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Il rapporto tra le procedure esecutive individuali e la liquidazione giudiziale

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Il rapporto tra le procedure esecutive individuali e la liquidazione giudiziale

 

Il divieto di inizio e prosecuzione di azioni esecutive

Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza disciplina i rapporti tra procedure esecutive individuali e liquidazione giudiziale all’art. 150, nel quale è stato trasfuso il contenuto dell’art. 51 della legge fallimentare.

L’articolo in esame prevede il divieto di inizio o prosecuzione di azioni esecutive individuali dal giorno della dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale. Recita, infatti, l’art. 150 c.c.i.i. che “Salvo diversa disposizione della legge, dal giorno della dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale nessuna azione individuale esecutiva o cautelare anche per crediti maturati durante la liquidazione giudiziale, può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nella procedura”.

Come osservato dalla dottrina, la disposizione sancisce due principi: 1) il principio di intangibilità del patrimonio del debitore a partire dal giorno della dichiarazione di liquidazione giudiziale; 2) il principio del concorso sostanziale, in forza del quale dopo la dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale la soddisfazione dei creditori avviene in modo concorsuale, ovvero insieme agli altri creditori. In altre parole, c’è un’unica esecuzione concorsuale, in cui tutti i creditori possono soddisfarsi proporzionalmente, ferme le rispettive cause di prelazione, sul ricavato della vendita dei beni del debitore sottoposto a liquidazione giudiziale. Tale concorso sostanziale avviene in attuazione dell’art. 2741 c.c., a norma del quale “I creditori hanno eguale diritto di soddisfarsi sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione”.

In sintesi, dopo la dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale, i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive individuali, perché la liquidazione dei beni del debitore deve svolgersi unitariamente, sotto la regia del curatore.

Nondimeno, la legge prevede delle eccezioni a tale regola, che possono essere fatte valere sia dal curatore sia da taluni creditori.

 

Le deroghe al divieto di inizio e prosecuzione di azioni esecutive. La decisione del curatore di subentrare o non subentrare nelle procedure esecutive pendenti

Da un lato, il curatore può decidere di subentrare nei procedimenti esecutivi in corso, evitando che essi siano dichiarati improcedibili. È quanto previsto dall’art. 216 co. 10, c.c.i.i., secondo il quale “Se alla data di apertura della liquidazione sono pendenti procedure esecutive, il curatore può subentrarvi; in tale caso si applicano le disposizioni del codice di procedura civile; altrimenti, su istanza del curatore, il giudice dell’esecuzione dichiara l’improcedibilità dell’esecuzione, fermi restando gli effetti conservativi sostanziali del pignoramento in favore dei creditori”. Il contenuto della disposizione coincide con la previsione dell’art. 107, co. 6 l. fall., salva l’aggiunta nel codice della crisi dell’inciso “fermi restando gli effetti conservativi sostanziali del pignoramento in favore dei creditori”.

Si ritiene che il giudice dell’esecuzione, appresa la notizia dell’apertura della liquidazione giudiziale, debba sospendere le operazioni liquidatorie in attesa delle determinazioni del curatore e possa anche sollecitare il curatore ad assumere le sue decisioni, che dovranno essere assunte con l’autorizzazione del comitato dei creditori e del giudice delegato (art. 213 e 123, co. 1, lett. f) c.c.i.i.; art. 104-ter e 25 co. 6 l. fall.). Se il curatore decide di intervenire nel processo esecutivo in corso, subentra al ceto creditorio nella fase in cui l’espropriazione si trova al momento della dichiarazione di liquidazione giudiziale e può esercitare i diritti e le facoltà del creditore procedente e degli intervenuti dal cui esercizio in tale fase essi non fossero decaduti. Può avvalersi degli effetti sostanziali del pignoramento tra cui, in particolare, quelli previsti dagli artt. 2913 e 2916 c.c., i quali prevedono l’inefficacia nei confronti del creditore pignorante e dei creditori intervenuti rispettivamente delle alienazioni dei beni pignorati, nonché di ipoteche e privilegi realizzati dopo il pignoramento. Alla fine del processo esecutivo, il ricavato della vendita, escluse le spese in prededuzione della procedura esecutiva, sarà attribuito al curatore, il quale lo distribuirà in conformità al piano di riparto della procedura concorsuale.

