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Il concordato preventivo e la prospettiva della continuità aziendale

Il concordato preventivo e la prospettiva della continuità aziendale
Il concordato preventivo e la prospettiva della continuità aziendale

Indice

1. Il concordato preventivo e la necessaria riforma

2. Origini dell’istituto: la natura premiale e la “meritevolezza” dell'imprenditore

3. Il superamento del carattere premiale e le nuove prospettive del concordato

4. Il concordato con continuità aziendale

 

Abstract

Il concordato preventivo rappresenta uno dei principali strumenti di gestione della crisi d’impresa ed è stato, a partire dal 2005, oggetto di molti interventi di riforma che ne hanno profondamente mutato i caratteri essenziali, privilegiando questa soluzione negoziale rispetto alla soluzione liquidatoria fallimentare, vissuta invece come una sconfitta, non solo per l’imprenditore, ma anche per l’economia e l’intero indotto.

Proprio questo mutamento ha portato al riconoscimento normativo della continuità aziendale, quale primaria esigenza da perseguire nella predisposizione di uno strumento di gestione della crisi. Il concordato preventivo, in particolare quello con continuità aziendale, non rappresenta più una soluzione residuale e marginale nella Legge Fallimentare, ma si sta ritagliando un ruolo da protagonista anche in virtù della spinta comunitaria ad una anticipata emersione della crisi, con maggiori possibilità di preservare il valore aziendale, di salvaguardare i posti di lavoro e di non disperdere la ricchezza. La Legge Delega n. 155/2017 conclude un percorso di riforme che hanno ribaltato il punto di vista degli obiettivi del concordato preventivo: dalla prospettiva liquidatoria, ormai relegata ad un ruolo meramente secondario, a quella che predilige la continuità, quale soluzione principale che si deve perseguire con l’accordo tra debitore e creditori.

 

1. Il concordato preventivo e la necessaria riforma

L’istituto del concordato preventivo è disciplinato dal Titolo III della Legge Fallimentare (Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267) agli articoli 160 – 186-bis, recante la disciplina delle procedure alternative al fallimento. Si tratta essenzialmente di una procedura di composizione della crisi di tipo negoziale, caratterizzata quindi da un accordo tra debitore e creditori che tende a valorizzare l’autonomia delle parti, con la finalità di risolvere la crisi aziendale attraverso la soddisfazione, anche parziale, delle ragioni creditorie. La disciplina normativa è rimasta pressoché invariata per moltissimi anni, fino al 2005, lasciando al concordato preventivo uno spazio sostanzialmente residuale rispetto alle soluzioni liquidatorie fallimentari che, con l’emergere della crisi economica e finanziaria, hanno mostrato la loro inadeguatezza rispetto alle esigenze di efficienza e rapidità nella gestione e nel superamento della crisi aziendale.

2. Origini dell’istituto: la natura premiale e la “meritevolezza” dell’imprenditore

La relazione dell’allora Guardasigilli alla Legge Fallimentare del 1942 definiva testualmente che “l’intento dell’istituto del concordato preventivo era quello di offrire al debitore onesto ma sfortunato il mezzo per evitare l’inesorabile distruzione della sua impresa per sé stessa vitale, con danno della pubblica economia”.

La natura premiale del concordato preventivo contribuiva, quindi, ad equilibrare la disciplina in materia fallimentare, caratterizzata da un approccio particolarmente rigido nei confronti dell’imprenditore in difficoltà che faceva della procedura fallimentare la soluzione primaria, in quanto capace di escludere dal mercato coloro che non si erano dimostrati in grado di portare avanti la propria attività aziendale.

Il testo originario degli articoli 160 e 181 della Legge Fallimentare faceva riferimento, in merito ai requisiti soggettivi necessari per ottenere l’ammissione e l’omologazione della procedura concordataria, alla cd. “meritevolezza” dell’imprenditore, quale ulteriore requisito di natura etica, accanto all’iscrizione da almeno un biennio nel registro delle imprese, all’assenza di precedenti dichiarazioni di fallimento o mancate ammissioni alla procedura concordataria nei cinque anni precedenti ed, infine, alla mancanza di condanne per bancarotta, delitti contro il patrimonio, la fede pubblica, l’economia pubblica, l’industria o il commercio, valorizzando l’aspetto premiale dell’imprenditore “onesto ma sfortunato”.

 

3. Il superamento del carattere premiale e le nuove prospettive del concordato

Le lungaggini burocratiche, i tempi biblici dei procedimenti, le incertezze legate al risultato finale e la scarsa capacità di far emergere le crisi delle imprese prima che esse siano già completamente decotte hanno spinto il Legislatore a fornire delle risposte normative, che hanno portato ad un numero incredibile di interventi, troppo spesso «emergenziali» e disorganici.

A partire dal 2005, infatti, si sono registrati numerosi interventi normativi in materia fallimentare che hanno contribuito ad un cambiamento culturale, fatto proprio anche di recente dal Legislatore nella Legge delega n. 155/2017, nell’approccio alla crisi dell’impresa, con una forte oggettivizzazione della gestione della crisi stessa, attuata attraverso il superamento dei requisiti personali di meritevolezza dell’imprenditore in difficoltà ed una implicita liberalizzazione dello strumento negoziale finalizzata ad una valorizzazione dei piani di risanamento dell’impresa e di conservazione dei complessi produttivi.

Gli interventi normativi hanno perseguito una comune idea di fondo, influenzata anche da fattori economici, quali la necessità di non disperdere le energie produttive, salvaguardare posti di lavoro e non penalizzare il Pil locale e nazionale, oltreché facilitare l’accesso alle procedure di gestione della crisi dell’impresa diverse dal fallimento, visto ormai come una sconfitta non solo per l’imprenditore, ma anche per l’intero tessuto produttivo.

