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Il fenomeno criminale: il labile confine tra realtà e rappresentazione mediatica

processo mediatico
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Il fenomeno criminale: il labile confine tra realtà e rappresentazione mediatica


Abstract:

I mezzi di comunicazione di massa sono stati in grado di instaurare un vero e proprio “processo mediatico” che ha preso il posto di quello “giudiziario”, mirante a realizzare audience e non una meditata e rituale verità. La natura di “arma a doppio taglio” del diritto penale basandosi su criteri e tecnicismi di non facile esposizione al cittadino, ha comportato la costituzione di un male, come unico e solo da combattere, ossia la “criminalità”, attraverso cui è risultato agevole implementare sentimenti di odio verso l’altro, di insicurezza esistenziale e sfiducia nelle Autorità giudiziarie.

Indice

1. Insicurezza collettiva e paura del crimine: strumenti di potere politico mediatico

2. Manipolazione del consenso sociale: il processo mediatico è il nuovo processo penale

 

1. Insicurezza collettiva e paura del crimine: strumenti di potere politico mediatico
 

Nietzsche scrive che: “non esistono fatti puri, ma solo interpretazioni” ossia fatti interpretati da soggetti umani. 

Howard Becker nella sua opera “Outsiders” sostiene che un comportamento deviante è un comportamento che la gente etichetta come tale; ciò significa che la qualifica di “comportamento corretto” o al contrario “deviante” è da ricercare nella cultura della società, in cui colui che devia è semplicemente il destinatario di una qualifica che altri attribuiscono.

David Pedron nell’opera “The World of Burglar” che riguarda il caso di cinque uomini condannati all’ergastolo per uso di droga scrive: non vi è dubbio che il mondo del delinquente sia anche parte della nostra stessa società e delle sue istituzioni sociali, delle nostre preoccupazioni e delle nostre disperazioni e speranze, la nostra società, la loro società, li ha costretti troppo presto nelle loro vite ad attitudini e comportamenti dei quali non si libereranno mai”.

La televisione nel suo essere strumento di comunicazione ha determinato cambiamenti nella vita culturale della società, poiché le notizie che vengono trasmesse “comunicano un senso di immediatezza e di intimità, portando il telespettatore faccia a faccia con i protagonisti dell’intervista o del servizio […] spostando l’attenzione sugli aspetti emotivi ed intimi degli eventi” (Garland D. La cultura del controllo crimine e ordine sociale nel mondo contemporaneo, ed. italiana a cura di Ceretti, il saggiatore).

Accade oggi nella nostra società democratica che pur di promuovere e proteggere sul piano sociale, civile e politico il legame tra gli interlocutori, si assiste al sacrificio dell’obiettività, della correttezza e della verità; a farlo non sono solo i portavoce degli uomini politici, ma anche e soprattutto i giornalisti, per i quali l’etica del primato dell’audience fa sì che lo stile con cui viene diffusa una notizia finisce per essere più importante della notizia stessa, così la forma diviene sempre più autonoma rispetto all’oggetto e mira a  rispondere ad altre istanze che non sono quelle motivate dalla fedeltà del contenuto stesso.

In questo modo lo scopo del comunicare rischia di essere solo quello di persuadere il pubblico attraverso notizie ed iniziative che non tengono conto della veridicità sostanziale, ma offrono ciò che il cittadino già si aspetta.

Tutto ciò risulta maggiormente evidente se si parla di giornalismo televisivo, il quale contribuisce alla formazione di un modello di trasmissione sempre più volto ad assecondare i gusti dell’audience, costruendo un’immagine della realtà fuorviante perché lontana dalla realtà stessa

Sempre più spesso i media invitano ad avere fiducia in loro, a credere nell’autorità e autenticità delle immagini e dei testi elettronici da loro forniti, nell’intento di rendere come fondata la loro onestà, veridicità e sicurezza.

Secondo Giddens i media, che sono sistemi astratti nei quali riponiamo fiducia, ci mettono nella posizione di credere ad altri sistemi astratti e ci offrono pretesti per fidarci gli uni degli altri, essi ricoprono una posizione di estremo comando nel ciclo della produzione della credibilità popolare essendo questo elemento il fulcro del funzionamento delle società complesse; in effetti dalla credibilità dipendono “lo sviluppo culturale, l’esercizio del potere politico, il controllo della collettività e la creazione dei settori di mercato”(Giddens A., Le conseguenze della modernità. Fiducia e rischio, sicurezza e pericolo).

Quindi per mezzo della fiducia i mass media riescono ad amministrare con la politica il loro potere di ingerenza, gestendo gli interessi, le aspettative, le paure e le opinioni della collettività e condizionando in concreto le certezze, i giudizi, gli atteggiamenti e le reazioni sociali.

In questo modo i mass media consapevoli che con la loro pervasività e persuasività sono in grado di ottenere la massima credibilità, hanno iniziato ad alimentare il senso della paura e fare leva sul sentimento di insicurezza, agendo sulla formulazione dell’opinione pubblica a determinati problemi sociali e stimolando nei confronti di questa, reazioni e richieste collettive di intervento politico.

