogni singolo caso” (approvazione di un bando di gara o di un concorso pubblico, ecc.), dovrà risultare da ordine di servizio o da altro atto scritto, datato e sottoscritto, ben pubblicizzato (a tale scopo è prescritto l’obbligo di comunicazione ai cittadini interessati, con particolare riferimento ai procedimenti di natura restrittiva – articoli 7 e 8 della legge n. 241/1990) e comunicata allo stesso “responsabile del procedimento”, che può incorrere in responsabilità anche penali (articolo 328 codice penale).

 

3. Compiti e responsabilità

L’articolo 6 della legge n. 241/1990 individua i principali adempimenti che devono essere compiuti dal responsabile del procedimento. Esso si propone come interlocutore pubblico che agisce sia all’interno che all’esterno della pubblica amministrazione improntando l’azione svolta ai principi di efficienza, efficacia ed economicità per comporre le istanze, le domande dei cittadini.

Accentrando l’attenzione sull’attività di coordinamento svolta dal responsabile è possibile schematicamente ricondurne gli atti nell’ambito di due categorie, a seconda del fatto che essi abbiano rilevanza interna, ovvero rilevanza esterna.

In particolare deve:

- individuare e valutare le condizioni, i requisiti ed i presupposti necessari ai fini dell’emanazione del provvedimento finale;

- svolgere attività istruttoria e propositiva, necessaria alla raccolta dei documenti che si riferiscono al procedimento in atto. In tutta la fase istruttoria il responsabile del procedimento rappresenta l’ente e conduce l’attività amministrativa, anche adottando i necessari atti che hanno una rilevanza esterna, a partire dalle comunicazioni e dall’assunzione delle decisioni, come per esempio l’ammissione o l’esclusione dalle fasi ulteriori del procedimento. In tale ambito, anche se la legge n. 15 dell’11/02/2005 non detta alcuna previsione, si può ritenere che spetti al responsabile, anche se non in via esclusiva, il compito di comunicare al privato, che ha presentato l’istanza, il maturare dell’orientamento al rigetto della sua istanza. Occorre precisare che nell’espletamento di questa attività, il responsabile del procedimento deve rispettare le disposizioni dettate dall’articolo 18 della legge 241/1990 in materia di autocertificazione.

In particolare laddove il cittadino, per attestare fatti, stati o qualità personali, decida di avvalersi della documentazione già posseduta dall’amministrazione e allo stesso modo, ai fini di certificare tali condizioni, faccia rinvio ai soggetti appena menzionati, sarà compito del responsabile del procedimento provvedere all’acquisizione d’ufficio di tale documentazione e tali certificati. Inoltre il responsabile deve invitare i cittadini ad integrare la documentazione prodotta e rettificare le dichiarazioni o istanze erronee o incomplete.

- autenticare copie, su esibizione dell’originale e senza obbligo di deposito dello stesso presso l’amministrazione procedente, ai sensi dell’articolo 18, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 445/2000, utilizzabile solo per il procedimento cui inerisce.

Viene così delineata la figura di anello di congiunzione, il trait d’union tra cittadino e p.a., impersonato dal responsabile del procedimento, il quale assume un ruolo attivo e centrale – di ausilio istruttorio e non solo - nella conduzione del procedimento, dovendo non solo evitare errori od omissioni da parte della Pubblica amministrazione, ma dovendo anche prodigarsi per prevenire e, quando possibile, correggere gli errori in cui sono incorsi i cittadini. Un tipico esempio di questo ruolo partecipativo è oggi possibile riscontrarlo nel caso dell’espletamento di un concorso pubblico per la copertura di posti di ruolo, laddove il partecipante non abbia correttamente eseguito il versamento della tassa di concorso ed il responsabile del procedimento lo inviti ad effettuare, entro il termine di scadenza fissato dal bando di concorso, la necessaria integrazione (cd. soccorso istruttorio), favorendo la più ampia partecipazione.

Inoltre deve accertare d’ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti necessari allo scopo, e quindi può esperire accertamenti tecnici ed ispezioni ed ordinare l’esibizione di documenti;

- indicare o proporre l’indizione della “conferenza dei servizi” di cui all’articolo 14 della legge 241/1990. Detta conferenza consente un esame congiunto da parte delle amministrazioni o uffici amministrativi interessati alle problematiche scaturenti dal procedimento in corso, nonché una immediata raccolta dei pareri e nulla osta necessari al completamento dell’iter procedimentale, con un evidente risparmio in termini di tempo;

- effettuare le pubblicazioni, le notificazioni e le comunicazioni necessarie, quali quelle rivolte ai cittadini che possono partecipare al procedimento amministrativo;

- adottare il provvedimento finale, ove ne abbia la competenza (nel caso in cui il dirigente che adotta la determina coincide con il responsabile del procedimento) o, in caso contrario, trasmettere gli atti al soggetto che abbia la competenza. Risulta così evidente che le due figure (/responsabile del procedimento e soggetto che adotta l’atto finale) non sempre si identificano, mantenendo, invece, una reciproca autonomia funzionale.

L’elencazione delle attività istruttorie sopra individuate mostra come la funzione del responsabile del procedimento gode di ampia autonomia, fortemente caratterizzata da un ruolo attivo e propositivo, diremmo di cerniera tra amministrazione e burocrazia, protagonista nel dettare i tempi dello svolgimento delle varie fasi del procedimento, e determinante nel tracciare il corso di un’efficace azione amministrativa che possa bilanciare equamente le esigenze amministrative di correttezza formale e la tutela dell’interesse privato.

Oggi la proiezione esterna dell’attività del responsabile risulta particolarmente valorizzata grazie alla norma contenuta nell’articolo 4 della Legge 15/2005 che, integrando la lettera e) dell’articolo 6, prescrive un pesante condizionamento del contenuto del provvedimento finale, quando quest’ultimo viene adottato da un soggetto diverso rispetto al responsabile del procedimento, riguardo le risultanze dell’istruttoria condotta da quest’ultimo.   

