Il “reato universale” di surrogazione di maternità: profili critici
Il “reato universale” di surrogazione di maternità: profili critici
Abstract
La Camera ha recentemente approvato una proposta di legge volta a rendere la maternità surrogata un “reato universale”. Se questa proposta diventasse legge, il cittadino italiano sarebbe punibile in Italia per questa pratica anche nel caso di realizzazione della stessa in uno Stato in cui è lecita. Tuttavia, la dottrina ha evidenziato diverse criticità in ordine alla compatibilità della nuova previsione con i principi costituzionali.
Abstract
The Italian Chamber of Deputies recently passed a bill aimed at making the surrogate motherhood a “universal crime”. If this proposal becomes law, the Italian citizen would be punishable in Italy for this practice even if is carried out in a State where it is legal. However, the criminal law experts have highlighted several critical issues regarding the compatibility of the new bill with constitutional principles.
Indice:
1. La maternità surrogata come “reato universale”: l’approvazione della Camera dei Deputati
2. La difficile qualificazione della maternità surrogata come “reato universale”
3. Il delitto di maternità surrogata
4. L’efficacia della legge penale italiana oltre i confini nazionali
5. Le critiche alla configurazione della maternità surrogata come “reato universale”
1. La maternità surrogata come “reato universale”: l’approvazione della Camera dei Deputati
Il 26 luglio la Camera dei Deputati con 166 voti favorevoli, 109 voti contrari e 4 astenuti ha approvato una proposta di legge volta a rendere la maternità surrogata “reato universale”.
La proposta di legge, nella sua versione originaria, si proponeva di punire chiunque commettesse il delitto in questione all’estero, a prescindere dalla cittadinanza del soggetto agente, ma nel corso dell’esame in sede referente il suo contenuto è stato circoscritto esclusivamente alla previsione della punibilità del fatto commesso all’estero dal cittadino italiano.
La proposta di legge, così limitata, è stata approvata alla Camera e sarà esaminata dal Senato già nel mese di settembre.
2. La difficile qualificazione della maternità surrogata come “reato universale”
Il tema della rilevanza penale delle condotte ascrivibili all’interno della nozione di “maternità surrogata” commesse all’estero è oggetto negli ultimi tempi di un ampio dibattito, non esclusivamente giuridico, in ragione della delicatezza etica e morale delle questioni ad esso sottese.
Non appare particolarmente delicata solo la scelta di incriminare coloro che fanno ricorso a pratiche di maternità surrogata, ma anche quella di ampliare o restringere il campo di applicazione della legge penale italiana in relazione a tale fattispecie.
In particolare, è stata oggetto di aspre critiche l’espressione “reato universale”, frequentemente utilizzata da politici e giornalisti, da alcuni definita come un’espressione “di bandiera”.
Il linguaggio giuridico, infatti, non presenta una simile nozione, nella quale si potrebbero interpretativamente ricondurre reati di assoluta e indiscussa gravità, quali crimini di guerra o crimini contro l’umanità, universalmente riconosciuti, per i quali ben potrebbe essere giustificata una repressione ad amplissimo raggio, anche oltre i confini di un singolo Stato. Le condotte di maternità surrogata, per quanto possano essere considerate moralmente riprovevoli per il sentire sociale del popolo italiano, non sono universalmente riconosciute come tali, tanto che in alcuni Stati, anche europei, quali il Regno Unito e il Portogallo, sono consentite e regolamentate.
Potrebbero essere ricomprese nella nozione di “reato universale” quelle fattispecie che incriminano il fatto commesso dal cittadino all’estero. Il codice penale presenta, invero, alcune fattispecie di reato nelle quali è prevista la punibilità del cittadino italiano che commetta il fatto all’estero, come avviene, ad esempio, in relazione ad alcune condotte di prostituzione minorile. Alla base di una simile incriminazione giace una scelta squisitamente politica, volta a tutelare un bene giuridico di assoluta e primaria importanza, come la libertà sessuale e il sano sviluppo fisico e psicologico di un minore. Spetterà al legislatore valutare se anche le condotte di maternità surrogata siano idonee a ledere un bene giuridico di indiscussa rilevanza, ma nell’effettuare tale ponderazione non potrà non tenere conto delle esperienze giuridiche di altri ordinamenti.
3. Il delitto di maternità surrogata
Per meglio comprendere la questione è necessario avere riguardo, in primo luogo, ai caratteri e alla struttura del reato in esame e, in secondo luogo, alle norme vigenti in tema di applicazione della legge penale italiana per i fatti commessi all’estero.
L’articolo 12, c. 6, Legge 40/2004 punisce, al fianco del commercio di gameti ed embrioni, la realizzazione, l’organizzazione e la pubblicizzazione della maternità surrogata con la reclusione da 3 mesi a 2 anni e con la multa da 600.000 ad un milione di euro.
