Sul tema della co-responsabilitá nella gestione della spesa farmaceutica: note alla Sentenza del Consiglio di Stato n. 131/2023
Sul tema della co-responsabilitá nella gestione della spesa farmaceutica: note alla Sentenza del Consiglio di Stato n. 131/2023 [1]
1 - La posizione del Consiglio di Stato ed il problema della co-gestione della attivitá amministrativa
Il Consiglio di Stato (CdS – sez. III - n. 131 del 4 Gennaio 2023), nel pieno della pausa Natalizia e a ridosso di una riforma della Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), che porterá notevoli modifche alla sua struttura operativa, nonché nel pieno dibattito su una auspicata riforma integrale della governance della spesa farmaceutica, esprime un punto fermo ed una battuta d’arresto su uno dei temi ancora fondamentali del sistema di calcolo nel PayBack farmaceutico.
Come si era giá avuto modo di rilevare[2], uno dei temi ancora attuali é rappresentato dalla sostanziale interdipendenza dei dati relativi alla market share di ciascuna societá farmaceutica, a cui sottendono – ovviamente – i dati di vendita di ciascun medicinale; tale interdipendenza comporta che un errore sui dati di un medicinale possa inficiare, quindi creare un possibile pregiudizio, anche alle altre societá farmaceutiche titolari dei diritti di commercializzazioni di altri medicinali.
Ció in quanto il sistema, delineato dall’art. 1, commi 574 della Legge 30 Dicembre 2018 n. 145, comporta che la somma delle attribuzioni di spesa a ciascuna societá farmaceutica, sulla base della rispettiva market share, debba coincidere con quanto il Servizio Sanitario Nazionale puó spendere per la assistenza farmaceutica ai cittadini; l’eventuale sfondamento, quindi, viene ripartito, per quanto concerne la spesa degli acquisti diretti (i.e. ospedaliera), al 50% dalle singole Regioni e 50% della singole societá farmaceutiche[3]; si tratta di un sistema di co-responsabilitá nella gestione della spesa farmaceutica.
L’importanza del tema della interdipendenza dei dati era emerso, nella sua concretezza, dopo che i dati relativi alla spesa di un farmaco nel 2018 calcolati dalla Agenzia Italiana del Farmaco erano risultati errati, ossia il doppio di quelli effettivamente realizzati[4].
Tuttavia, sebbene sia sia trattato di un caso molto particolare, poiché in generale la correttezza dei conteggi sembra sia molto migliorata nel corso dell’ultimo periodo, la questione sulla quale il Consiglio di Stato sembra porre una parola “conclusiva” é proprio sul fatto che “AIFA non comunica a tutte le aziende farmaceutiche tutti i dati sulla base dei quali essa ha effettuato i conteggi che hanno condotto all’attribuzione delle quote di ripiano alle singole aziende farmaceutiche”.
Il Consiglio di Stato afferma che un contraddittorio procedimentale generalizzato ed indiscriminato tra l’AIFA e tutte le aziende, su tutti i dati da esse stesse singolarmente forniti, è infondato in quanto non previsto dalle norme generali in materia di partecipazione procedimentale (Legge 241/1990).
Se cosi non fosse si andrebbe, invece, a realizzare una vera e propria co-gestione della spesa farmaceutica tra l’AIFA e le aziende farmaceutiche; a ció, si aggiungerebbe, a detta del Consiglio di Stato, il fatto che essa andrebbe ad appesantire un iter istruttorio ipoteticamente confliggente con “le meritevoli esigenze di riservatezza delle altre aziende, per evidenti ragioni di tutela del segreto commerciale/industriale”. In sostanza, afferma il Consiglio di Stato, una istruttoria generalizzata con tutte le aziende farmaceutiche, che comporti la messa in totale trasparenza dei conteggi della spesa di tutti i medicinali, entrerebbe in conflitto proprio con la necessitá di garantire la confidenzialitá ed il segreto commerciale riguardante la fase di valutazione scientifica e negoziazione del prezzo di rimborso, nonché delle condizioni contrattuali ad essi singolarmente associati.