In questo caso, infatti, viene previsto che l’organo competente ad adottare il provvedimento finale non possa discostarsi da quanto dedotto dal responsabile dell’istruttoria, a meno che non vengano indicati i motivi del dissenso nel corpo del provvedimento stesso.

Sostanzialmente la costruzione del sistema sembra essere orientata nel senso di voler favorire di fatto l’assunzione della decisione finale da parte del responsabile del procedimento: il dirigente/responsabile della struttura, pur mantenendo in capo a sé il potere di emanare il provvedimento, non può discostarsi dai risultati dell’istruttoria condotta dal responsabile senza l’indicazione della motivazione nello stesso provvedimento.

Questi risultati, formalizzati in una sorta di relazione o di bozza di decisione trasmessa al dirigente/responsabile, configurano di conseguenza un vero e proprio parere vincolante.

Non siamo di fronte ad una supervalutazione delle effettive facoltà del responsabile il quale, nella qualità di coordinatore di tutta l’attività istruttoria, propedeutica all’assunzione della decisione finale, è di fatto l’unica figura nell’ambito del procedimento che può in concreto disporre di tutti gli elementi utili per poter compiutamente assumere una decisione sulla conclusione del procedimento, supportato da una consapevole visione d’insieme dei contrapposti interessi che davanti a sé, nel corso della stessa istruttoria, ha cercato di contemperare.

Da qui la giusta considerazione per la quale il dissenso del dirigente/responsabile, quantunque non vengano richiesti particolari requisiti sostanziali della motivazione, deve essere adeguatamente articolato, con la confutazione degli elementi su cui si fonda il punto di vista del RUP, anche sulla base di fatti sopravvenuti o ignoti allo stesso RUP. E’ evidentemente escluso ogni dissenso pretestuoso.

Funzionale alla struttura di questa norma, di cui ne condivide anche la ratio, è l’importante innovazione apportata alla legge sul procedimento amministrativo dall’introduzione dell’artucolo 10-bis ad opera dell’articolo 6 della Legge 15/2005 sulla comunicazione agli istanti del preavviso di rigetto dell’istanza da essi presentata.

La disposizione sembra porre l’adempimento dell’obbligo di preavviso alternativamente in capo al responsabile o all’autorità competente per l’adozione dell’atto finale. Tale previsione genera un inesorabile contrasto con la linea promossa dal legislatore della riforma in direzione di un evidente e deciso rafforzamento dei poteri del responsabile del procedimento, alle cui deduzioni il novellato articolo 6, lettera e) della Legge 241/1990 attribuisce, come abbiamo visto, addirittura un peso determinante nell’adozione del provvedimento finale da parte dell’autorità decidente, alla quale non è concesso di discostarsi, senza l’indicazione di una motivazione nel contenuto del provvedimento stesso.

D’altra parte, nello stesso punto, l’articolo 10-bis contrasta anche con il ruolo del responsabile del procedimento voluto e disegnato come unico interlocutore con il privato, con il compito di valutare condizioni, requisiti e presupposti rilevanti per l’emanazione del provvedimento.

In tale qualità egli è, quindi, l’unico ad avere effettivamente una completa conoscenza della vicenda procedimentale e, in forza di ciò, l’unico ad essere sostanzialmente in grado di individuare i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza da indicare in un eventuale preavviso di rigetto.

Rimane tuttavia la lettera della formula normativa che costruisce in termini alternativi il regime della competenza, a meno che non si voglia ritenere la norma frutto di un’infelice traduzione della volontà di ammettere una competenza ad emanare il preavviso di provvedimento sfavorevole in capo all’autorità che deve adottare l’atto finale, la quale, dopo aver ricevuto gli atti del responsabile del procedimento già orientato in senso favorevole all’accoglimento dell’istanza, ha dei dubbi che manifesta al privato per stimolare un supplemento istruttorio con finalità di chiarificazione.

Tale interpretazione, non esclusa dalla lettera della norma, sarebbe peraltro sistematicamente coerente con l’introduzione dell’obbligo in capo all’autorità procedente di motivare le ragioni del dissenso rispetto alle risultanze dell’istruttoria, così come relazionate dal responsabile del procedimento.

E' opportuno soffermarsi brevemente sulla qualificazione professionale del responsabile del procedimento e del responsabile dell’unità organizzativa. La legge 241/1990 parla di dipendente per il primo caso e di dirigente per il secondo. In realtà, a seconda delle diverse amministrazioni sia l’uno che l’altro possono essere soggetti di qualifica dirigenziale o di altra qualifica. Nelle strutture ministeriali, di norma, i capi delle unità organizzative sono dirigenti o funzionari di qualifica immediatamente inferiore. Negli enti locali le posizioni di lavoro che richiedono, con assunzione diretta di elevata responsabilità di prodotto e di risultato, possono essere assegnate esclusivamente a dipendenti classificati nella categoria D, sulla base e per effetto di un incarico a termine conferito in conformità all’articolo 14 del CCNL- Funzioni Locali, sottoscritto in data 21 maggio 2018. Nel caso in cui siano privi di posizioni di categoria D, la presente disciplina si applica:

a) presso i comuni, ai dipendenti classificati nelle categorie C o B;

b) presso le IPAB, ai dipendenti classificati nella categoria C.

Nelle carriere speciali, come la diplomatica o la prefettizia, sono dipendenti aventi qualifiche diverse ma equiparate a quelle dirigenziali del personale c.d. “privatizzato”. Naturalmente i responsabili dei singoli procedimenti sono di qualifica inferiore rispetto ai capi delle unità organizzative (oppure di pari qualifica ma con incarico subordinato). Questi, ai sensi del novellato articolo 16, comma 1, lettera e) del decreto legislativo n. 165 del 30/03/2001 e successive modifiche, svolgono funzioni di coordinamento e controllo dei responsabili dei procedimenti appartenenti alla propria unità organizzativa, anche con potere sostitutivo in caso di inerzia, e propongono l'adozione, nei confronti dei dirigenti, delle misure previste dall'articolo 21 del citato decreto legislativo 165/2001.