Con l’espressione “surrogazione di maternità” si intende quella pratica procreativa mediante la quale una donna si impegna a portare a termine la gravidanza per conto di una coppia committente, alla quale consegnerà il neonato dopo il parto. Il bambino può presentare i caratteri genetici di uno o di entrambi i membri della coppia committente ovvero non presentare i caratteri genetici di alcuno di essi, utilizzandosi in tale caso l’espressione surrogazione di maternità “totale”
Per comprendere quale sia il bene giuridico tutelato dalla fattispecie è possibile ricordare quanto affermato dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 272/2017), secondo la quale la pratica «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane».
Nell’incriminare tale condotta il legislatore ha effettuato un bilanciamento tra l’interesse della coppia committente ad avere figli e la tutela della salute e della dignità di colei che si impegna a portare a termine la gravidanza per conto di altri, dando maggior valore alla posizione giuridica della donna, che risulterebbe irrimediabilmente offesa dalla strumentalizzazione del suo corpo. Lo scopo della norma è anche quello di garantire le relazioni umane, evitando che possa darsi luogo ad un commercio di neonati e che la nascita di un bambino possa essere il frutto di una mera decisione egoistica dei genitori.
Tralasciando in questa sede le inevitabili implicazioni morali che la scelta di incriminare o meno tale pratica procreativa porta con sé, è possibile soffermarsi sulla gravità della sanzione pecuniaria prevista dalla fattispecie astratta. La multa da euro 600.000,00 a un milione appare, infatti, particolarmente pesante. La logica del legislatore era quella di prevedere una sanzione così aspra da essere dissuasiva nei confronti di soggetti a tal punto abbienti da potersi permettere di recarsi all’estero per realizzare una pratica generalmente molto costosa.
4. L’efficacia della legge penale italiana oltre i confini nazionali
Illustrata sinteticamente la disciplina del reato di maternità surrogata, è necessario dare conto altresì delle norme che regolano, in via generale, l’applicabilità della legge penale italiana nello spazio.
Al riguardo, il Codice penale italiano (artt. 3 e 6) accoglie il principio di territorialità, per il quale la legge italiana si applica nei confronti dei cittadini italiani e degli stranieri che si trovano sul territorio nazionale, per reati commessi all’interno di esso.
Tuttavia, il principio di territorialità non ha carattere assoluto, perché trova un limite in altri principi che lo integrano o derogano in casi tassativamente previsti. Tra questi principi vi è quello di universalità, in base al quale la legge penale italiana trova applicazione senza limiti di carattere territoriale.
In proposito, si distinguono tre categorie di reati commessi all’estero per le quali detto principio opera in modo differente:
i reati punibili incondizionatamente (articolo 7 Codice Penale),
i delitti politici (articolo 8 Codice Penale) e
i delitti comuni di cui all’articolo 9 Codice Penale;
per queste due ultime categorie, la punibilità risulta condizionata dalla richiesta del Ministro della giustizia che opera, nei due casi, con condizioni diverse.
Riguardo alla prima categoria, il principio di universalità trova applicazione con esclusivo riferimento alle ipotesi elencate nell’articolo 7 Codice Penale che possono sostanzialmente essere ricondotte a delitti contro la personalità dello Stato, i suoi simboli e valuta, nonché contro la funzione pubblica.
Per tali fattispecie di reato, lo Stato è abilitato a punire il cittadino e lo straniero che si siano resi autori di tali delitti anche all’estero, senza particolari condizioni.
La ratio di tale estensione spaziale della potestà punitiva risiede nell’esigenza di difesa dello Stato da condotte considerate gravemente offensive della sua personalità.
Sul punto, si evidenzia che l’articolo 7, c. 1, n. 5 Codice Penale fa espressamente salve le ipotesi in cui la stessa legge o le convenzioni internazionali abbiano stabilito l’applicabilità della legge penale italiana al di fuori dei confini nazionali.
Infatti, a tale disposizione sono riconducibili tutti quei reati di estrema gravità per i quali la legge penale prevede l’applicazione incondizionata della legge penale italiana, tra cui la tratta di esseri umani e la prostituzione minorile.
Stando al testo del disegno di legge, si può ragionevolmente ritenere che la riforma in argomento rientri a pieno titolo in una di tali ipotesi, essendo una novella della legge speciale n. 40/2004.
La proposta, infatti, prevede l’introduzione nell’articolo 6, c. 2 Legge 40/2004 della seguente disposizione: “Le pene stabilite dal presente comma per la surrogazione di maternità si applicano altresì quando il fatto è commesso all’estero da cittadino italiano”.