Il concetto della co-gestione della attivitá amministrativa viene notoriamente evocato per definire i limiti entro i quali possa esercitarsi legittimamente il diritto di partecipazione al procedimento amministrativo, secondo le norme generali contenute nella Legge n. 241/1990. In effetti, un iter istruttorio che preveda una significativa partecipazione procedimentale fino ad un vero e proprio contraddittorio, puó - in linea teorica - rallentare la attivitá amministrativa per assecondare giustificazioni non necessarie né opportune, inficiando l’efficienza dalla attivitá amministrativa stessa.
2 - Il rapporto tra AIFA ed impresa farmaceutica, la questione del cd. atto paritetico
Ció consegue ad una visione del rapporto tra Pubblica Amministrazione e cittadino, o impresa, che vede questi ultimi in una posizione di sostanziale inferioritá, con la conseguenza di un affievolimento della loro posizione giuridica, a causa della differente portata degli obiettivi di tutela in gioco: la Pubblica Amministrazione ha l’obiettivo della tutela generale, l’impresa ed il cittadino hanno l’obiettivo di tutelare i loro singoli interessi.
Tuttavia, non puó tralasciarsi il fatto che “i concetti di diritto soggettivo e di interesse legittimo si vanno ravvicinando sempre più, tanto che - come già rilevato - non esiste più una seria differenza ontologica tra essi. L'ascrizione all'una o all'altra figura è sempre più spesso il frutto di una scelta arbitraria del legislatore o dell'interprete ovvero il frutto della vischiosità del pensiero giuridico, che talvolta tarda ad accorgersi che pur restando fermo il nomen la sostanza del fenomeno considerato è mutata”[5].
Senza voler entrare nel merito di questioni fortemente giuridiche, potrebbe essere utile ricordare che il nostro ordinamento prevede situazioni nelle quali gli interessi sono tutelati come diritti, ed é il caso dei cosidetti “atti paritetici”. Gli atti paritetici si riscontrano in quei casi in cui l’amministrazione, tenuta tassativamente per legge ad un certo comportamento in relazione ad un dato rapporto di natura patrimoniale ha, tuttavia, essa stessa il potere di dar luogo, unilateralmente, alla definizione del rapporto e quindi alla determinazione dell’entità dei propri obblighi e dei correlativi diritti altrui, ad esempio la determinazione di indennità o stipendi. In sostanza si tratta di atti, non provvedimentali, attraverso i quali si esplica un obbligo della Pubblica Amministrazione, verosimilmente predefinito dalla Legge o dal rapporto giuridico sottostante.
Ancora, senza avere la pretesa di dissertare nella complessa materia e lungi dal ritenere questa osservazione compiutamente esaustiva, alla luce delle disposizioni che regolano il procedimento di ripiano della spesa farmaceutica (cd. PayBack farmaceutico), ci sarebbe da chiedersi se le caratteristiche prettamente contabili e numeriche che sottendono il procedimento non debbano considerarsi esse stesse atti paritetici. In altri termini, appare piuttosto difficile, in un contesto nel quale la norma di legge definisce giá qual’é l’interesse pubblico da tutelare e la strada per perseguirlo, lasciando alla Agenzia Italiana del Farmaco il solo compito di fare i calcoli, seppur complessi, pensare che siamo nell’ambito dell’esercizio di una discrezionalitá amministrativa (a detta di qualche commentatore anche di natura “tecnica”), apparirerebbe poco aderente alla situazione sostanziale delineata dal legislatore.
Tuttavia, tentando di ricostruire la questione, come accennato, ossia nel senso dell’atto paritetico, emerge una interpretazione cristallizzata nella sentenza della Corte Costituzionale per la quale la complessa disciplina del ripiano della spesa farmaceutica avrebbe la natura di prestazione patrimoniale imposta, diretta a finanziare il fabbisogno del Servizio Sanitario Nazionale. Probabilmente tale posizione espressa dalla Corte Costituzionale nel 2017 andrebbe riesaminata anche alla luce delle modificazioni che hanno riguardato la disciplina del ripiano, ma non vi é ancora una diversa lettura, né possono dedursi elementi tali affinche il giudice amministrativo sottoponga nuovamente la questione alla Corte Costituzionale.