Ciò perché - è il caso di sottolinearlo - la responsabilità del RUP non esclude quella del dirigente dell’unità organizzativa, relativa all’andamento generale dell’attività gestionale di competenza della stessa. I poteri del dirigente dell’unità organizzativa, comunque, non devono spingersi fino a privare di contenuto l’autonomia organizzativa e decisionale di cui deve godere il responsabile del procedimento, per poter efficacemente svolgere il ruolo conferitogli: i limiti sono quelli indicati dal citato articolo 16 (coordinamento, controllo, da intendersi quale verifica periodica degli stati di avanzamento delle pratiche, e sostituzione per inerzia).

Il termine “unità organizzativa” usato dal legislatore della legge 241/1990 è volutamente generico, dovendosi applicare a tutte le pubbliche amministrazioni. Qualche difficoltà identificativa può sorgere per le amministrazioni più articolate. Spetta alla discrezionalità delle stesse prevedere quali procedimenti siano da riservarsi alla diretta competenza delle più grandi ripartizioni (dipartimenti, direzioni generali o centrali) e quali a quella delle unità più piccole.

Il decreto legislativo n. 286/1999 (sui sistemi di valutazione e controllo nelle pubbliche amministrazioni) dà un ruolo ben definito al dirigente, inteso proprio come dipendente iscritto nell’apposito ruolo unico (per i ministeri), anche se è da ricordare che numerose discipline speciali, nonché la generale possibilità di reggenza degli uffici di livello dirigenziale da parte dei funzionari di qualifica immediatamente inferiore, impediscono di identificare univocamente il grado con la funzione.

Il responsabile del procedimento non riveste, dal canto suo, una posizione necessariamente sovraordinata rispetto ai colleghi coinvolti nel procedimento stesso. Tuttavia, poiché non può aversi responsabilità senza poteri, è evidente che le sue indicazioni relative al procedimento di cui è responsabile costituiscono direttive per gli altri impiegati. Si ritiene che il responsabile non possa delegare la responsabilità e i poteri conferitigli ad altri soggetti, stante il carattere fiduciario dell’investitura e in osservanza del generale principio per cui delegatus delegare non potest.

Fin qui si è dato per scontato che l’intero procedimento sia di competenza della stessa unità organizzativa, e che l’adozione del provvedimento finale sia di competenza del suo dirigente. In alcuni casi, tuttavia, il procedimento è suddiviso fra più unità organizzative (procedimenti complessi). In tal caso la legge impone un distinguo: se le unità amministrative appartengono a diverse amministrazioni la responsabilità del procedimento non potrà che essere suddivisa fra le diverse unità amministrative interessate; se, invece, queste appartengono alla medesima amministrazione, sembra corretta l’interpretazione che, anche per un fondamentale favor per il privato interessato, considera doverosa l’identificazione di un unico responsabile.

Si pone, in tal caso, il problema dell’inquadramento del rapporto fra il responsabile e i capi delle unità organizzative interessate. Per evitare il porsi della questione, il Dipartimento della funzione pubblica si è espresso, nell’immediatezza della pubblicazione della legge 241/1990, in senso contrario alla possibilità di individuare un responsabile unico. Tuttavia, una più moderna concezione delle strutture amministrative consente, anzi impone, di mutuare dalla organizzazioni private l’assetto delle organizzazioni di progetto o quello c.d. “a matrice”. In buona sostanza, con tali modalità organizzative, un responsabile del procedimento può fare riferimento, per l’uso delle diverse strutture intervenienti, a diverse unità organizzative. Naturalmente si attenua, in tal caso, la sua soggezione dai dirigenti delle stesse, che diviene soltanto funzionale e limitata alle singole fasi procedimentali. Continuano, però, a dipendere dai capi delle unità tutte le risorse delle stesse, di personale, strumentali e finanziarie. Inoltre, permane il già citato potere sostitutivo in caso di inerzia, da ricondursi, evidentemente, in capo al dirigente della prima ripartizione amministrativa che comprenda nel suo seno tutte le unità organizzative coinvolte.

Nulla quaestio¸ invece, riguardo alla competenza ad adottare il provvedimento finale. La stessa legge 241/1990, infatti, considera eventuale l’ipotesi che questa coincida con la responsabilità del procedimento (articolo 5, comma 1). In ogni caso non vi è alcun ostacolo concettuale alla scissione dell’istruttoria dalla sottoscrizione dell’atto finale, tanto più in una pubblica amministrazione in cui, per oltre un secolo, questa è stata la regola (visto che tutti gli atti erano di competenza dei vertici politici).

Dall’esame dei compiti appena elencati appare chiaro che la responsabilità del soggetto in esame è responsabilità di prodotto e di risultato, nel senso più volte chiarito nel corso dell’esposizione. Tuttavia incombono sul predetto anche le più tradizionali responsabilità per fatto illecito e per danno ingiusto, sotto il profilo civile, penale e amministrativo. È il caso di esaminarle distintamente.

1) Responsabilità penale

Il responsabile del procedimento può essere chiamato a rispondere penalmente a cagione dell’incuria nell’adempimento dei propri compiti quando questa integri omissione d’atti d’ufficio ai sensi dell’articolo 328, comma 2, del Codice penale (modificato dalla legge 86/1990, non a caso coeva della legge 241/1990).

Costituisce omissione il mancato compimento degli atti del proprio ufficio, il mancato compimento di un atto dell’ufficio da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio entro trenta giorni dalla richiesta dell’interessato, salva risposta recante esposizione delle ragioni del ritardo. Ne consegue che il reato, omissivo proprio e a consumazione istantanea, deve intendersi perfezionato con la scadenza del predetto.

Ai fini dell’integrazione del delitto di omissione di atti d’ufficio, è infatti irrilevante il formarsi del silenzio-inadempimento entro la scadenza del termine di trenta giorni dalla richiesta del privato che, in quanto inadempimento, integra la condotta omissiva richiesta per la configurazione della fattispecie incriminatrice.

Il termine coincide, non a caso, con quello generale individuato dalla legge 241/1990 (articolo 2, comma 3).

