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Pregiudizialità europea: una questione di “precedenze”

Pregiudizialità europea
Pregiudizialità europea

Abstract:

La Corte di Giustizia Europea e l’esercizio della pregiudizialità prevista all’articolo 267 TFUE giocano un ruolo fondamentale nel rendere effettivo il diritto europeo. Ciò è spesso minato dal fragile equilibrio instaurato con il “dialogo fra Corti” che cerca di assolvere alla necessità di arginare il fenomeno di nazionalizzazione. Il tentativo della Corte Costituzionale italiana di riaffermare la propria supremazia con la sentenza n. 267/2017 ed i profili di problematicità derivanti.

 

Indice:

1. Il ruolo del diritto comunitario: le fonti

2. Il potere giudiziario europeo: la Corte di Giustizia

3. La disciplina dell’articolo 267 TFUE

4. Concorso di questioni pregiudiziali: Corte Costituzionale n. 269/2017

 

1. Il ruolo del diritto comunitario: le fonti

Parlando di diritto europeo, non si può prescindere da alcune brevi precisazioni sulla Corte di Giustizia e sul necessario dialogo che intercorre fra questa e le Corti Nazionali.

Il ruolo del diritto sovranazionale e l’attività posta in essere dai Giudici di Strasburgo hanno costruito negli anni un equilibrio di poteri che, seppur fragile, ha cercato di farsi spazio nel sempre costante gioco-forza fra Corti. Infatti, il diritto europeo si compone di una realtà complessa, non esaurita nel dualismo del diritto primario e derivato, ma che comunque trova la sua legittimazione ed il suo minimo comune denominatore nel diritto pattizio dei trattati istitutivi dell’Unione (TFUE e TUE).

Queste norme sovraordinate assurgono a vera e propria carta costituzionale dell’Unione Europea ponendo il diritto comunitario come diritto sovranazionale, il quale trova fondamento nella volontaria limitazione di sovranità da parte degli Stati membri, proprio come stabilito dall’articolo 11 della Costituzione italiana.

Ciò legittima la legiferazione del Parlamento Europeo e la possibilità che questo possa incidere, direttamente o indirettamente, nel sistema giuridico degli Stati membri

 

2. Il potere giudiziario europeo: la Corte di Giustizia

Tutto questo apparato giuridico non avrebbe ragion d’essere senza una sorta di potere giudiziario sovraordinato, condiviso con le autorità nazionali, capace di rendere effettivo un sistema che fonda le sue radici nel superiore intento di unità politica oltre che ordinamentale, insita nell’originario disegno europeo.

Espressione maggiormente rappresentativa di detto potere è senza dubbio la Corte di Giustizia Europea, la quale, fra gli altri compiti, svolge il delicato ruolo di dirimere controversie dal punto di vista pregiudiziale in un equilibrio, spesso fragile, con le Corti nazionali, le quali hanno spesso cercato di difendere il loro ruolo, per così dire “sovrano”, da possibili incursioni esterne.

Quello che però rileva è che il braccio di ferro con le Corti degli Stati, non avrebbe ragione d’esistere poiché le norme del diritto comunitario appartengono senz’altro a ciascuno Stato membro, ma non possono essere messe in discussione da un giudizio interpretativo derivante da parte dei Giudici nazionali che finirebbero per uniformare il principio di diritto europeo al proprio diritto interno, minando irrimediabilmente il principio di certezza del diritto.

Tale eventualità, invero, non appare remota anzi si è più volte assistito ad una sorta di nazionalizzazione del diritto internazionale nell’interpretazione giurisprudenziale degli Stati, evento assolutamente da evitare nel caso del diritto europeo, poiché avrebbe portato ad una diversificazione in ciascuno Stato membro, svuotando la ratio della stessa norma e di tutto il progetto di unità europea.

Al fine di evitare ciò, è stata stabilita la competenza pregiudiziale della Corte di Giustizia Europea.

 

3. La disciplina dell’articolo 267 TFUE

Disciplinata dall’articolo 267 TFUE si diversifica dalle competenze contenziose attribuite all’organo giurisdizionale di Strasburgo, oltre che per il precipuo scopo di interpretazione del diritto europeo, anche a livello procedurale.

Infatti, il rinvio pregiudiziale non viene proposto su ricorso delle parti della controversia principale ma attraverso ordinanza del giudice avanti al quale la stessa risulta pendente. La Corte non fornisce direttamente una soluzione alla problematica, ma offre l’interpretazione e gli strumenti di diritto necessari ai giudici nazionali per poterla dirimere in osservanza dei principi europei. Il ruolo della CGUE non è quello di organo sovranazionale ma piuttosto di “ausiliario di giustizia” delle Corti nazionali.

Sia la giurisprudenza nazionale che comunitaria hanno contribuito all’evoluzione e alla delimitazione dell’ambito di operatività del giudizio pregiudiziale, rimarcando detta funzione nomofilattica in capo alla CGUE. Inoltre, si è assistito ad un restringimento dell’ambito di intervento alle sole situazioni in cui: operi il diritto U.E., la definizione del requisito che la controversia proposta avanti al giudice nazionale abbia natura giurisdizionale e relativamente al fatto che questa non sia meramente ipotetica.

Dal punto di vista squisitamente procedurale occorre rimarcare che la Corte non può pronunciarsi direttamente sulla compatibilità delle norme interne con le previsioni del diritto europeo, fatta salva comunque la facoltà, in capo alla CGUE, di riformulazione del quesito originario al fine di assolvere ad esigenze di chiarezza interpretativa.

