Troppi cicli e pochi geni: cosa non va nei tamponi

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Troppi cicli e pochi geni: cosa non va nei tamponi

Perché i tamponi sono inaffidabili? Più si aumenta il numero di cicli, meno affidabile è l’esito, pochi geni vengono considerati a differenza di marzo. Si aggiunga l'ambiguità del governo sui falsi positivi e il conteggio dei positivi ogni giorno che potrebbe includere gli stessi già contati il giorno prima. Ecco cosa c'è che non va.

 

Ormai tutti vanno a farsi il tampone, sicuramente, viste le restrizioni, più di quanto si vada dal parrucchiere; poco importa se si hanno sintomi, o se si sia stati a stretto contatto con un altro positivo, oppure se ad essere risultata positiva sia l’amica della cugina della vicina. Si dice: meglio stare dalla parte dei bottoni; la prudenza non è mai troppo, etc.

Sarà, però qualche domanda su questi tamponi bisognerebbe farsela seriamente. Partendo da due recenti episodi, che chi scrive ha potuto verificare di persona. Il primo: una persona anziana, all’inizio di settembre, si reca in ospedale per un intervento ortopedico (tampone d’ingresso, negativo); durante la degenza si positivizza ed è da due mesi che continua a rimanere positivo (dopo 6-7 tamponi effettuati), senza presentare sintomi.

Siccome l’ospedale necessita di posti letto, il medico chiama la casa di riposo di provenienza di questo signore, per dirgli di riprenderlo, perché non più contagioso, pur essendo positivo. Ma per la logica dei bottoni, di cui sopra, la struttura si rifiuta di accoglierlo, appunto perché “non si sa mai”. Atteggiamento discutibile, ma comprensibile, vista la caccia all’untore che si è scatenata proprio contro le case di riposo.

Seconda situazione. Una giovane donna, dopo aver avuto sintomi influenzali con febbre, costretta dal medico, va a fare il tampone. Viene trovata “debolmente positiva”, senza obbligo di quarantena. Al medico di medicina del lavoro è stato chiesto il significato di questo referto ed è stato risposto che, praticamente, è da considerarsi come una negatività.

Due casi, tra i moltissimi analoghi, che dovrebbero far pensare. Sulla base di che cosa si dichiara una persona positiva come non contagiosa? E quante sono queste persone?

Tamponi: iniziamo col cercare di capire come funziona il test molecolare.

Il campione prelevato con il tampone viene analizzato con il metodo RT-PCR (Reverse Transcription – Polymerase Chain Reaction). In pratica, con la trascrittasi inversa, i singoli filamenti di RNA vengono trasformati in DNA complementari (cDNA), i quali, con il metodo della Real-Time PCR, vengono amplificati mediante n cicli (runs). L’amplificazione ha una crescita esponenziale; questo significa che ben diverso è il passaggio dal decimo all’undicesimo ciclo, rispetto a quello dal trentesimo al trentunesimo; più si aumenta il numero di cicli e meno affidabile è l’esito.

In un referto, che abbiamo potuto visionare, era indicato il numero di cicli ( >35); ma in numerosi altri non c’era alcuna indicazione: eppure sarebbe importante saperlo. Qui, potete visionare una tabella che riporta il numero di cicli di una ventina dei test molecolari utilizzati (quasi un centinaio): buona parte oltrepassa i 34-35 cicli.

I debolmente positivi sono per lo più quelli risultati tali dopo un numero elevato di cicli; il prof. Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Mario Negri (vedi qui), si era anche domandato il reale senso di questa “positività” che risultava dopo 34-38 cicli, vista la quasi nulla capacità di infettare da parte di questi soggetti. Insomma, se intorno ai 35 cicli non si trova alcunché, onestà vorrebbe che l’esito del tampone venisse indicato come negativo (guardate questo interessantissimo video di Quarta Repubblica: aiuterà a capire quanto stiamo dicendo). Però così non è. E nei dati che ci vengono propinati ogni giorno, questa fondamentale distinzione tra debolmente positivo e positivo non viene fornita. Tutti nello stesso calderone, così la notizia fa più effetto.