Si rileva, quindi, che la richiesta scritta di cui all’articolo 328, comma secondo, rilevante ai fini dell’integrazione della fattispecie, deve assumere la natura e la funzione tipica della diffida o intimazione di messa in mora nei confronti della Pubblica amministrazione ad adempiere, dovendo la stessa essere rivolta a sollecitare il compimento dell’atto del soggetto preposto al relativo procedimento in quanto responsabile o l’esposizione delle ragioni che lo impediscono.

Seppure, quindi, non siano necessarie frasi che riproducano pedissequamente la formulazione della legge in termini di «diffida» e «messa in mora», il contenuto della richiesta deve essere tesa a rappresentare quantomeno la cogenza della richiesta e la sua necessità di un adempimento direttamente ricondotto alla disciplina del procedimento amministrativo, circa le conseguenze in ipotesi di non evasione o mancata risposta nei termini.

2) Responsabilità civile

Il dipendente che ha la cura del procedimento risponde civilmente dei danni cagionati a terzi con violazione degli obblighi fissati dall’articolo 6 della legge 241/1990, di cui detto. È questa una delle ragioni per cui il legislatore impone la comunicazione agli interessati dell’identità del responsabile del procedimento (articolo 5, comma 3).

3) Responsabilità amministrativa

Il dipendente preposto alla gestione del procedimento risponde anche sotto il profilo amministrativo, sotto i diversi aspetti che tale responsabilità assume:

- contabile o erariale (a seconda che si abbia o meno maneggio di valori), per i danni cagionati all’amministrazione;

- disciplinare, per le violazioni dei doveri del responsabile del procedimento in quanto pubblico dipendente, in applicazione dei contratti collettivi e delle eventuali norme di legge.

4) Responsabilità gestionale

Già la responsabilità disciplinare, nella misura in cui prescinde da un danno, si avvicina a quella gestionale la quale, come più volte precisato, riguarda le modalità di gestione delle attività affidate e i risultati da queste conseguite.

Poiché non si dà responsabilità senza sanzione, oltre che senza poteri, sorge un problema a proposito della possibilità di configurarne il tipo gestionale a carico dei dipendenti che non rivestono la qualifica di dirigente.

Infatti, per i dirigenti la responsabilità gestionale si identifica con quella dirigenziale e ha le seguenti sanzioni, elencate in ordine di gravità:

- mancata corresponsione della retribuzione di risultato (anche unitamente ad una della sanzioni successive);

- mancata conferma dell’incarico alla scadenza;

- rimozione dall’incarico e, per i dirigenti statali, messa a disposizione del ruolo unico.

In particolare e per quanto di interesse, negli enti locali l’articolo 14 del CCNL – Funzioni Locali, sottoscritto in data 18 Maggio 2018, prevede che gli incarichi possono essere revocati prima della scadenza con atto scritto e motivato, in relazione a intervenuti mutamenti organizzativi o in conseguenza di valutazione negativa della performance individuale.

I risultati delle attività svolte dai dipendenti cui siano stati attribuiti gli incarichi relativi all’area delle posizioni organizzative sono soggetti a valutazione annuale in base al sistema a tal fine adottato dall’ente. La valutazione positiva dà anche titolo alla corresponsione della retribuzione di risultato. La revoca dell’incarico comporta la perdita della retribuzione di posizione.

A ciò si aggiunga che ai titolari di posizione organizzativa, di cui all’articolo 14, in aggiunta alla retribuzione di posizione e di risultato, possono essere erogati anche altri trattamenti accessori, la cui perdita per responsabilità nella cattiva gestione in caso di ridotto o mancato raggiungimento degli obiettivi costituisce una sanzione sufficiente.

Inoltre ai dipendenti che conseguano le valutazioni più elevate, secondo quanto previsto dal sistema di valutazione dell’ente, è attribuita una maggiorazione del premio individuale di cui all’articolo 68, comma 2, lettera b (premi correlati alla performance individuale), che si aggiunge alla quota di detto premio attribuita al personale valutato positivamente sulla base dei criteri selettivi.

Altro criterio meritocratico, previsto dal CCNL – Funzioni Locali, è rappresentato dalle progressioni all'interno della stessa area che avvengono secondo principi di selettività, in funzione delle qualità culturali e professionali, dell'attività svolta e dei risultati conseguiti, attraverso l'attribuzione di fasce di merito.

La valutazione positiva conseguita dal dipendente per almeno tre anni costituisce titolo rilevante ai fini della progressione economica e dell'attribuzione dei posti riservati nei concorsi per l'accesso all'area superiore.

Anche questa può costituire un incentivo, nonché, a contrario, una sanzione, per il corretto espletamento dei doveri inerenti la responsabilità gestionale.

 

4. Rapporti tra il responsabile del procedimento, dirigente responsabile di struttura dell’unità organizzativa e i responsabili delle singole fasi

Si è detto di come l’articolo 5, comma 1 preveda la possibilità che il dirigente/responsabile dell’ufficio formalizzi la designazione del responsabile sulla persona sulla quale graverà ogni iniziativa connessa al procedimento, dagli atti d’impulso, agli avvisi, all’istruttoria e alle comunicazioni commesse al procedimento, mantenendo in capo a sé stesso la competenza esclusiva per l’adozione del provvedimento finale.

Anche se la nomina è di competenza dirigenziale, il RUP non si trova in una posizione di subordinazione gerarchica rispetto a quest’ultimo e non può essere considerato un mero esecutore di disposizioni. Anzi, gode di ampia autonomia di poteri nella sua gestione, di impulso, di stimolo, ma non di tipo definitivo (adozione dell'atto finale), e di stimolo dell’azione amministrativa, essendo svincolato dal rapporto gerarchico.

Parte della dottrina ritiene che, ai sensi dell’articolo 6, comma 1, della legge 241/1990, la nomina del responsabile unico del procedimento (acronimo di RUP) abbia un valore funzionale ed amministrativo, nel senso che detta figura è posta a salvaguardia non solo della responsabilità ma anche per una più efficace azione di controllo e valutazione dello svolgimento dell’attività e dei risultati raggiunti.