3 - Il tentativo di un parallelismo nell’ambito degli atti autorizzatori e concessori
In una materia completamente diversa, quale é quella delle concessioni edilizie, il Consiglio di Stato (Adunanza Plenaria n. 12/2018 del 30/08/2018) in una ampia dissertazione sul tema degli atti paritetici e dei diritti soggettivi sottesi, ha rilevato che il contributo per il rilascio del permesso di costruire ha, anch’esso, natura di prestazione patrimoniale imposta, di “carattere non tributario ed ha carattere generale, prescindendo totalmente delle singole opere di urbanizzazione che devono in concreto eseguirsi, venendo altresì determinato indipendentemente sia dall’utilità che il concessionario ritrae dal titolo edificatorio sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare dette opere”.
Tanto é vero che le opere di urbanizzazione che beneficiano del contributo versato dal richiedente la concessione ha un portata molto piú generale del rilascio della singola concessione, in quanto sono destinate a servire una pubblica utilitá di cui beneficia la collettivitá dei cittadini. Ma non c’é alcuna relazione funzionale frazionabile fra il tributo della singola concessione e la realizzazione delle opere di urbanizzazione.
Sarebbe possibile quindi estrapolare un parallelismo tra le due materie, secondo il quale – il contribuente (rectius: l’impresa) non potrebbe vantare alcuna connessione diretta tra il tributo corrisposto e l’utilitá che ne ricava, fermo restando che il tributo venga utilizzato per la realizzazione di opere che vertano nella stessa materia nell’ambito della quale esso é stato erogato.
La determinazione del contributo per il rilascio della concessione edilizia ha carattere paritetico e non esclude “la doverosità della rideterminazione quante volte la pubblica amministrazione si accorga che l’iniziale determinazione degli oneri di urbanizzazione sia dipesa da un’inesatta applicazione delle tabelle o anche da un semplice errore di calcolo”; tuttavia, tale intervento della pubblica amministrazione non si pone come potere di autotutela, in quanto alla base della determinazione del contributo non vi é alcun esercizio di potere discrezionale ma una mera attivitá di calcolo, soggetta alla possibilitá di errore numerico. Il rapporto sottostante é di natura creditizia dando luogo alla relativa obbbligazione di pagare ed ottenere il pagamento ai fini del rilascio della concessione.
Conseguentemente anche la misura della partecipazione procedimentale da parte dell’impresa al procedimento di determinazione della contribuzione, appare piuttosto ridotto se non inesistente, non essendo possibile rinvenire la natura autoritativa e il connesso interesse legittimo alla base delle norme contenute nella Legge 241/1990.
Se tale ricostruzione puó, da un lato, dare sostegno alla pronuncia ultima del Consiglio di Stato, rigettando una pretesa partecipatoria procedimentale senza limitazioni, dall’altra apre alla necessitá di veriicare se, in definitiva, la similitudine tra le due materie puó considerarsi, o meno, sovrapponibile dal punto di vista della posizione giuridica soggetiva in gioco.
Il contributo per il rilascio della concessione edilizia é intrinsecamente connesso al conseguimento del provvedimento concessorio, il pagamento del pay back prescinde da un provvediemento concessorio, anzi lo presuppone. Se da un lato non potrebbe assoggettarsi a pay back la spesa di un farmaco che non sia dotato di autorizzazione all’immissione in commercio, dall’altro il mancato pagamento degli oneri derivanti dal pay back comporta che l’Agenzia Italiana del Farmaco proceda alla cessazione del rimborso a carico del Servizio Sanitario Nazionale dell’autorizzazione all’immissione in commercio del medicinale interessato (articolo 1, comma 285, della Legge n. 234 del 30 Dicembre 2021).
La posizione giuridica del titolare dei diritti di commercializzazione associata al regime di rimborsabilitá del medicinale da parte del SSN richiede un approfondimento poiché non sembra trovare corrispondenza in altri ambiti del diritto amministrativo.
4 - Il sistema della Governance legata al PayBack farmaceutico come sistema “debole” – accenni.
