Mario Nannini: la Meteora Futurista

Mario Nannini: la Meteora Futurista
Morire a ventitré anni è un bell'azzardo per un pittore; ma Mario Nannini la morte non l'aveva chiamata e non se l'era cercata, è vero che era in procinto di partire, in quell'autunno del 1918, per farne la conoscenza alla grande sui campi di battaglia, ma poi se l'era trovata improvvisamente accanto, tutta per lui e a domicilio, sotto le sembianze della micidiale “spagnola”, l'epidemia che fece più vittime della stessa guerra.
Nella breve esistenza (1895-1918) Nannini amò la pittura sopra ogni altra cosa e con tale impegno da riuscire a segnare una traccia in grado di mantenerne la memoria nel tempo. Cinque anni dedicati alla pittura e il resto affidato alla storia, grazie a centinaia di disegni e a una serie di cartoni dipinti spesso da tutte e due le parti. Cinque anni per disegnare animali e persone, dipingere paesaggi densi e succosi o figure ascetiche e scabre, ma anche elaborazioni futuriste nelle quali il suo mondo realissimo restava ben visibile in trasparenza. Sembrava che la sorte avesse condensato per lui il tempo, visto che glielo aveva segnato a brevissima scadenza. Un lustro di lavoro affrontato con decisione, senza sperimentazioni, indugi o dubbi, quasi possedesse l'esperienza come un dono innato che lo portava ogni volta a operare con l’ossessiva determinazione di voler concludere.
Quando, a dieci anni, era sceso a Pistoia da Buriano, un paesetto sulle colline di Quarrata a pochi chilometri dal capoluogo, aveva scelto le scuole tecniche, e poi l’Istituto <Buzzi> di Prato, seguendo il fermo proposito della madre, ostile più del comprensibile all'idea di un figlio pittore che immaginava destinato all'ostracismo e quindi alla miseria. Più volitivo degli amici pistoiesi, Nannini comprese presto che il centro culturale del momento si trovava nella vicina Firenze ed era quindi necessario misurarsi con chi agiva in quell’ambito. Le riviste dai nomi prestigiosi: <Leonardo>, <La Voce>, <Lacerba> eppoi la fiammata futurista, accolta, controllata e inquadrata secondo i loro intendimenti, da Papini e Soffici.
Ma non aveva fatto i conti con la propria natura schiva, di solitario, che per lavorare gli faceva preferire la quiete di Buriano alla dispersiva vita cittadina, né con la loro perplessità, e forse anche un po’ d’invidia, verso questo giovane tanto dotato di talento pittorico e così estremamente determinato nelle proprie scelte da restare indifferente alle critiche anche quando era lui a sollecitare un giudizio.
Trovavano i suoi quadri futuristi eccessivamente sofficiani ma lui ne giustificava la scelta:< Soffici è quello che più si avvicina alla mia indole di toscano, di campagnolo>, aggiungendo che anche ad altri aveva fatto ideale ricorso, per esempio al francese Jean Metzinger, già seguace di Ingres eppoi autore <Du Cubisme> e simpatizzante del futurismo italiano.
Come gli altri futuristi toscani, anche Nannini non pensò mai a uccidere il chiaro di luna, equiparare la Venere di Milo al radiatore di un'automobile o inebriarsi al mito della velocità. Sempre sull'esempio di Soffici, ma più di lui intimamente legato alla realtà contadina, vedeva l'esperienza futurista riconducibile unicamente al desiderio di un riappropriarsi dei valori pittorici, liberati da ogni possibile soggezione. È proprio allo scoppio della Prima guerra mondiale, nel 1915, che Nannini, come i suoi amici futuristi di retrovia, si appresta a dare il meglio di sé, e per tre anni l'impeto del nuovo impegno guidò il lavoro condotto in totale abnegazione. Nascosto nella sua Buriano, dove ogni volta tornava a rifugiarsi contando nella condiscendente protezione di una zia, visse l'esperienza futurista come un monaco la propria ascesi. < Era giovane, fine, signorile, quasi bello e innamorato della pittura> scrisse il suo amico Giulio Innocenti ricordandolo in un estroso volume, Il libro della via; forse con tutte queste doti, troppe, suscitò l'invidia degli dèi che lo reclamarono, avviando così la poetica leggenda di un fanciullo pittore, rientrato troppo presto nella dimora delle Muse. (Sigfrido Bartolini)- (MI 22 genn. 1996)
N.B. A differenza di quelli italiani, duole dirlo, alcuni musei americani, negli anni Cinquanta si aggiudicarono con previdente intuito una parte di queste opere, altre finirono in collezioni private