La responsabilità gestionale resta comunque in capo al dirigente/responsabile (qualora non coincida con il RUP) che detiene il potere dell’adozione del provvedimento finale e di impegnare l’ente verso l’esterno, anche con prenotazione dell’impegno di spesa, ex articoli 107 e 109 del D. Lgs. n. 267/2000: eventuali ordini, direttive impartiti dal dirigente verrebbero declassati a mere indicazioni, suggerimenti, non vincolanti e che il RUP potrebbe legittimamente disattendere ove non condivisi.

Il rapporto che avvince il responsabile del procedimento al dirigente, invece, presenta aspetti del tutto innovativi rispetto alle tradizionali relazioni interorganiche.

La figura del funzionario responsabile ha determinato una forte attenuazione del principio di gerarchia.

Al dirigente, infatti, spetta il compito di operare la scelta del responsabile. Tuttavia, compiuta questa, la gestione delle attività procedimentali divengono di competenza del responsabile, che risponde direttamente delle proprie azioni.

Bisogna, infatti, tenere conto che sull’incaricato della gestione del procedimento incombono alcune responsabilità.

Questo risponde dei danni causati da tutti i ritardi nello svolgimento del procedimento amministrativo nonché dall’inadempimento degli obblighi previsti dalla legge, di talché è responsabile non solo sul piano civile o amministrativo, bensì anche su quello penale.

La sovraordinazione gerarchica che di norma connota il rapporto di ufficio tra tali soggetti, viene svuotata di molte sue prerogative (sostituzione, repressione, ordine) trasformandosi, con la designazione del responsabile, in un nuovo rapporto di rilevanza esterna, in cui è il designato che assume poteri di indirizzo e propulsivi, di guida e di coordinamento in ordine a tutti gli atti della sequenza procedimentale nei confronti dello stesso proponente, il quale conserva solo poteri di direttiva e di vigilanza sulla corretta evoluzione dell’attività procedimentale.

Rapporto che per la sua singolarità si potrebbe definire “procedimentale”. La formula organizzativa che più gli è similare sembra essere quella del coordinamento.

Risulta profonda la differenza della formula organizzativa del coordinamento rispetto alla formula della gerarchia: nell’ambito di un rapporto gerarchico l’ordine viene imposto, non (come nel coordinamento) cercato insieme con altri, la cui collaborazione è essenziale per il raggiungimento del risultato.

Sia il coordinare che l’ordinare sono, quindi, attività finalizzate al raggiungimento di un fine: ma coordinando si raggiunge un ordine condiviso. Accettando di essere coordinati i diversi soggetti coinvolti accettano consapevolmente di rinunciare a una parte della propria autonomia, perché il fine che si intende raggiungere e che tutti condividono viene ritenuto più importante del mantenimento dell’integrità totale di tale autonomia; il fine condiviso è cioè considerato da tutti i soggetti coinvolti nell’attività di coordinamento più importante dei fini che ognuno potrebbe perseguire singolarmente se non accettasse di limitare la propria autonomia

Sia il coordinare che l’ordinare sono dunque attività strumentali, finalizzate al raggiungimento di un diverso assetto della realtà; tuttavia, mentre nel caso dell’ordinare c’è praticamente un solo modo per ottenere il comportamento conforme alla volontà del soggetto sovraordinato, cioè l’emanazione dell’ordine, nel caso del coordinare la gamma possibile di attività che il soggetto coordinatore può porre in essere è assai ampia, sia sul versante dell’attività sia su quello dell’organizzazione.

La funzione di coordinamento può realizzarsi in vari modi. Spetta al soggetto coordinatore, autonomamente o sulla base delle indicazioni provenienti dall’ordinamento, scegliere gli strumenti più efficaci nelle circostanze date.

Non ci sono un’attività né un’organizzazione che di per sé possono definirsi di coordinamento, anche se evidentemente vi sono attività (per es. il procedimento) ed organizzazioni (per es. le conferenze di servizi) che meglio di altre consentono di raggiungere l’effetto del coordinamento fra soggetti diversi, in vista del raggiungimento di un determinato scopo comune; ma anche altre attività ed organizzazioni possono, a seconda delle circostanze, consentire di raggiungere il medesimo risultato.    

I valori in giuoco nel sistema di relazioni fra il responsabile del procedimento e il dirigente/responsabile apicale di struttura sono da un lato l’unità della struttura organizzativa, dall’altro l’autonomia di chi è designato all’attività procedimentale.

Tutelare l’autonomia del responsabile del procedimento è essenziale in quanto consente quella chiara ed inequivocabile imputazione di responsabilità (in modo positivo o negativo) in cui consiste il vero “valore aggiunto” della riforma dell’attività amministrativa secondo il modello “privatistico”, finalizzato alla trasparenza, efficienza, responsabilità ed efficacia dell’azione. Essere autonomi vuol dire essenzialmente poter scegliere, sia pure nell’ambito di un quadro di riferimento rappresentato dalle regole dettate dall’ordinamento, dagli obiettivi contenuti negli atti di indirizzo, direttive e da altri simili vincoli; ma se si può scegliere, se cioè i comportamenti adottati non sono il frutto di una costrizione bensì di una autodeterminazione, ne consegue inevitabilmente anche la responsabilità per le scelte compiute. Grazie alla autonomia gestionale riconosciuta al responsabile del procedimento, è possibile appunto (a differenza di quanto accade nel modello gerarchico tradizionale) individuare con precisione le responsabilità dell’attività amministrativa, in quanto distinta dal punto di vista funzionale dall’attività del responsabile del procedimento finale.

Ma l’autonomia (e le responsabilità) gestionale del responsabile del procedimento hanno senso solo in quanto si collocano all’interno di un sistema (unità organizzativa, area, settore, ecc.) che avendo un proprio indirizzo opera per un fine comune. E’ all’interno di tale fine comune – attribuito all’ufficio dalla norma – che acquistano infatti significato anche i fini singolarmente perseguiti dall’attività procedimentale.