Questi stessi numeri possono risultare gonfiati anche dalla ripetizione di test da parte della stessa persona. E’ quanto aveva intuito Bruno Vespa (vedi qui), che aveva onestamente esposto il suo dubbio al sottosegretario alla salute Sandra Zampa. La Zampa ha risposto fischi per fiaschi, difendendosi con il fatto che ora il doppio tampone non è più necessario. Risposta decisamente fuori tema, perché il problema non è questo; ci sono persone (come nel caso che ho raccontato sopra) che fanno 3, 6, 10, x tamponi e continuano a rimanere positivi: queste situazioni vengono conteggiati ogni volta come nuovi casi? Il Governo non sa o non vuole rispondere...

Secondo aspetto che dovrebbe portarci a riconsiderare tutto questo “tamponamento” a tappeto. Nei test molecolari vengono ricercati tre geni del SARS-COV-2: il gene E, che è comune ad altri coronavirus, il gene N (con le due varianti N1 e N2), con alta possibilità di cross-reattività con altri SARS (e quindi di confusione), e infine il gene RdRP (il alcuni test, si cerca invece il gene ORF1, con le sue varianti). Per essere dichiarati positivi, nel mese di marzo, occorreva risultare positivi a tutti e tre i geni; in effetti, se il virus è presente, tutti i suoi geni ricercati dovrebbero essere trovati. Per capirsi: piuma bianca, zampe palmate, becco largo e piatto sono caratteristiche sempre presenti, quando cerco un’oca. Ma la sola piuma bianca, o le sole zampe palmate sono condizioni necessarie ma non sufficienti per dire che ho trovato un’oca. Però dall’inizio di aprile, si è deciso di dichiarare positivo un test che rintraccia anche un solo gene, inclusi quelli considerati aspecifici, come ammesso esplicitamente dal prof. Giorgio Palù, che infatti metteva in guardia dai troppi falsi positivi (vedi qui). Una scelta politica, come quella del numero dei cicli. Se si tornasse al criterio di 3 geni su 3, probabilmente il numero giornaliero dei nuovi contagi crollerebbe.

Terza considerazione. Una messa in guardia dall’idea che i tamponi siano assolutamente attendibili, ce la dà lo stesso Istituto Superiore di Sanità. In un documento dal titolo Dispositivi diagnostici in vitro per COVID-19, aggiornato al 23 maggio 2020 (vedi qui), a pag. 7, viene messa a disposizione una tabella sulla capacità di identificare in modo corretto i positivi, in base a tre parametri: la sensibilità del tampone, la sua specificità, e la prevalenza nella popolazione. L’ISS fa notare che «un test molto sensibile nel rilevare il bersaglio di interesse ha maggiori probabilità di rilevare anche bersagli correlati ma distinti che non sono di interesse», e quindi risultare meno specifico.

La prevalenza è invece la presenza del virus nella popolazione, un parametro difficile da inquadrare: «poco noto o del tutto ignoto», lo qualifica l’ISS, perché la diffusione del virus dovrebbe essere colta sulla base di test, la cui attendibilità dipende appunto dalla prevalenza; un circolo vizioso. Il dato più sicuro è quello delle persone che hanno effettivamente avuto una chiara sintomatologia: e, in questo caso, saremmo sotto l’1%. Se invece affidiamo la ricerca del dato di prevalenza a pre-test che coinvolgono anche asintomatici, un’indagine sulla sieroprevalenza condotta dal Ministero della Salute, in collaborazione con l’Istat e la Croce Rossa, nel periodo 25 maggio – 15 luglio, colloca la prevalenza intorno al 2,4%.

Torniamo alla tabella; se consideriamo test diagnostici high-performance (sensibilità al 95% e specificità al 98%), con una prevalenza al 2%, si possono avere quasi il 51% di falsi positivi. Se abbiamo un test mid-performance, la percentuale di falsi positivi sale vertiginosamente all’85%, per andare poi al 90% in caso di test low-performance.

Perché allora investire così tanto, anche in termini economici, nel tracciamento, vista l’enorme possibilità di falsi positivi, mentre invece quando si parla di cure si è subito pronti a dire che non esistono cure affidabili? Perché di fronte alla lattoferrina, alla plasmaferesi, all’idrossiclorochina, a tutte quelle cure che di fatto funzionano subito si alza il coro della non evidenza scientifica, mentre invece di fronte ai tamponi, che danno così tanti falsi positivi, non si batte ciglio?