Di conseguenza è possibile notare come il bisogno di sicurezza, termine impiegato sempre più diffusamente all’interno dei discorsi politici in quanto concetto catalizzatore di attenzione pubblica, di interessi sociali e di stanziamenti economici di fondi pubblici, sia divenuto per l’uomo moderno, quantitativamente e qualitativamente esasperato, tanto da mettere in crisi fonti di sicurezza come la scienza e la tecnologia.

In questo modo il processo di civilizzazione delle nostre società, guidato dal cosiddetto sapere mediatico, economico e politico, ha portato all’istituzionalizzazione del dubbio, all’acutizzazione dell’attenzione per il rischio e all’incremento costante dell’esigenze di sicurezza, protezione e rassicurazione. 

Non a caso il sociologo Bauman, parla di “società dell’incertezza”, poiché pur avendo goduto di livelli di ricchezza di sviluppi scientifici e tecnologici inimmaginabili fino a qualche decennio fa, si appartiene a generazioni che si sentono particolarmente insicure e prive di speranza per il futuro; mentre Beck qualifica la realtà circostante come “società del rischio”, poiché le scoperte scientifiche e tecnologiche, pur avendo reso più agevole la vita quotidiana, hanno fatto aumentare le fonti di pericolo e le potenzialità rischiose della nostra esistenza, tanto da rendere l’insicurezza una condizione insuperabile da parte degli attori sociali.

Tutto ciò ha portato alla determinazione dello “Stato della paura” così come definito da Robert Castel, il quale palesa come negli ultimi anni si è assistito ad una serie di fenomeni sociali importanti “come l’ampliamento sconfinato degli spazi di libertà personale, lo sviluppo forzato della cultura individualistica e consumistica, la disgregazione progressiva del sentimento di solidarietà sociale” (R. Castel., L’insicurezza sociale), senza dimenticare il ruolo incisivo politico mediatico che ha agevolato molto sia la crescita della paura “indistinta”, sia lo sviluppo di nuove modalità per la gestione della stessa, facendola diventare un vero e proprio strumento di business.

In questo modo grazie al sistema informativo di massa si è creata una nuova e moderna forma di paura che è più generalizzata e sfuggente di quelle passate, quindi più difficile da combattere, “essa produce effetti concreti e tangibili tra cui un terrore paralizzante che mutila in maniera sistematica la vita delle persone modificandone le esistenze e i comportamenti” (R. Castel, L’insicurezza sociale).

La conseguenza è che la conoscenza diffusa del verificarsi di alcuni eventi tristi e drammatici che i media tendono a presentare come dei “casi” e non come “fenomeni”, trasforma il giudizio di valore ad essa attribuita tanto che la probabilità di quello che può accadere viene percepito come un avvertimento di quello che probabilmente accadrà se non si adottano precauzioni per essere più sicuri.

L’insicurezza scaturisce dall’insaziabile bisogno di sicurezza e viene creata proprio dalla ricerca costante di protezione dinnanzi all’eccesso di rischi che si palesano all’orizzonte.

Ma il rischio, secondo il parere di Foucault, è “ingovernabile”, non è circoscrivibile, ogni cosa che può dirsi esistente presenta in principio un rischio, esso rappresenta una mera eventualità dell’accadere e costituisce un concetto meno certo in termini probabilistici, meno definito ed ancorabile a situazioni, contesti o azioni circoscritte.

Inoltre l’immagine di una criminalità straripante e inarrestabile che viene ribadita giorno per giorno nei telegiornali, nelle sedi politiche e nelle case, rappresenta la ratio dell’indebolimento delle istituzioni nel garantire ordine e comporta la perdita di valenza simbolica di riduzione della violenza e del disordine al giudizio penale, lasciando sul campo delusione, sfiducia e insicurezza.

Da qui deriva che la paura della criminalità costituisce la principale risorsa simbolica per la legittimazione di istituzioni in crisi, che affette da una sorta di “paura sacra” di perdere la propria capacità di creare ordine è su questa emozione che tentano di legittimarsi; “le istituzioni penali più delle altre rappresentano il tentativo di ingabbiare la violenza ed è su di esse che vengono riposte le aspettative di ordine e sicurezza”  (R. Cornelli, Paura e ordine nella modernità, Giuffré, Milano, 2008).
 

2. Manipolazione del consenso sociale: il processo mediatico è il nuovo processo penale

La radicata convinzione dell’opinione pubblica circa l’incapacità del sistema penale di prestare idonea tutela ai bisogni collettivi di sicurezza, l’esigenza di ricorrere a forme private di tutela e il sempre più crescente sentimento di diffidenza e odio nei confronti degli altri, il cui effetto si traduce sostanzialmente in una reazione di tipo repressivo-giustizialista, ha comportato l’inquadramento di un senso di giustizia inadatto a delineare uno stato sociale di diritto.