Certamente il provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio di un medicinale ha, appunto, natura autorizzatoria e non concessoria tuttavia, se da un lato il regime di rimborsabilitá equivale alla attribuzione di uno status di natura classificatoria, che non attribuisce un sostanziale beneficio al titolare dei diritti di commercializzazione, dall’altro, tale status, non scalfisce la natura intrinsenca del provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio. Il venir meno dello status o il non conseguimento dello stesso non impedisce la possibilitá di commercializzare il medicinale e, in linea meramente teorica, la possibilitá di acquisto dello stesso dal parte del Servizio Sanitario Nazionale secondo il sistema delle procedura di gara pubblica[6], né tantomeno da parte del cittadino (sebbene il costo sarebbe interamente a suo carico). La disposizione di cui all’articolo 1, comma 285, della Legge n. 234 del 30 Dicembre 2021, quindi, non appare avere la medesima capacitá di incidere negativamente sulla posizione giuridica dell’interessato, in senso limitativo, quanto il mancato conseguimento della concessione edilizia, sebbene tale differenza potrebbe ben leggersi nella diversitá della natura del provvedimento amministrativo, da un lato autorizzatorio e dall’altro concessorio.
In definitiva potremmo sostenere che le due materie, quella farmaceutica inerente al PayBack e quella edilizia inerente al pagamento degli oneri di urbanizzazione, non appaiono sostanzialmente concidenti ma la natura del pagamento ha delle caratteristiche comuni che ci permettono di qualificare la attivitá amministrativa che li rigurda. Per cui, almeno allo stato attuale della giurisprudenza, l’attivitá amministrativa potrebbe, ancora ipoteticamente, essere egualmente caratterizzata dalla emanazione di atti paritetici.
In questo senso e nella direzione tracciata dalla Adunanza Plenaria dovremmo affermare che l’Agenzia Italiana del Farmaco agisce “con atti non aventi natura autoritativa, agisce quindi secondo le norme di diritto privato, ai sensi dell’art. 1, comma 1-bis, della l. n. 241 del 1990, ma si deve escludere l’applicabilità dell’art. 1431 c.c. a questa fattispecie, in quanto l’errore nella liquidazione del contributo, compiuto dalla pubblica amministrazione, non attiene ad elementi estranei o ignoti alla sfera del debitore ed è quindi per lui in linea di principio riconoscibile, in quanto o riguarda l’applicazione delle tabelle parametriche, che al privato sono o devono essere ben note, o è determinato da un mero errore di calcolo, ben percepibile dal privato, errore che dà luogo alla semplice rettifica”.
Ed in effetti l’elemento della conoscibilitá é, in qualche modo, rinvenibile nella regolamentazione laddove i calcoli della spesa relativa ai medicinali, con riferimento alle quote di mercato delle aziende farmaceutiche, vengono effettuati secondo il sistema della tracciabilitá del farmaco (D.M. 15 Luglio 2004 e D.M. 31 Luglio 2007) e, l’Agenzia Italiana del Farmaco attraverso una procedura di esposizione dei dati mette a disposizione gli stessi a ciascuna delle aziende farmaceutiche nel corso dell’anno prima della conclusione del procedimento, dando quindi la possibilitá alle aziende di presentare osservazioni[7]. Quest’ultima attivitá dell’Agenzia Italiana del Farmaco viene da essa qualificata come ai sensi dell’art. 7 della Legge 241/90 (comunicazione di avvio del procedimento), ossia come attivitá procedimentale e, c’é tuttavia da chiedersi se possa, quindi, rientrare nella eccezione di cui al comma 1-bis della Legge citata secondo la quale “la pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente”. In realtá la specifica disposizione legislativa si rinviene solo per quanto concerne il procedimento relativo alla spesa farmaceutica territoriale (cd. indiretta) e non anche per la spesa farmaceutica ospedaliera (cd. diretta), sebbene tale circostanza potrebbe ben attribuirsi ad un diverso sistema di rilevamento delle due tipologie di spesa ed alla pluralitá dei soggetti della filiera coinvolti nella attribuzione dell’eventuale ripiano della spesa farmaceutica territoriale[8].