In questo senso, la rivisitazione della disciplina degli articoli 160 e 181 risponde all’esigenza di modificare completamente l’impostazione di fondo. Tale procedura concorsuale, infatti, non è più vista come un beneficio per determinati imprenditori insolventi, bensì come uno strumento utile al raggiungimento del risanamento dell’impresa e alla conservazione dei complessi produttivi.

La cancellazione dei riferimenti alla sussistenza dei requisiti «soggettivi» etici, considerati fortemente limitativi per l’accesso a tale procedura, risponde alla nuova filosofia dell’istituto che deve diventare lo strumento principale per rispondere alle crisi aziendali. Vale la pena sottolineare, inoltre, che la modifica dei requisiti soggettivi, accompagnata alla modifica estensiva del presupposto oggettivo (da «insolvenza» a «crisi»), rappresenta un segnale molto significativo della volontà estensiva del Legislatore di ampliarne l’utilizzo a discapito della soluzione essenzialmente liquidatoria.

Al superamento culturale della rigidità punitiva nei confronti dell’imprenditore in difficoltà ha contribuito in modo significativo anche il protrarsi della grave crisi economica che ha interessato l’economia del nostro Paese, determinando una drammatica recessione dalla quale si sta lentamente uscendo dopo anni difficili, e ha spostato l’attenzione dal merito dell’imprenditore, alla salvaguardia e conservazione dell’attività imprenditoriale, attraverso soluzioni che privilegiano la continuità aziendale.

L’operazione portata avanti dal Legislatore non ha completamente eliminato il controllo sul comportamento dell’imprenditore, ma ha reso più semplice l’accesso alla procedura che prima, con la presenza di stringenti requisiti etico-soggettivi, risultava fortemente limitata.

Rimangono applicabili nei confronti dell’imprenditore in difficoltà che presenta la domanda di ammissione alla procedura le disposizioni di cui agli articoli 161 comma nono e 173 della Legge Fallimentare, che prevedono: da una parte, l’inammissibilità di una domanda di concordato prenotativo nel caso in cui lo stesso debitore abbia, nei due anni precedenti, presentato una stessa domanda e a questa non abbia fatto seguito l’ammissione alla procedura o l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti; dall’altra, il controllo del commissario giudiziale che, in caso accerti che lo stesso debitore abbia occultato o dissimulato parte dell’attivo, ovvero abbia dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, oppure abbia esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode, è chiamato a riferirne immediatamente al tribunale che, nonostante la piena valorizzazione dell’elemento negoziale della procedura, continua ad avere un ruolo centrale nella verifica della regolarità della procedura e nel controllo dell’esito della votazione.

Attraverso queste disposizioni il Legislatore ha voluto mantenere un impianto normativo capace di contrastare e prevenire l’abuso dello strumento concordatario, al fine, in particolare, di evitare un utilizzo strumentale della domanda di ammissione quale mezzo per ottenere l’applicazione degli effetti protettivi rispetto alle azioni esecutive.

4. Il concordato con continuità aziendale

Come detto in precedenza, il concordato preventivo ha perso quel carattere residuale che ne aveva anche condizionato l’effettiva applicazione, per conquistare un ruolo di maggiore centralità, in particolare, per le soluzioni aventi finalità di conservazione dell’azienda, attraverso la continuità dell’attività imprenditoriale.

La possibilità di presentare un piano di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti che prevedesse la possibilità per l’imprenditore di proseguire nella sua attività era stata indirettamente concessa anche dal Legislatore del 2005 che, riformando l’articolo 160 della Legge Fallimentare, aveva utilizzato l’ambigua formula “qualsiasi forma, anche mediante la cessione di beni”, a riprova di una prospettiva contenutistica molto ampia, che ha visto la sua completa maturazione solamente con la Legge n. 134/2012, nella quale il Legislatore ha introdotto un diretto riscontro normativo al concordato con continuità aziendale. Questo intervento normativo e quelli che ne sono seguiti, in particolare la Legge n. 132/2015 ed anche la Legge Delega n. 155/2017, hanno contribuito ad accrescere il favor legislativo nei confronti di queste soluzioni di continuità, relegando ad un ruolo piuttosto marginale e secondario le soluzioni liquidatorie.

La riforma Rordorf, approvata lo scorso anno dal Parlamento, ha indicato, infatti, tra i criteri di attuazione della Delega, la necessità di prevedere l’ammissibilità delle proposte di natura liquidatoria esclusivamente per i casi nei quali vi sia un apporto di risorse esterne tale da aumentare in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori.

Questa soluzione pare rispondere anche alle esigenze indicate dal Legislatore europeo che ha tracciato la strada della semplificazione e della razionalizzazione dei percorsi di ristrutturazione delle imprese, per evitare, con ogni mezzo a disposizione, di disperdere il valore aziendale e i posti di lavoro e penalizzare l’economia e l’indotto.

La soluzione della continuità aziendale sembra essere disegnata in modo tale da inseguire un punto di equilibrio tra l’esigenza di responsabilizzare l’imprenditore, affinché faccia emergere per tempo le sue difficoltà e collabori in prima persona alla buona riuscita dei piani di ristrutturazione, con l’altrettanto stringente esigenza di rendere più flessibile la procedura, velocizzarne i tempi e ridurne i costi.

La continuità aziendale è solo uno degli aspetti che organicamente dovranno essere riformati in sede di attuazione della Legge Delega n. 155/2017, ma rappresenta certamente un elemento di grande interesse perché avvicina il diritto delle procedure concorsuali italiano con le indicazioni fornite a livello europeo, al fine di rendere il nostro impianto normativo adeguato ad un’economia sempre più globalizzata e competitiva.