I criteri per valutare la superiorità clinica di un medicinale simile rispetto ad un medicinale orfano sono tra loro alternativi e non cumulativi
I criteri per valutare la superiorità clinica di un medicinale simile rispetto ad un medicinale orfano sono tra loro alternativi e non cumulativi (Sentenza della Corte di Giustizia del 4 ottobre 2024 Case C-237/22)
Le vicende relative alla designazione di farmaco orfano per un medicinale non di rado passano il vaglio giurisprudenza della Corte di Giustizia. Un medicinale per qualificarsi come farmaco orfano deve possedere due requisiti descritti nell’articolo 3 del Regolamento Europeo n. 141/2000: il primo è che il medicinale deve curare una affezione che comporta la minaccia per la vita o la debilitazione cronica che colpisce non più di cinque persone su diecimila nella Unione Europea, oppure che sia destinato ad una affezione che comporta una minaccia per la vita, di un'affezione seriamente debilitante, o di un'affezione grave e cronica, e che è poco probabile che, in mancanza di incentivi, la commercializzazione di tale medicinale all'interno della Comunità sia tanto redditizia da giustificare l'investimento necessario; il secondo è che non esistano metodi alternativi o che, se esistano, il medicinale avrà effetti benefici per le persone colpite da tale affezione.
Il primo requisito, come è facile notare, in realtà fa riferimento anche al fenomeno delle cosiddette malattie neglette, ossia quelle affezioni talmente rare da non giustificare, economicamente, il ritorno di un possibile investimento in ricerca e sviluppo di un medicinale[1].
L’articolo 8 del Regolamento sopracitato stabilisce che il medicinale orfano, una volta autorizzato, beneficia di un periodo di protezione di dieci anni, nel senso che nel medesimo arco temporale l’Unione Europea e gli stati membri non accettano altre domande di autorizzazione all’immissione in commercio per medicinali analoghi e per le medesime indicazioni terapeutiche.
Tale principio ha una deroga, contenute nel comma 3 del medesimo articolo 8 per la quale, se il titolare della autorizzazione alla commercializzazione del farmaco orfano dà il proprio consenso, o non è in grado di fornire una quantità sufficiente di medicinale, può essere concessa la autorizzazione all’immissione in commercio per un medicinale simile. Un principio che va nella direzione della tutela del paziente, soggetto che – in linea teorica – dovrebbe essere al centro, o meglio, beneficiario finale della ratio di questo Regolamento.
Ma vi è una ulteriore deroga, che peraltro ha interessato la Corte nel caso de quo, e cioè quando un secondo richiedente la autorizzazione all’immissione in commercio dimostri che il secondo medicinale, benché simile al medicinale orfano già autorizzato, è più sicuro, più efficace o comunque clinicamente superiore; deve quindi trattarsi si un medicinale che fornisce un beneficio clinico significativo.
Sulla base di queste definizioni il Regolamento n. 847/2000 prevede che per “beneficio significativo” si intende un vantaggio clinicamente rilevante o un contributo importante per la cura del paziente.
Inoltre, il medesimo Regolamento, stabilisce che per “clinicamente superiore” debba intendersi un medicinale che abbia dimostrato di fornire un significativo vantaggio terapeutico o diagnostico al di là di quanto fornito da un medicinale orfano già autorizzato mediante: (1) uno studio comparativo diretto che abbia valutato un end point clinicamente significativo, (2) una maggiore sicurezza in una parte sostanziale della popolazione target, anche mediante studi comparativi diretti (3) in casi eccezionali, in cui non è stata dimostrata né una maggiore sicurezza né una maggiore efficacia, una dimostrazione che il medicinale fornisce altrimenti una contributo importante alla diagnosi o alla cura del paziente.
Nei fatti di causa, per un medicinale, denominato Tobramycin VVB, simile ad un altro medicinale, denominato Tobi Podhaler, era stata chiesta e concessa una autorizzazione all’immissione in commercio in deroga alla esclusività di cui godeva il Tobi Podhaler, in quanto il Tobramycin VVB era clinicamente superiore data la sua maggiore sicurezza in una parte sostanziale della popolazione target.