La questione, tuttavia, appare avere una sua importanza poiché se si ammettese che l’attivitá svolta dell’AIFA é prettamente riconducibile all’emanazione di atti/atto di natura paritetica, la partecipazione procedimentale non sarebbe nemmeno richiesta, ed il momento della esibizione dei dati a ciascuna delle aziende faramaceutiche interessate, prima della emanazione dell’atto finale (richiesta di ripiano coi conteggi), sarebbe un mera facoltá della pubblica amministrazione e non l’obbligo di garantire la partecipazione procedimentale.
Il giudice amministrativo, in definitiva, non sembra aiutare in una convincente ricostruzione della materia: lo stesso Consiglio di Stato, nella citata sentenza che innaugura il nuovo anno, rigetta l’appello sulla base del fatto che la azienda ricorrente non é riuscita “a dimostrare in nessun modo che il modulo procedimentale da essa auspicato, con l’accoglimento del motivo in esame, garantirebbe un miglior risultato in termini di efficienza del risultato, quand’anche tale modulo in ipotesi, contravvenendo al principio di stretta legalità vigente in materia amministrativa, si volesse sostituire a quello, corretto e razionale, unicamente congegnato dal legislatore e correttamente dunque la sentenza impugnata ha rilevato, in ordine agli obblighi partecipativi incombenti su AIFA, che «i ricorrenti non chiedono tanto di partecipare quanto piuttosto di coamministrare o comunque di cogestire, che è ben altro rispetto al pur sostanzioso apporto procedimentale», secondo un ipotizzato schema che il primo giudice definisce, efficacemente, come un “affiancamento gestionale” di AIFA, del tutto estraneo alle finalità che l’apporto partecipativo riveste nella stessa filosofia di fondo sottesa alla l. n. 241 del 1990”. A ció aggiungendo peraltro, la motivazione legata alla presenza degli sconti negoziali confidenziali tra AIFA e le singole aziende farmaceutiche (che perderebbero la loro confidenzialitá se i dati fossero resi trasparenti), un aspetto che convince poco[9] e che, invece, rappresenta una materia completamente diversa e caratterizzata da ben altre problematiche amministrative.
D’altronde, il tema della natura paritetica degli atti, nella materia del PayBack farmaceutico non é mai stato sollevato né accennato, probabilmente a ben vedere perché il procedimento delineato dal legislatore é talmente complesso per cui non sarebbe possibile darne una compiuta qualificazione; molto probabilmente si tratta di piú procedimenti amministrativi che, unitamente, concorrono alla emanzione di un unico provvedimento di ripiano, a sua volta composto da determinazioni attribuibili a ciascuno dei procedimenti posti in essere. Per ciascun procedimento é infatti possibile individuare specifici soggetti interessati e modalitá differenti di incidere nella loro rispettiva sfera giuridica.
La singolarietá ed unicitá di tale procedimento (o pluralitá di procedimenti) é che esso costituisce una governance di un sistema di spesa dello Stato, su cui insistono – solo ed esclusivamente – autorizzazioni che – di per sé – non sarebbero nemmeno idonee ad essere destinatarie di co-responsabilitá gestorie della spesa se al medicinale dotato di autorizzazione all’immissione in commercio non venisse attribuito lo status di rimborsabilitá da parte del Servizio Sanitario Nazionale.
Per tale motivo il sistema di Governance su cui si basa il PayBack farmaceutico appare di fatto come un sistema “debole” che si mantiene sulla disponibilitá delle imprese farmaceutiche a chiedere, ottenere e mantenere lo status di rimborsabilitá del medicinale. Un aspetto sul quale, chiaramente, verte anche un interesse delle aziende stesse di poter vendere il medicinale alle strutture pubbliche del Servizio Sanitario, ma che sussisterebbe fino al momento in cui il medesimo Sistema Sanitario é disponibile a consentire l’accesso, gratuito, al medicinale da parte del cittadino-paziente. Ecco quindi che, senza voler proseguire l’indagine verso percorsi che si discostano molto dall’attuale assetto legislativo, sembra riemergere il tema della corresponsabilitá alla quale, di fatto, corrisponde propria quella cogestione del sistema stesso che il giudice amministrativo fatica moltissimo ad ammettere e riconoscere, probabilmente in ossequio al tentativo pindarico di una ricostruzione del sistema normativo sulla base delle disponibili categorie del diritto amministrativo.