Il disegno di legge, dunque, non prevede la richiesta del Ministro della giustizia come condizione di punibilità del reato di gestazione per altri commesso all’estero, equiparando, così tale reato a quelli tassativamente elencati dall’articolo 7 Codice Penale, per quanto concerne il cittadino italiano. Tale condizione, è, invece, prevista per i delitti politici, ai sensi dell’articolo 8 Codice Penale.
All’interno di tale categoria, sono generalmente ricompresi non solo i delitti che offendono un interesse di natura politica (delitti oggettivamente politici), ma anche i delitti comuni supportati da una motivazione ideologica (delitti soggettivamente politici).
La ratio della previsione della richiesta del Ministro della giustizia risiede nella necessità, per tali delitti, di una valutazione di opportunità politica di attivazione della tutela penale, da operarsi in relazione al caso concreto, a differenza delle ipotesi individuate dall’articolo 7 Codice Penale, ove tale valutazione di opportunità è già stata fatta, in astratto, a monte, dal legislatore.
Quanto appena detto vale anche per i delitti comuni di cui all’articolo 9 Codice Penale, per i quali, tuttavia, l’applicazione della legge penale italiana al reato commesso all’estero dal cittadino italiano è subordinata all’ulteriore condizione che il reo si trovi sul territorio nazionale, mentre la richiesta del Ministro della giustizia è prevista, quale ulteriore requisito, per i delitti comuni puniti con una pena detentiva inferiore nel minimo a tre anni e per quelli commessi ai danni dell’Unione Europea, di uno Stato estero o di uno straniero, sempre che non sia stata concessa o accettata l’estradizione.
Ad analoghe condizioni, l’articolo 10 Codice Penale estende l’applicabilità della legge penale italiana ai delitti comuni non rientranti tra quelli di cui agli artt. 7 e 8 Codice Penale commessi all’estero dallo straniero.
5. Le critiche alla configurazione della maternità surrogata come “reato universale”
Com’è noto, la finalità della riforma in argomento è quella di rendere punibile all’estero il reato ex Legge 40/2004 commesso dal cittadino italiano.
In proposito, è bene evidenziare come attualmente la commissione all’estero di tale reato sia già punibile dalla legge italiana, seppur a condizione che vi sia la richiesta del Ministro della giustizia.
Infatti, come già detto, l’articolo 9, c. 2 Codice Penale prevede l’applicabilità della legge italiana (subordinata alla richiesta del Ministro della giustizia) ai delitti comuni commessi dal cittadino all’estero, puniti con pena della reclusione inferiore nel minimo a tre anni, tra i quali rientra la surrogazione di maternità, punita nel massimo con due anni di reclusione.
- È evidente, allora, che la proposta di legge mira ad escludere tale reato dall’ambito di applicazione dell’articolo 9 Codice Penale e di ricondurlo all’interno delle ipotesi di cui all’articolo 7, n. 5 Codice Penale, ossia tra i delitti puniti incondizionatamente, vale a dire senza la necessità della richiesta del Ministro della giustizia.
Inoltre, secondo alcuni interpreti, il disegno di legge mira altresì a rendere punibile il reato in discussione anche se commesso dal cittadino in uno Stato dove la maternità surrogata è lecita, in violazione del principio della doppia incriminazione.
La doppia incriminazione rappresenta, anzitutto, uno dei requisiti per procedere all’estradizione, ai sensi dell’articolo 13, c. 2 Codice Penale: “L’estradizione non è ammessa, se il fatto che forma oggetto della domanda di estradizione, non è preveduto come reato dalla legge italiana e dalla legge straniera”.
Secondo autorevole dottrina e parte della giurisprudenza, tale principio rappresenta altresì la regola per l’applicabilità della legge penale italiana per reati commessi da cittadini all’estero.
Inoltre, esso informa i rapporti di cooperazione internazionale tra i diversi Paesi in materia penale.
Pertanto, secondo tale tesi, il reato di surrogazione di maternità non sarebbe punibile se commesso dal cittadino in uno Stato in cui tale pratica è lecita.
Nello specifico, la dottrina più critica nei confronti del disegno di legge adduce, a sostegno della tesi negativa, tre argomenti dei quali il primo, già accennato, fa leva sull’elusione del principio della doppia incriminazione.
Invero, escludendo sia la richiesta del Ministro della giustizia, sia il requisito della doppia incriminazione, si correrebbe il rischio di punire solo in astratto la maternità surrogata commessa da cittadini italiani all’estero, in quanto l’autorità giudiziaria italiana non potrebbe punire efficacemente in concreto tale reato per la evidente difficoltà probatoria: è chiaro, infatti, che se nello Stato estero tale pratica è lecita, quest’ultimo sarebbe impossibilitato a fornire l’adeguata cooperazione internazionale richiesta.
