Il Consiglio di Stato boccia le disposizioni integrative e correttive al Codice degli Appalti

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Ph. Mario Lamma / Appalti

Il Consiglio di Stato boccia le disposizioni integrative e correttive al Codice degli Appalti

Il 2 dicembre 2024 il Consiglio di Stato ha reso il parere n. 01463/2024 sullo schema di decreto legislativo recante: “disposizioni integrative e correttive al codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 31.03.2023, n. 36”.

Il parere reso dal Consiglio di Stato è negativo sia per vizi di forma che di merito.

Quanto ai vizi di forma:

Lo schema di decreto legislativo trasmesso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri al Consiglio di Stato per il suo parere trova la sua base legale nell’art. 1, comma 4, della legge 21.06.2022, n. 78, il quale – contestualmente al conferimento della delega ad adottare, nel rispetto dei principi e criteri direttivi individuati, uno o più decreti legislativi recanti la disciplina dei contratti pubblici – ha abilitato il Governo ad apportarvi, entro il biennio successivo dall’entrata in vigore della normativa delegata, con la stessa procedura e nel rispetto dei medesimi principi e criteri direttivi, le correzioni e le integrazioni che la pratica avesse reso necessarie e opportune.

Ora, nell’esercizio della delega, il Governo, a suo tempo, ha inteso avvalersi della facoltà di affidare al Consiglio di Stato, in sede consultiva, l’elaborazione dello schema normativo.

Di tale facoltà, per contro, il Governo non ha inteso avvalersi ai fini della predisposizione dello schema del decreto correttivo così violando l’indicazione contenuta nella legge delega che prevedeva l’utilizzo della stessa procedura.

Svista o opzione politica?

Per la correzione il Governo ha quindi inteso seguire una procedura alternativa per il Consiglio di Stato “non priva di rilievo, avuto riguardo all’attitudine essenzialmente tecnica della redazione rimessa al Consiglio di Stato”.

Il Consiglio di Stato paventa quindi il rischio, potenzialmente rilevante ai fini di un eventuale sindacato di legittimità formale, in ordine al rispetto della legge di delegazione, e relativo alla circostanza che la redazione del codice e la sua integrazione e correzione, sono state, in concreto, operate, in parte, seguendo procedure sostanzialmente diverse.

Il Consiglio di Stato critica anche le modalità di concorso dei vari Ministeri coinvolti perché gli atti di concerto pervenuti sono stati tutti espressi “d’ordine” del Ministro interessato, a dispetto del fatto che la Sezione abbia reiteratamente rimarcato la giuridica inadeguatezza di tale formula organizzatoria, che postula, a differenza del ricorso alla cd. delega di firma, l’attivazione di attribuzioni proprie dell’ordinatario.

Il Consiglio di Stato giudica altresì inadeguata la relazione d’impatto che si risolve in un’articolata e perifrastica enunciazione in termini formali e giuridici dell’oggetto e delle modalità d’intervento, correttivo e integrativo, sulle disposizioni del codice anche dove sarebbe stato necessario esplicitare e soprattutto confermare oggettivamente la ratio sostanziale delle modifiche e l’impatto economico e socio economico che effettivamente le giustifichi.

Il Consiglio di Stato denuncia poi la mancanza del parere della Conferenza unificata che integra un adempimento procedimentale necessario e, per giunta, logicamente preventivo, rispetto al parere del Consiglio di Stato.

Per quanto riguarda poi il merito, il Consiglio di Stato muove un pressante rilievo sull’art. 3 dello schema correttivo che modifica il 18 del Codice per l’accorciamento del tempo medio tra la pubblicazione del bando e l’aggiudicazione dell’appalto il che creerebbe un corto circuito di rilevanza costituzionale per la contrazione dei termini di eventuali ricorsi.

Si afferma, infatti: “La novella in esame interviene sull’articolo 18, comma 3, al fine di ridurre da 35 a 30 giorni il periodo del c.d. stand still per la stipula del contratto (decorrente dall’invio dell’ultima delle comunicazioni del provvedimento di aggiudicazione). Nella relazione di accompagnamento si ricollega l’intervento normativo all’esigenza di rispettare gli obiettivi europei di cui alla milestone M1C1-84bis (“Tempo medio tra la pubblicazione del bando e l’aggiudicazione dell’appalto”), con l’obiettivo di introdurre misure per migliorare la rapidità decisionale nell’aggiudicazione degli appalti da parte delle stazioni appaltanti. Sul punto si ritiene di muovere un pressante rilievo, in considerazione del fatto che, a fronte di una modesta riduzione del termine procedurale (cinque giorni su trentacinque), l’intervento appare estraneo alla milestone richiamata, che è riferita ai tempi dell’aggiudicazione. Per giunta, la coincidenza così venutasi a creare con il termine per la proposizione del ricorso giurisdizionale contro l’aggiudicazione rischia obiettivamente di determinare – in ragione delle tempistiche standard di implementazione di un contenzioso, già normativamente dimidiate rispetto al termine ordinario – un’eccessiva costrizione dei diritti di difesa in giudizio, con conseguente vulnus dell’articolo 24 della Costituzione e della direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2007, che modifica le direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE del Consiglio per quanto riguarda il miglioramento dell’efficacia delle procedure di ricorso in materia d’aggiudicazione degli appalti pubblici.”

Il Consiglio di Stato contesta poi il correttivo sulla revisione prezzi perché il correttivo introdurrebbe non un chiarimento ma una significativa innovazione dal momento che nella formulazione attualmente vigente, la variazione delle condizioni economiche negoziali è commisurata all’80% della variazione stessa mentre nella nuova versione l’aumento o il decremento si determina nella misura dell’80% della sola variazione eccedente la soglia.

Si tratta di un parere che, tra eccezioni di forma e di sostanza, si articola in 146 cartelle che sarebbe opportuno leggere con la dovuta attenzione.