Se il curatore decide di non subentrare nel processo esecutivo in corso, il giudice dell’esecuzione, su sua istanza, dichiara l’improcedibilità dell’esecuzione e dispone la chiusura del processo esecutivo, che integra un’ipotesi di estinzione atipica per difetto di condizione di procedibilità. In tal caso, precisa il codice della crisi, restano fermi “gli effetti conservativi sostanziali del pignoramento in favore dei creditori”, tra cui quelli, appena esaminati, di cui agli artt. 2913 e 2916 c.c. L’estinzione non comporta pertanto la cancellazione dell’eventuale trascrizione del pignoramento[1].

A tali conclusioni la giurisprudenza era invero giunta anche nel vigore della legge fallimentare, quando non era presente l’inciso in esame, avendo la Suprema Corte affermato il seguente principio di diritto: “Ai sensi dell'art. 107 l. fall., come modificato dal d.lgs. n. 5 del 2006, il curatore fallimentare subentra di pieno diritto nelle procedure esecutive, mobiliari ed immobiliari, pendenti alla data della dichiarazione di fallimento al posto del creditore procedente (che non possa più proseguirle giusta l'art. 51 l.fall.), scegliendo con il programma di liquidazione di sostituirsi a lui, ovvero di proseguire la liquidazione nelle forme fallimentari. In tale ultima ipotesi, l'improcedibilità dell'esecuzione, dichiarata dal giudice dell'espropriazione su istanza del curatore, non determina la caducazione degli effetti sostanziali del pignoramento di cui agli artt. 2913 e segg. c.c., giacché nella titolarità di quegli effetti è già subentrato, automaticamente e senza condizioni, l'organo fallimentare, purché nel frattempo non sia intervenuta una causa di inefficacia del pignoramento medesimo; del resto, opinando diversamente, il curatore sarebbe sempre tenuto a proseguire l'esecuzione singolare onde conservare gli effetti del pignoramento, cosi svilendosi non solo la sua facoltà discrezionale di scelta di cui all'art. 107, comma 6, l. fall., ma anche il suo stesso ruolo centrale assunto dalla programmazione liquidatoria nella riforma del 2006” (Cass. 25802/2015, conformi Cass. 16158/2015 e 11365/2018).

I compensi e le spese degli ausiliari della procedura esecutiva dichiarata improcedibile sono anticipati dal creditore procedente, il quale però potrà chiederne l’ammissione al passivo in privilegio per spese di giustizia ex artt. 2755 e 2770 c.c. nella procedura concorsuale. È quanto affermato dalla Suprema Corte, secondo il quale “Il professionista delegato alle operazioni di vendita in una procedura esecutiva immobiliare, poi dichiarata improcedibile per il sopravvenuto fallimento dell'esecutato ed il mancato intervento in essa della curatela, non può insinuarsi al passivo concorsuale per quanto invocato come proprio compenso, - da anticiparsi, invece, dal creditore procedente, salva la successiva sua facoltà di chiederne l'ammissione al passivo per quanto corrispondentemente versato - atteso che il principio di conservazione dell'efficacia degli atti esecutivi compiuti da ciascun creditore prima della dichiarazione di fallimento non giustifica l'imputazione al fallimento stesso anche delle spese relative a quegli atti, la quale è, invece, subordinata alla decisione, discrezionale, del curatore di appropriarsene, così da non dover rispondere degli esborsi riguardanti le azioni esecutive individuali che non abbiano prodotto alcun vantaggio per la massa dei creditori” (Cass. 25585/2015).

Il provvedimento recante la declaratoria di improcedibilità può essere opposto con l’opposizione agli atti esecutivi di cui all’art. 617 c.p.c., quando assunto fuori dai casi previsti dalla legge ma non è impugnabile con ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost[2] in quanto non definitivo.