Innanzi alla Corte di Giustizia era stata proposto appello contro la sentenza del Tribunale che aveva riconosciuto la legittimità della concessione dell’autorizzazione alla immissione in commercio del Tobramycin VVB. Tale decisione si basava sul fatto che la dimostrazione di un beneficio clinico significativo, sulla base del criterio del contributo maggiore alla cura del paziente, poteva essere dimostrato attraverso dei criteri identici a quelli per dimostrare la superiorità clinica e, soprattutto, che tali criteri non dovessero intendersi tra loro cumulativi. Nel caso specifico, il parere tecnico del Comitato per i medicinali orfani aveva concluso che il contributo importante fornito dal nuovo medicinale consisteva nella riduzione del tempo di somministrazione della sostanza attiva e una forma farmaceutica più conveniente rispetto al precedente medicinale.
La Corte di Giustizia, rigettando l’appello e confermando la sentenza del Tribunale ha affermato che i criteri per valutare la superiorità clinica di un medicinale simile rispetto ad un medicinale orfano sono tra loro alternativi e non cumulativi, stante la presenza della locuzione “o” nell’articolo 3, paragrafo 2, del Regolamento n. 847/2000; pertanto la superiorità clinica di un medicinale non è valutata mediante una valutazione globale di tutti i criteri previsti, ma è sufficiente soddisfare anche solo uno dei suddetti criteri.
Un ulteriore aspetto che la Corte ha avuto modo di ribadire, in linea con precedenti pronunce, è che la giurisdizione della Corte nei ricorsi presentati contro decisioni del Tribunale è limitata a questioni di diritto; quindi, il Tribunale ha competenza esclusiva nel valutare i fatti e le prove dedotte in giudizio, fermo restando che errori logici, o di diritto, o distorsioni nella valutazione, possono essere comunque fatti valere dinanzi alla Corte di Giustizia.
Tale concetto è stato ribadito con riferimento al fatto che, il ricorrente aveva sollevato una questione in merito alla rilevanza delle prove per dimostrare che il secondo medicinale orfano era clinicamente superiore al primo. Un aspetto, infatti, che era stato già ampiamente analizzato dal Tribunale nella sentenza appellata, laddove aveva stabilito che era corretto prendere in esame un target di popolazione potenzialmente intollerante al trattamento col primo medicinale e, non soltanto quelli che avevano interrotto il trattamento, col primo medicinale, a causa della incidenza della tosse. Quest’ultimo era stato infatti considerato come evento avverso cd. “molto comune” del primo medicinale, che avrebbe potuto comportare un trattamento alternativo col secondo medicinale. In tal caso il Tribunale ha avallato la scelta di analizzare un campione di popolazione più ampio, ma pur sempre con caratteristiche cliniche pertinenti con l’obiettivo dello studio clinico.
Ciò alla luce del fatto che, afferma la Corte, il criterio di superiorità clinica ("maggiore sicurezza in una parte sostanziale della popolazione target") deve essere valutato in relazione a una parte sostanziale della popolazione target, contrariamente al beneficio significativo che è stato rivendicato sulla base di un importante contributo alla cura del paziente per l'intera popolazione target.
La rilevanza di questa pronuncia della Corte di Giustizia appare consistere in tre aspetti: il primo è che rappresenta un caso molto specifico, di medicinale orfano simile ad un medicinale orfano preesistente, per il quale la interpretazione dell’articolo 3 del Regolamento 847/2000 non è sempre agevole soprattutto alla luce dei principi che la norma vuole tutelare; il secondo è che la produzione delle prove scientifiche a dimostrazione della superiorità clinica deve essere attentamente ponderata, anche attraverso pregressi casi analoghi, e per i quali la interlocuzione con l’autorità regolatoria appare sempre di più come elemento essenziale; il terzo, è la conferma di una netta differenziazione tra il concetto di “superiorità clinica” e quello di “beneficio significativo”.
Per quanto concerne gli aspetti processuali appare importante ribadire come la formazione della prova sia un elemento fondamentale spendibile unicamente nella fase di primo grado.
[1] A tale definizione si aggiunge quella di malattia rara così come definita, in Italia, dall’articolo 3 della Legge 10 novembre 2021 n. 175