Il bilanciamento fra il valore dell’unità delle competenze attribuite all’ufficio e quello dell’autonomia del responsabile del procedimento si realizza grazie alla relativizzazione di entrambi i poli della dicotomia. Il dirigente non spinge la ricerca dell’unità del sistema fino al punto di intromettersi nella sfera gestionale del responsabile del procedimento, rispettandone la piena autonomia in quanto fattore essenziale per un miglior perseguimento dell’attività procedimentale; a sua volta il responsabile del procedimento non spinge la tutela della propria autonomia fino al punto da sottrarsi al dovere di collaborare con il responsabile dell’unità organizzativa, contribuendo attivamente al realizzarsi della funzione di coordinamento svolta dal dirigente.

In conclusione, l’autonomia del responsabile del procedimento ha gradi diversi di incisività: massima nel nucleo più interno, quello riguardante la sfera strettamente gestionale del procedimento, minima nello strato più esterno, quello dove la sfera di autonomia del designato responsabile entra in contatto con la sfera della responsabilità del provvedimento finale attribuita al dirigente responsabile dell’unità organizzativa. Specularmente, la responsabilità del responsabile del procedimento è massima dove è massima la sua autonomia, cioè nell’ambito della sfera gestionale dell’attività procedimentale, minima dove l’autonomia è limitata dallo svolgersi della funzione di direzione e di controllo del dirigente.

Quanto sopra descritto è la logica conseguenza del passaggio da un’organizzazione verticale fondata su rapporti gerarchici, ad un’organizzazione orizzontale fondata su rapporti tendenzialmente paritari fra soggetti con propria responsabilità. Infatti, l’unicità di indirizzo amministrativo si ottiene trasformando i centri di comando in centri di coordinamento di soggetti responsabilmente autonomi.

Sulla base di tali considerazioni, si può concludere riconoscendo un’ampia sfera di autonomia in capo al responsabile procedimentale, il quale nello svolgimento dell’azione amministrativa non può che rispondere egli stesso dei propri comportamenti.

Quindi, e è indubbio che il dirigente dell’unità organizzativa può revocare la nomina con la quale ha attribuito la responsabilità procedimentale ed avocare a sé il procedimento, è altrettanto vero che egli non può invadere quella sfera di autonomia che deve caratterizzare l’azione del soggetto responsabile del procedimento.

In definitiva, in sintonia con una generale tendenza all’affievolimento dei rapporti gerarchici nel diritto amministrativo, la diretta ascrizione della responsabilità in capo al funzionario designato non può non comportarne una relativa indipendenza rispetto ai superiori in sede di gestione dell’iter procedurale.

Comunque, non va dimenticato che il ruolo del responsabile, benché espressivo di poteri autonomi anche nei confronti del dirigente che lo abbia designato, non valgono a sottrarre a quest’ultimo i poteri di direttiva e di controllo che gli competono in quanto preposto all’unità organizzativa.

Inoltre, il dirigente, qualora riscontri incoerenze, errori o incompletezze nell’attività del funzionario designato al procedimento, può richiedere interventi correttivi o integrativi e, infine, può anche sovrapporre una propria valutazione critica e di opportunità amministrativa a quella storico-valutativa definita in sede istruttoria.

In conclusione il rapporto tra il responsabile del procedimento e il dirigente dell’unità organizzativa non si risolve mai, nemmeno quando quest’ultimo ha deciso di mantenere la competenza per l’adozione del provvedimento conclusivo, in un vero e proprio rapporto gerarchico, né il responsabile può essere considerato alla stregua di un mero esecutore materiale delle direttive impartite dal dirigente, in quanto egli è investito di ampia autonomia operativa tecnico-discrezionale.

La collaborazione tra le due figure si enuclea nella direzione del raggiungimento di un risultato comune, e ciò comporta una fortissima attenuazione della subordinazione gerarchica del responsabile del procedimento rispetto al dirigente dell’unità organizzativa, la quale viene svuotata di alcune tra le sue più peculiari prerogative (come ad esempio lo stesso potere di sostituzione che il decreto legislativo 165/2001 ha limitato, alla fine, ai soli casi di inerzia), a fronte di un’autonomia tecnica e discrezionale che si realizza in un sistema organizzativo di tipo orizzontale, in quanto fondato su un rapporto tendenzialmente paritario, tra soggetti dotati di autonoma responsabilità.

Rimangono integri sia i poteri di direttiva che quelli di controllo, i quali competono al dirigente in quanto preposto all’unità organizzativa, e si collocano, quindi, oltre lo stesso rapporto procedimentale, e comunque temperati dal potere di coordinamento riconosciuto al responsabile.

A tal proposito è opportuno notare come sia il dirigere che il coordinare sono entrambi idonei ad incidere sulla realtà esterna per il raggiungimento di un risultato o un obiettivo, con la sostanziale differenza che mentre nell’ordinare o dirigere l’unico comportamento legittimo da tenere è quello conforme alla volontà del soggetto sovraordinato, nel modello del coordinare esiste un ventaglio di comportamenti possibili tanto più ampia quanto maggiore è l’autonomia del soggetto deputato al coordinamento.

Nel rapporto procedimentale, quindi, si assiste a un modello comportamentale speciale, caratterizzato dal fatto che sia il dirigente che il responsabile accettano consapevolmente di rinunciare a una parte della loro autonomia, per il perseguimento di un fine pubblico condiviso, rappresentato dalla conclusione del procedimento attraverso l’adozione di un provvedimento decisivo, considerato da tutti i soggetti coinvolti più importante dell’obiettivo che ognuno potrebbe perseguire singolarmente.

Ciò considerato, in pratica sovente accade che sono più di uno i soggetti che esplicano un ruolo nell’ambito di un procedimento amministrativo, ognuno dei quali dotato di proprie responsabilità mantenendo opportunamente ancora significativi ambiti di autonomia.

In tale direzione è da segnalare come la maggiore responsabilizzazione della figura del responsabile del servizio sia la naturale conseguenza dell’ampliamento dei poteri connessi alla sua funzione. Infatti, a parte le consuete forme di responsabilità amministrativa (disciplinare o contabile) intimamente connessa al rapporto che lega il responsabile alla p.a. di appartenenza, il rischio di vederlo chiamato a rispondere della sua condotta, sia in sede civile che in sede penale, è direttamente proporzionale all’aumentare della visibilità, dell’incidenza e dell’autonomia della sua azione.

