Bellezza e conoscenza

Bellezza e conoscenza
Oggi vi invito a fare un esperimento di pochi secondi: un test diciamo, “emotivo/sensoriale”, utilizzando la vista, la ragione e il cuore.
Parliamo di bellezza e di conoscenza.
A volte capita il classico colpo di fulmine con la bellezza.
Un quadro, un viso, un paesaggio, una musica ci ammaliano ed è subito piacere dentro di noi, quell’appagamento ancestrale, che la bellezza genera.
Altre volte però non è così.
Ad esempio, ci sarà successo di passare, con sguardo indifferente, davanti ad un dipinto in un museo, senza rimanerne particolarmente colpiti, per poi scoprire, magari grazie ad una guida, qualche dettaglio di quel dipinto o del suo autore, che ce lo fa vedere con occhi diversi e scopriamo un capolavoro prima ignorato.
Ecco in questo senso la conoscenza è precursore della bellezza, ne enfatizza il godimento (parola utilizzata nella legge sui beni culturali del 1939) e l’ammirazione che ne scaturisce, ci accompagna nell’esperienza dello stupore.
Lo sperimentiamo anche nell’approccio all’arte contemporanea, che sfugge i canoni tradizionali di bellezza, perché tratta di idee.
D’altronde la bellezza difficilmente si può catalogare, ma interpretarla ci aiuta ad apprezzarla.
Fu Platone a decretarne l’autonomia, affermando la possibilità di studiarla proprio grazie alle facoltà dell’intelletto e Hume ci ha insegnato che il contrario della bellezza non è la bruttezza, ma la rozzezza culturale e l’ignoranza emozionale.
Nonostante la bellezza sia presente e disponibile, la sua percezione potrebbe necessitare però di apprendimento per essere contemplata, tramite l’esperienza e la riflessione.
Questo meccanismo introspettivo può avvenire trasversalmente in molti campi: nell’arte, nella scienza, nella letteratura.
Immaginiamo ad esempio di assistere ad uno spettacolo di danza.
A prima vista, non avendo magari competenze specifiche, quei movimenti, interpretati in maniera così spontanea e fluida, potrebbero superficialmente sembrare quasi facili da eseguire. Ma se assistessimo alle prove, letteralmente al “dietro le quinte”, se avessimo contezza dello studio e della difficoltà dei passi e della coreografia, sicuramente godremmo lo spettacolo in modo più viscerale e ne saremo rapiti.
Nel contesto scientifico vale lo stesso.
Fermarci a meditare un secondo sulla straordinarietà quasi “magica” di un processo biologico del nostro corpo o della natura che ci circonda, che diamo per scontata, ci fa acquisire consapevolezza del miracolo che siamo e che viviamo.
Forse per gli animi più sensibili, sarebbe anche occasione di maggior rispetto di noi stessi e del creato, per dirla con Dostoevskij, «La bellezza salverà il mondo».
E nell’ammirazione della natura e della sua potenza generatrice, chi ha fede, come dice Sant’Agostino, può riconoscere l’opera di Dio “Anche la muta terra ha una voce: è la sua bellezza. Tu osservi e vedi la sua bellezza, vedi la sua fecondità, vedi la sua forza… e quello che scopri in essa, è la sua voce di lode che ti fa lodare il Creatore.”
Infine, a chi non è capitato di rileggere una poesia, dopo averne compreso l’analisi e gustarne quindi, a posteriori, l’effetto ed il significato creato dalle figure retoriche e dalla metrica oltre le parole? O ancora, scoprire il senso del testo di una canzone, che improvvisamente ce la fa amare a prescindere dalla melodia?
Tuttavia, non si può prendere la deriva verso la necessità di “decifrare” sempre la bellezza.
Per incantarci davanti a delle nuvole bianche nel cielo azzurro o al sorriso di un bambino, non abbiamo certo bisogno di avere contezza dei fenomeni atmosferici o dei processi neurologici che si attivano con un sorriso, ne godiamo istintivamente la meraviglia senza mediazione.
Come d’altro canto in certi casi ci è indifferente o sgradito, ciò che è sublime per altri, anche se ne conosciamo i dettagli più profondi. In questo caso, senza scomodare la kantiana differenza tra “mi piace” ed “è bello” potremmo più ironicamente citare il laconico ma efficace “non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace” del “Bertoldino” di G.C.Croce.
Ebbene, tornando all’inizio, vi chiedo di guardare per un attimo questo dipinto di Berthe Morisot.
Ora proviamo ad accompagnare la conoscenza, alla visione:
Berthe Morisot era “una ragazza riservata, che parlava a voce bassa, sottile come un giunco, occhi neri e profondi, che amava vestirsi di nero e all'ultima moda e leggere romanzi in voga” così la descrisse il suo amico e cognato Manet.
Era una donna con grande personalità che sfidava le convenzioni, tanto da essere l’unica pittrice a partecipare nel 1874 alla celebre mostra alternativa allestita nello studio del fotografo Nadar, in seguito alla quale si diede il nome alla corrente artistica dell’impressionismo.
Moglie e madre presente e tenera, si dedicò alla famiglia e alla figlia che ritrasse in numerosi dipinti.
Morì per malattia a soli 54 anni; la sua lapide reca una sola scritta, «Berthe Morisot, vedova di Eugène Manet», senza alcun accenno alla sua feconda carriera di artista; del resto, anche il suo certificato di morte reca la dicitura «senza professione».
Nonostante il suo sincero amore per la pittura en plein air, dove la luce era la protagonista, che modulava le pennellate brillanti e cromaticamente intense, Berthe Morisot ebbe alcune difficoltà a dipingere in luoghi pubblici, per i pregiudizi legati alla prerogativa maschile della pittura.
Maturò quindi una predilezione per il mondo domestico e femminile in cui ritraeva, con taglio fotografico, il microcosmo d’intimità familiare di grande ispirazione.
Con tocco fresco e leggero rappresenta i particolari delle vesti femminili, la grazia delle figure nella loro intimità o nella vita sociale. Il suo tratto dona immediatezza e spontaneità nel cogliere la fugacità dell’attimo, simbolo della fragilità dell’esistenza.
Nonostante le sue immagini restituiscano in genere una sensazione di gioia, non fu un'artista superficiale: un dato costante della sua arte fu infatti l’introspezione dei personaggi.
Se vi va, ora dedicate pochi secondi a riammirare il dipinto, ma con la consapevolezza di quanto sopra. Lo percepite con lo stesso animo?