Il provvedimento recante l’improcedibilità non comporta l’epilogo della procedura esecutiva. Infatti, è ben possibile che la procedura concorsuale si chiuda senza aver proceduto alla liquidazione del bene e in tal caso i creditori potrebbero proseguire il processo esecutivo.

 

Le deroghe al divieto di inizio e prosecuzione di azioni esecutive su iniziativa dei creditori

Occorre a questo punto esaminare le ipotesi in cui i creditori possono iniziare o proseguire l’azione esecutiva nonostante la dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale. L’art. 150 c.c.i.i. infatti, come detto, fa salve le ipotesi derogatorie al divieto di inizio e prosecuzione di azioni esecutive espressamente previste dalla legge.

Un’ipotesi derogatoria molto frequente nella pratica è quella prevista per il creditore fondiario dall’art. 41 TUB. In particolare, l’art. 41, co. 2, TUB prevede che “L'azione esecutiva sui beni ipotecati a garanzia di finanziamenti fondiari può essere iniziata o proseguita dalla banca anche dopo la dichiarazione di fallimento del debitore. Il curatore ha facoltà di intervenire nell'esecuzione. La somma ricavata dall'esecuzione, eccedente la quota che in sede di riparto risulta spettante alla banca, viene attribuita al fallimento.”.

Nondimeno, il creditore fondiario deve essere ammesso al passivo della liquidazione giudiziale, in quanto l’art. 151 co. 3, c.c.i.i. (corrispondente all’art. 52, co. 3, l. fall.) dispone che anche i crediti esentati dal divieto di azioni esecutive devono essere accertati nelle forme dell’ammissione al passivo. Nel caso di non ammissione al passivo o di riconoscimento nel riparto definitivo della procedura concorsuale di un importo inferiore a quello attribuitogli nel processo esecutivo, il creditore deve rispettivamente restituire quanto assegnatogli o restituire il quid pluris ottenuto rispetto a quanto viene riconosciuto nel riparto definitivo. Ciò si ricava dalla disposizione di cui all’art. 220 co. 1 c.c.i.i. (art. 110 co. 1 l. fall.), secondo la quale nel progetto di riparto sono collocati anche i crediti per i quali non vige il divieto di azioni esecutive. La causa per la restituzione è di competenza del giudice ordinario.

È assolutamente opportuno che il curatore si opponga fin da subito alla distribuzione di somme che già sa che non potranno essere attribuite al creditore fondiario (ad esempio nel caso molto frequente in cui il ricavato dell’esecuzione individuale sia l’unica posta attiva della liquidazione giudiziale e quindi con quel ricavato occorre soddisfare prima la prededuzione della procedura concorsuale) piuttosto che chiedere la restituzione dopo l’assegnazione (provvisoria) del g.e.

Secondo un recente orientamento della Cassazione (Cass. 23482/2018), il g.e può attribuire al creditore fondiario l’importo derivante dalla vendita forzata solo dopo che quest’ultimo è stato ammesso al passivo[3]. La somma eccedente l’importo ammesso al passivo deve invece essere destinato al curatore. Inoltre, quando il curatore documenti crediti di grado poziore già liquidati dal g.d. in virtù di provvedimento definitivo, il g.e. deve sottrarre anche tali importi da quello che attribuisce al creditore fondiario in sede di riparto ex art. 596 c.p.c. Tali limitazioni dettate dalla Suprema Corte non sono state condivise dalla dottrina[4], la quale ha sottolineato che la giurisprudenza di legittimità, per il fine essenzialmente pratico di evitare o limitare cause di restituzione, abbia introdotto delle limitazioni al creditore fondiario non previste dalla legge.

Altra deroga al divieto di inizio o prosecuzione di azioni esecutive è quella prevista dall’art. 152 c.c.i.i. (art. 53 l. fall.), che consente al creditore garantito da pegno e ai creditori assistiti dal privilegio ex art. 2756 c.c.[5], o dal privilegio ex art. 2761 c.c.[6], previa ammissione al passivo, di chiedere al g.d. l’autorizzazione alla vendita dei beni oggetto della prelazione, nonché l’assegnazione degli stessi (novità quest’ultima introdotta dal codice della crisi).