Il giudizio proposto può vertere su questioni inerenti norme di diritto primario così come atti di natura pattizia dell’Unione e di diritto derivato.

È bene sottolineare che il rinvio da parte del giudice nazionale è solo una facoltà. Qualora non ritenesse necessario l’intervento della Corte di Strasburgo, il Giudice può procedere all’interpretazione dell’atto in totale autonomia. Se, invece, decidesse di optare per il rinvio, il giudizio principale verrà sospeso in attesa della pronuncia della CGUE. Eccezion fatta nel caso in cui la questione sorga nell’ultimo grado di giudizio ove, il giudice a quo, non ha più la facoltà ma è tenuto ad operare l’ordinanza di rinvio.

Un ulteriore potere che viene riconosciuto al giudice nazionale è la possibilità di sospendere l’efficacia di provvedimenti nazionali su cui nutra un fondato dubbio di legittimità ed emanati sulla base di atti dell’Unione. L’ordinanza di rinvio, adeguatamente motivata, viene notificata alla Corte unitamente alla sospensione del procedimento e sono fatte salve le facoltà di intervento dei principali organi europei all’interno della causa. La decisione può avvenire con sentenza o ordinanza motivata e non può riguardare un giudizio sull’operato del giudice nazionale essendo la causa principale retta da principi di diritto interno su cui non vi può esservi competenza europea.

È a questo punto che si sviluppa il punto cruciale della questione pregiudiziale, ossia gli effetti che la decisione della Corte di Strasburgo spiega sulla causa sospesa ed a livello nazionale.

Quando la Corte si esprime su questioni inerenti all’interpretazione di norme, le sue statuizioni sono obbligatorie per il giudice del rinvio. Inoltre, il principio di diritto espresso assume efficacia erga omnes e se da ciò derivasse un’incompatibilità della norma nazionale lo Stato membro è tenuto a conformare ad esso la propria legislazione.

La Corte UE ha anche facoltà di pronunciarsi sulla validità dell’atto. Qualora il giudizio di validità dell’atto sia positivo, la pronuncia dispiega i suoi effetti nella controversia da cui è stata dedotta, mentre, nel caso di atto dichiarato invalido, il dispositivo, seppur indirizzato al giudice del rinvio, si ritiene valido per qualsiasi altra autorità giudiziaria ed opera ex tunc.

Nella formulazione dell’articolo 267 TFUE è presente anche la c.d. “procedura pregiudiziale d’urgenza” per il settore SLSG (normativamente previsto al Titolo V del TFUE), assente nella procedura prevista dal precedente articolo 234 TCE. Tale modalità si è resa necessaria in situazioni di particolare urgenza, quali ad esempio quelle riguardanti minori o detenuti, che richiedono una risposta più rapida di quella prevista dall’articolo 23 dello Statuto della CGUE e dagli artt. 107-114 del Regolamento di procedura.

 

4. Concorso di questioni pregiudiziali: Corte Costituzionale n. 269/2017

Qualche breve accenno si rende necessario in virtù del descritto e difficile dialogo fra le Corti con riferimento alla “doppia pregiudizialità” ossia l’ipotesi in cui un giudice dubiti contemporaneamente sia della costituzionalità di una norma sia della sua compatibilità eurounitaria.

La sentenza 269/2017 si pone obiter dictum quale punto di rottura di quell’equilibrio tanto fragile quanto necessario fra il ruolo svolto dalla Corte Costituzionale e quello della Corte di Giustizia.

La problematica si svolge attorno a due questioni: la prima su una sorta di “primato” tra una norma europea (in questo caso una norma self-executing) e la Carta costituzionale, la seconda su quale sia l’ordine con cui devono essere sollevate le questioni davanti alla Corte UE e alla Corte Costituzionale.

Da ciò discende un problema. Infatti, i Giudici della Consulta, pur auspicando un ricorso al giudizio europeo, nella sentenza in esame esprimono un assunto assai ambiguo secondo il quale il rinvio alla CGUE, a seguito di un’ordinanza di rigetto della Corte Costituzionale, potrebbe aversi per “diversi ed ulteriori profili”. È ben comprensibile come i profili aggiuntivi siano di dubbia identificazione. Già nell’ordinanza di rinvio il giudice a quo indicava le perplessità rispetto alla compatibilità della norma a livello costituzionale ed europeo.

L’ipotetica e successiva rimessione al giudice eurounitario a questo punto risulta critica: se la CGUE si ponesse in linea opposta a quella della Consulta, il giudice a quo sarebbe costretto ad adire nuovamente la Corte Costituzionale, la quale a sua volta dovrebbe mutare la propria posizione iniziale, salvo azionare i controlimiti.

È chiaro che la posizione della sentenza 269 possa far tornare alla luce problematiche tangibili benché apparentemente “superate”.  I Giudici comuni potrebbero prediligere, in questi casi, il solo rinvio alla Corte nazionale oppure procedere a una propria interpretazione che, di fatto, “nazionalizza” il diritto europeo annullando tutti gli sforzi fatti per superare le resistenze della giurisprudenza. La strada imboccata dalla Corte Costituzionale appare quindi rischiosa soprattutto perché “trasla” il problema sui Giudici comuni. La giurisprudenza di merito saprà rispondere aderendo al processo di integrazione europea?