L’effetto è stato quello di mettere in discussione gli stessi principi elementari del processo penale la cui conseguenza si determina nella realizzazione di “irrituali processi sommari ed extraistituzionali, con l’immancabile corollario della poena extraordinaria della gogna […] e la radicale e sistematica inosservanza delle regole sul segreto istruttorio(S. Moccia, La perenne emergenza tendenze autoritarie nel sistema penale).

La perdita di valenza e serietà del processo penale scopre sulla scena il modus operandi dei mass media che nel presentare il fenomeno giustizia convince anticipatamente la collettività a percepirla in termini di vendetta, concezione questa che ben si inserisce all’interno di un clima culturale emotivamente orientato all’immediata individuazione del colpevole a discapito della stessa dignità umana.

In quest’ottica appare evidente come le contemporanee aspettative popolari del “qui, subito, adesso” abbiano messo in discussione il fattore tempo del processo penale, elemento necessario e funzionale a risolvere tutte le implicazioni valutative e probatorie nel rispetto formale e sostanziale dei criteri fondamentali su cui si erige un giusto processo.

Questi momenti riflessivi volti a soddisfare esigenze reali sono stati sostituiti per il soddisfacimento di bisogni vendicativi e hanno reso agevole l’iper-valutazione delle ipotesi mediatiche poste in ottica squisitamente accusatoria.

Una volta colti i momenti più suggestivi da inserire in un titolo, i mass media fanno apparire il loro punto di vista luogo di accertamento giudiziale con la conseguente trasformazione del pregiudizio in giudizio; sicché quando dopo anni interviene quello autentico, questo sconta l’inimicizia dell’opinione pubblica che ha già fatto di quel pregiudizio un giudizio vero e proprio.

Non a caso il focus è orientato alla testata poiché più allarma più è in grado di consolidare lettori e la competizione che si genera tra le varie attività mediatiche esige di bruciare i tempi da rispettare per pubblicare una notizia giudiziaria (Amodio E. Estetica della giustizia penale prassi, media, fiction).

Se infine quanto appena detto si collega al protagonismo assegnato all’opinione pubblica circa il modo di definire quella che è la realtà giuridica e criminale, i cui criteri guida si traducono in impulsi totalmente irrazionali che richiedono risposte tempestive a rassicurare semplici sensazioni, allora si comprende come l’interesse del popolo non è quello di aver assicurato un processo in cui domina il rispetto dei diritti fondamentali, ma che si giunga il prima possibile al giudizio finale giacché appagare il senso di sicurezza non impone il vincolo della verità.

Da ciò ne deriva che il processo penale raffigurato dai media mostra uno scenario totalmente diverso rispetto a quello formale costruito su norme specifiche grazie alle quali è possibile esporre un contesto lineare e logico, diversamente da quello frammentario ed emotivamente orientato presentato sui televisori attraverso cui è possibile esaltare colpevolezze anticipate oltre che gratuite e contribuire così ad ingigantire l’ignoranza del popolo.

Una palese differenza si rileva nel fatto che i media puntino il focus giornalistico sulla fase delle indagini, momento che, in ottica costituzionale e codicistica, si valuta come estraneo al processo poiché condotto esclusivamente dal pubblico ministero senza il confronto con la difesa e il controllo del giudice.

In questo senso la presunzione di innocenza costituzionalmente sancita perde la sua valenza rendendo inutile i tentativi del legislatore nell’utilizzare termini quali “persona sottoposta alle indagini” per evitare qualsiasi etichetta stigmatizzante anticipata.

L’attività dei media nel rappresentare i fenomeni criminali, sotto certi aspetti eticamente biasimevole, non è altro che la lente di ingrandimento attraverso cui trasmettere il nuovo modo di concepire la giustizia, figlia di sentimenti quali l’odio e il disgusto ha decretato il fallimento della cultura giuridica e dei valori miranti a prediligere il bene della vita e della dignità umana, sostituendoli con quelli della sicurezza esistenziale.

I mezzi di comunicazione di massa sono stati in grado di instaurare un vero e proprio “processo mediatico” che ha preso il posto di quello “giudiziario”, mirante a realizzare audience e non una meditata e rituale verità; del resto le notizie migliori sono quelle improbe poiché in grado di attirare l’attenzione della massa.

Infine è bene riconoscere che chiarire la cultura giuridica allo spettatore il cui errore è innanzitutto quello di concepire l’adeguatezza del diritto in base al proprio sentire ideologico, per di più ulteriormente compromesso dai fini dell’agire mediatico, implica la conoscenza dei principi posti alla base della costituzione italiana, oltre che un utilizzo più cosciente degli strumenti attraverso cui rappresentare il fenomeno criminale; poiché a volte è sufficiente mettersi nei panni dell’altro per riscoprire quell’indole empatica necessaria a comprimere una cinica intransigenza e a lasciare maggior spazio ad una sensibile tolleranza.