In altri termini, se si ammette che il responsabile ha maggiore autonomia nelle scelte da compiere, la logica conseguenza è un inevitabile aggravamento di responsabilità in relazione agli effetti derivanti dalle scelte effettuate.

In conseguenza di ciò, è normale che il dipendente responsabile sia stimolato ad assumere direttamente la guida del procedimento, attraverso lo svolgimento di un ruolo attivo e propulsivo in ognuna delle fasi procedimentali sottoposte alla sua responsabilità, perché il buon andamento dell’azione amministrativa sia realizzato attraverso l’adozione di quegli atti ritenuti funzionali al legittimo perseguimento del fine pubblico, che lo esonerebbe, per ciò stesso, da qualsiasi responsabilità personale per l’attività posta in essere.

L’architettura sopra descritta si inserisce appieno nel disegno legislativo di semplificazione dell’attività amministrativa, il quale prevede un riordino in chiave produttivistico-efficientista dell’organizzazione e dell’azione amministrativa dei pubblici poteri.

Il piano di semplificazione è stato orientato verso obiettivi di riordino di compiti e funzioni amministrativi omogenei o connessi – attraverso il loro accorpamento e la soppressione di quelli divenuti superflui – nonché di unificazione di procedimenti attinenti materie similari, attesa la necessità di concentrazione di compiti in un’unica struttura responsabile predicata dalla legge n. 59 del 1997.

A questo punto è opportuno considerare diversamente le tre diverse fattispecie:

1) identificazione del responsabile del procedimento con il dirigente;

2) identificazione del responsabile del procedimento con altro dipendente;

3) identificazione del responsabile del procedimento con altro dipendente, ma con mantenimento in capo al dirigente della competenza all’assunzione del provvedimento conclusivo.

Nella prima fattispecie, se è vero che la responsabilità del dirigente sarà piena in relazione alle competenze tutte attribuite al responsabile del procedimento dall’articolo 6 della Legge 241/1990, è altrettanto vero che ogni soggetto chiamato ad esplicare un ruolo nell’ambito dello stesso, con particolare riferimento alle funzioni di natura istruttoria, risponderà nei limiti delle proprie competenze.

Nella seconda fattispecie le responsabilità tutte derivanti dall’esercizio delle competenze di cui all’articolo 6 della Legge 241/1990 saranno del dipendente individuato quale responsabile del procedimento.

Va peraltro detto come esse non potranno non essere rapportate alla categoria da esso rivestita; ciò significa valutare la responsabilità in relazione al livello di professionalità che può pretendersi da quel soggetto.

Non solo: il responsabile del procedimento nell’esercizio delle proprie competenze potrà giovarsi, ove necessario, in relazione a problematiche di particolare complessità che dovessero emergere dall’istruttoria, da un lato del supporto tecnico-specialistico del dirigente, dall’altro dall’assistenza giuridico-amministrativa del Segretario comunale e provinciale.

Per quanto concerne il dirigente, in capo ad esso residuerà la responsabilità:

a) dell’ottimale organizzazione del servizio o ufficio;

b) della dotazione delle idonee risorse nei limiti di quelle ad esso assegnate dall’organo di governo;

c) dell’idonea individuazione del responsabile del procedimento, in relazione a natura, caratteristiche e complessità del procedimento e a professionalità ed attitudini del dipendente individuato;

d) del coordinamento della struttura.

Non sembra invece riconducibile al dirigente una responsabilità diretta in ordine a contenuti specifici del singolo provvedimento e del procedimento propedeutico all’assunzione dello stesso.

Venendo da ultimo alla terza fattispecie:

- il responsabile del procedimento avrà la piena responsabilità dell’esercizio delle competenze tutte di cui all’articolo 6 della Legge 241/1990, con la sola esclusione di quella di cui alla lettera e), ovvero dell’assunzione del provvedimento finale;

- il dirigente, oltre che le responsabilità di cui sub b), avrà anche quella afferente l’assunzione dell’atto, con la precisazione però che esso potrà rispondere di detto provvedimento nei limiti di quanto emergente dalla proposta di provvedimento così come ad esso sottoposta dal responsabile del procedimento, su cui grava la responsabilità del procedimento stesso, con particolare riferimento all’istruttoria.

Pertanto, ove ad esempio un presupposto di fatto sia falsamente o erroneamente rappresentato o trascurato, di ciò non potrà rispondere il dirigente che assume il provvedimento conclusivo conformemente alla proposta del responsabile del procedimento, bensì quest’ultimo.

Lo stesso dicasi per una carenza di istruttoria sotto il profilo dei presupposti di diritto.

Da ultimo va detto come nell’ambito del procedimento restino ferme, in ogni caso, le responsabilità di tutti i soggetti in qualche modo coinvolti dallo stesso (concetto espresso molto efficacemente dall’articolo 7 della legge regionale 30 aprile 1991, numero 10 che nell’ordinamento regionale della Sicilia ha recepito e dato attuazione alla legge 241/1990).

In giurisprudenza si è affermato che sussiste la responsabilità del funzionario addetto all’istruttoria preliminare per l’erogazione di contributi a favore di imprese danneggiate da eventi calamitosi e che responsabile del procedimento è colui che abbia predisposto il provvedimento concessivo in assenza dei necessari presupposti e della relativa documentazione (Corte dei Conti, reg. Sicilia, Sez. giurisd., 20 maggio 2002, 872, in Riv. Corte Conti, 2002, fasc. 3, 168).

Il concetto di “responsabile del servizio” non va confuso con quello di “responsabile del procedimento” di cui alla Legge n. 241/1990 (anche se spesso le due figure coincidono):

- il primo ‘risponde’ globalmente di un servizio, firma gli atti, i pareri e così via, per cui è richiesta, come noto, la qualifica apicale;

- il secondo si occupa concretamente delle procedure, le avvia con sollecitudine, rispetta gli obblighi previsti dalla Legge 241/1990, elabora proposte di delibere, completa i procedimenti entro i termini, ecc.: questi compiti possono essere delegati a qualunque addetto dell’unità organizzativa, a prescindere della qualifica posseduta: il criterio decisivo è la valutazione fatta dal superiore circa la reale capacità dell’addetto.