Vi sono, dunque, ragioni di opportunità e di politica internazionale che imporrebbero di mantenere la richiesta del Ministro per tale reato.
In altri termini, autorevole dottrina ritiene che sia necessario rimettere alla politica la valutazione caso per caso in ordine all’opportunità di punire il fatto commesso dal cittadino all’estero, anziché all’autorità giudiziaria, vincolata dal principio dell’obbligatorietà dell’azione penale.
Infatti, la surrogazione di maternità porta con sé delicate implicazioni etiche e viene regolata in modo assai diverso dagli altri Paesi.
A tale argomento si collega il secondo a sostegno della tesi contraria, che pone l’accento sulla minor gravità del reato di gestazione per altri rispetto a quelli individuati dall’articolo 7 Codice Penale.
I reati rientranti nell’ambito di applicazione di quest’ultima norma (tra i quali rientrano il terrorismo, la violenza sessuale, le mutilazioni genitali femminili, la tratta di persone, il traffico di organi umani e la prostituzione minorile) sono di una gravità tale da giustificare, alla luce del principio di difesa, l’estensione della giurisdizione penale italiana oltre i confini nazionali incondizionatamente; gravità, peraltro, riconosciuta dalla quasi totalità della comunità internazionale, differentemente dalla surrogazione di maternità che, oltre ad essere considerata lecita in diversi Paesi, è punita in Italia con una pena notevolmente inferiore rispetto ai summenzionati delitti.
In altri termini, l’equiparazione della surrogazione di maternità ai delitti per i quali l’articolo 7 Codice Penale prevede l’applicazione incondizionata della legge italiana presenterebbe problemi di compatibilità con i principi costituzionali, in particolare con il principio di ragionevolezza e proporzionalità.
Secondo tale tesi, la deroga al principio di territorialità in favore di quello di universalità se può trovare giustificazione in gravissimi delitti contro lo Stato, l’umanità e la persona, non altrettanto può dirsi nel caso della maternità surrogata, essendo dato ineludibile che, in ordinamenti stranieri informati ai principi dello Stato di diritto e commensurabili al nostro, tale pratica è variamente regolata e, in alcuni, addirittura lecita.
Un terzo argomento si focalizza sulle conseguenze che tale proposta di legge potrebbe avere sui minori nati attraverso il ricorso alla pratica in parola.
Com’è noto, in materia di minori vige il principio del c.d. “best interest of the child” che impone, difronte a qualunque scelta giuridica, di privilegiare l’interesse del minore.
Anche in materia civile, in particolare in materia di riconoscimento del figlio nato attraverso la surrogazione di maternità, la Corte di Cassazione ha chiarito come l’interesse del minore debba essere tenuto in massima considerazione, evitando dannose disparità di trattamento tra bambini nati attraverso tale pratica e non.
Dunque, tale dottrina evidenzia come il legislatore dovrebbe preoccuparsi delle possibili conseguenze negative di natura extrapenale che possono subire le famiglie e i nati dalla surrogazione di maternità, in aderenza anche alle indicazioni della Corte costituzionale e della C.E.D.U.
Da ultimo, si evidenziano problemi di compatibilità di tale proposta di legge con il principio di non discriminazione connesso alla libertà di circolazione.
Invero, consta che, all’interno dell’Unione Europea, in Portogallo e in Grecia, la maternità surrogata sia legale. Pertanto, una previsione di legge che prevedesse la punibilità incondizionata di tale pratica commessa in Grecia o in Portogallo introdurrebbe un limite alla libertà di circolazione del cittadino italiano e una disparità di trattamento rispetto allo straniero che realizza tale pratica legalmente nel suo Paese.
Ciò in quanto per lo straniero il combinato disposto dell’articolo 10 Codice Penale e della Legge 40/2004 esclude la punibilità di tale fatto in Italia, essendo il reato in discussione punito nel minimo con tre mesi di reclusione; limitazione e disparità di trattamento che, alla luce di quanto detto sopra, non sembrano trovare una valida giustificazione.
In proposito, si può aggiungere che anche il divieto di trascrizione dello status di figlio nato attraverso la surrogazione di maternità in Italia pone dei problemi di compressione di tale libertà fondamentale e, in ordine a tale divieto, la Suprema Corte di Cassazione si è espressa nel senso di ritenere invece applicabile l’adozione in casi particolari, per ragioni di ordine pubblico.
In conclusione, diversi interpreti ritengono che un fenomeno così delicato come la maternità surrogata non possa essere adeguatamente affrontato solo o tanto attraverso l’estensione a livello “universale” della legge penale, dovendosi, peraltro, considerare la tutela penale come uno strumento di extrema ratio.