Altra deroga è prevista dall’art. 213, co. 2 c.c.i.i. (104-ter co. 8 l. fall.), nel caso in cui il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, decida di non acquisire all’attivo o rinunciare a liquidare uno o più beni, avvertendo i creditori che possono iniziare azioni esecutive su tali beni.

Esaurito l’esame delle deroghe al divieto di inizio e prosecuzione di azioni esecutive, preme trattare come si atteggia il divieto de quo nel caso di espropriazione contro il terzo proprietario, nonché nei casi di esecuzione per consegna e rilascio e di obblighi di fare e di non fare.

 

Divieto di inizio e prosecuzione di azioni esecutive nell’espropriazione contro il terzo proprietario, nell’esecuzione per consegna e rilascio e nell’esecuzione di obblighi di fare o di non fare

L’espropriazione contro il terzo proprietario, che si verifica essenzialmente in caso di pegno o ipoteca su bene altrui e nel caso di revocatoria di atti in frode ai creditori, è estranea al divieto di azioni esecutive, non trattandosi di esecuzione avente ad oggetto un bene che fa parte dell’attivo della liquidazione giudiziale.

L’esecuzione per consegna e rilascio è invece soggetta al divieto de quo e in tal caso il creditore deve proporre la domanda finalizzata alla consegna o al rilascio direttamente al giudice delegato.

Infine, con riguardo all’esecuzione di obblighi di fare o di non fare, la dottrina prevalente ritiene che non viga il divieto, potendo il creditore, in pendenza della procedura di liquidazione giudiziale, ottenere la distruzione di un’opera compiuta in violazione di un obbligo di non fare del debitore e la costruzione di un’opera da questi non eseguita, ma ciò non può essere ottenuto a spese del debitore, potendo tali spese essere rimborsate al creditore solo previa ammissione al passivo e in sede di riparto della procedura di liquidazione giudiziale.

 

[1] La trascrizione è elemento costitutivo del pignoramento immobiliare, ai sensi dell’artt. 555 c.p.c. (“Il pignoramento immobiliare si esegue mediante notificazione al debitore e successiva trascrizione di un atto nel quale gli si indicano esattamente, con gli estremi richiesti dal codice civile per l'individuazione dell'immobile ipotecato, i beni e i diritti immobiliari che si intendono sottoporre a esecuzione, e gli si fa l'ingiunzione prevista nell'articolo 492), mentre non lo è per il pignoramento dei beni mobili, avendo in tal caso solo efficacia dichiarativa, che serve ad escludere che possano avere effetto nei confronti del creditore procedente e dei creditori intervenuti gli atti di disposizione posti in essere dal proprietario del bene pignorato (art. 2693 c.c.).

[2] Ai sensi dell’art. 111 Cost. “Contro le sentenze e contro i provvedimenti riguardanti la libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso per cassazione per violazione di legge”.

[3] In particolare, secondo la Suprema Corte “la provvisoria distribuzione delle somme ricavate dalla vendita forzata deve essere eseguita in base ai provvedimenti (anche non definitivi) di accertamento, determinazione e graduazione del credito fondiario emessi in sede fallimentare, sicché il creditore fondiario, per ottenere la provvisoria assegnazione del ricavato, è in ogni caso onerato di dimostrare la propria ammissione al passivo del fallimento” (Cass. 23482/2018).

[4] V. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, Milano, ottava edizione, pp. 2152 e ss.

[5] Il privilegio ex art. 2756 c.c. è riconosciuto a chi sia creditore per aver fatto prestazioni o aver sostenuto spese per il miglioramento di beni mobili su tali beni mobili finché questi si trovino presso chi ha fatto le prestazioni o le spese.

[6] Trattasi del privilegio riconosciuto al vettore sulle cose trasportate finché rimangono presso di lui per i crediti dipendenti dal contratto di trasporto, del mandatario sulle cose del mandante che egli detiene per i crediti derivanti dall’esecuzione del mandato, del depositario e del sequestratario sulle cose che detengono in forza dei contratti di deposito o di sequestro convenzionale per i crediti derivanti da tali contratti.