A questo punto, per dovere di chiarezza, occorre distinguere tra il responsabile del procedimento ed i responsabili delle singole fasi che lo compongono, perché un procedimento può richiedere l’intervento di più soggetti inseriti all’interno di settori o unità organizzative diverse; ad esempio, la ragioneria per fare un mandato, l’ufficio contratti per stipulare un contratto, il settore tecnico per un accertamento tecnico, ecc..

Poniamo che il responsabile di un certo procedimento sia il funzionario della ragioneria.

Esso ha una responsabilità:

- diretta per le fasi che verranno svolte all’interno della propria unità (culpa in agendo o in operando), in quanto può ordinare a tutti coloro che compongono la sua unità comportamenti determinati e specifici, per quanto concerne l’istruttoria svolta e la proposta di provvedimento conseguentemente formulata;

- indiretta per le fasi che verranno svolte da altre unità e settori (diretti da un funzionario diverso). Per queste attività egli deve programmare, organizzare e vigilare affinché si creino le condizioni per lo svolgimento corretto e puntuale del procedimento (sollecitando, richiamando, controllando i vari uffici). Qualora dimostri di aver svolto correttamente e diligentemente questo “ruolo”, per eventuali omissioni, ritardi, ecc., risponderà solo l’ufficio che doveva svolgere il singolo adempimento (culpa in agendo o in operando). Ciò deriva dal fatto che il responsabile del procedimento, che nell’ipotesi in questione è il funzionario della ragioneria, non potrebbe anche rispondere dell’operato del settore tecnico, del settore contratti e così via, in quanto egli non ha la superiorità gerarchica su questi soggetti e, pertanto, non può impartire ordini e rispondere direttamente della loro attività.

Tutto ciò, però, non fa venir meno l’istituto del referente unico per il singolo procedimento di fronte al cittadino, creando solamente un sistema di tutela e di responsabilità nel rapporto tra uffici pubblici che partecipano a fasi differenziate dello stesso procedimento.

 

5. Compiti e responsabilità del responsabile dei servizi

Diversamente il responsabile dei servizi spesso ha una responsabilità di tipo “organizzativo”  ed una “culpa in eligendo” (colpa nella cattiva scelta del dipendente e conseguente responsabilità dei danni arrecati, indipendente dalla colpa del soggetto ritenuto responsabile) ed “in vigilando”(omessa vigilanza nei confronti del soggetto ritenuto responsabile), nel senso che deve creare le condizioni idonee affinché i vari responsabili dei procedimenti possano ben operare, utilizzando in modo ottimale i propri poteri di direzione, quali: distribuzione dei carichi di lavoro, assegnazione dei procedimenti e delle pratiche (in modo tale che ciascun singolo procedimento, sia affidato al soggetto più “adatto” e “adeguato”, tra tutto il personale a disposizione), conferimento (a ciascun responsabile) delle dotazioni umane e materiali necessarie, creazione di strumenti di formazione e di aggiornamento, indicazioni per la soluzione di casistiche o fattispecie particolari o difficili, verifica del corretto svolgimento dei compiti assegnati, ecc.. Esso potrebbe, quindi, essere chiamato a rispondere per gli inadempimenti e le manchevolezze del responsabile del procedimento, le cui capacità, ripetesi, devono essere oggetto di attenta valutazione al momento stesso della scelta del dipendente cui affidare le sorti dell’intera istruttoria procedimentale.

Il responsabile dei servizi (specie quando sovrintende molti responsabili dei procedimenti) non ha il tempo, i mezzi, la “funzioni”, ecc. per “rivisitare” dettagliatamente e pedissequamente tutti i singoli adempimenti istruttori, per “ripetere” ex novo tutte le fasi e le operazioni procedimentali, per “ritornare” sulle singole valutazioni e considerazioni fatte dai vari responsabili dei procedimenti in ordine all’esistenza o meno dei presupposti, dei requisiti, delle condizioni, ecc., necessari per adottare l’atto finale.

Pertanto, il responsabile dei servizi non risponde degli “errori operativi” (“in agendo”) commessi dai vari responsabili dei procedimenti, qualora abbia correttamente svolto i suoi compiti direttivi ed organizzativi e qualora detti errori non siano individuabili o almeno presumibili o intuibili mediante l’attenta lettura dell’atto proposto e la “sommaria” visione degli atti istruttori.

Questa differenza di responsabilità aumenta in modo evidente man mano che i ruoli e le figure dei due responsabili (dei servizi e del procedimento) si “separano” in modo netto e preciso; ciò si verifica in quei contesti dove il responsabile dei servizi è “allontanato” dalla gestione concreta ed operativa delle singole pratiche, dovendo principalmente assumere compiti direttivi ed organizzativi.

Si pensi, ad esempio, a quei responsabili dei servizi, solitamente in possesso di qualifiche alte o segretari comunali, che firmano un elevato numero di atti, provvedimenti, ecc. proposti da diversi responsabili dei procedimenti, che magari si occupano anche di materie alquanto differenti, che i citati responsabili devono firmare.

  1. E. Barusso – Manuale operativo per la gestione del procedimento amministrativo dopo la Legge n. 15/2005 – Halley Editrice – Giugno 2005
  2. AA. VV. - V. Italia – L'azione amministrativa, Milano 2005
  3. A. De Roberto – La legge generale sull'azione amministrativa, Torino 2005
  4. G. Lodato - Il responsabile del procedimento: chi e’ costui ?
  5. M. Asprone – S. Martini – Il responsabile del procedimento amministrativo: l’istruttoria e i profili di responsabilità
  6. G. Chiàntera - La particolarità del rapporto tra il responsabile del procedimento e il dirigente dell’unità organizzativa
  7. M. Lucca - Conflitto di interessi e responsabile del procedimento
  8. G. Penzo Doria - Procedura, processo e procedimento: definizioni per la tabella dei procedimenti amministrativi ex l. 241/1990 – Filodiritto – 18 giugno 2013