AMICI MIEI: Ardengo Soffici, Francesco Messina e Sigfrido Bartolini

Ardengo Soffici, Francesco Messina e Sigfrido Bartolini
Sigfrido Bartolini
Sigfrido Bartolini

AMICI MIEI: Ardengo Soffici, Francesco Messina e Sigfrido Bartolini
 

I piccoli salti di un merlo sul muro di cinta; il desiderio di dipingerli; l’assenza di un interlocutore rimpianto e la presenza di un amico, pittore.

Così Ardengo Soffici, Francesco Messina e Sigfrido Bartolini affiorano dalla memoria, dalla storia e fanno compagnia…

 

Sfoglio giornali, appunti, taccuini, i ritagli messi lì a stagionare qualche giorno, qualche settimana. Ci sono quelli che germogliano, altri si afflosciano. Sto “terziando” i miei argomenti come il giocatore napoletano passa in rassegna le sue carte. Soppesa, scarta, sceglie. Io non so giocare alle carte, ma quel gesto lo compio ogni settimana, qui sopra. A questo punto, immagino una lettrice, affezionata eppur severa, malignare: “Santerno è in crisi di spunti. Si sa, dopo tanto tempo”.

E invece, no. Soltanto non ho voglia di trattare quelli che ho trovato, ecco tutto. Il piagnisteo sulle sorti della patria comincia ad annoiarmi. Se crolla, se esplode, se s’affloscia, io non ci posso far niente. Se l’è voluto. Indulgerò all’intimo, al personale, al privato? Un mio caro amico dissente. Non hai il diritto, dice, d’infliggere al lettore i tuoi fatterelli. Ma Leopardi, che se ne intendeva, osservava che nulla interessa quanto le vicende personali di chi scrive Il privato, lui l’aveva in gran stima.

Intanto, sul muro del giardino, un merlo lucido e nero saltella piano e cauto. Fa tre piccoli salti, si ferma, muove il becco giallo a destra e a sinistra, e poi riprende la sua passeggiata.

Le case rosse, la siepe spoglia, il muro color ocra spento, il merlo nero, col suo becco giallo. Un quadro, penso. Ma il quadro sarebbe d’una ingenuità falsa, manierata, verrebbe fuori uno degli esecrabili naïfs. Come rifare la sapienza di quei piccoli salti, il colore lustro dell’uccello, tutta quella scena così naturale e semplicemente solenne? La natura ci manda instancabilmente il suo messaggio. Lei non ha soste. Col calmo respiro delle stagioni, è là. Siamo noi, che manchiamo.

Il rimpianto mi sale spontaneo: “Poterne parlare con Soffici”. Via via che avanzo negli anni, scopro che mi avvicino, non mi allontano, dai grandi amici scomparsi, anche da tanto tempo. Quando uno, da giovane, sceglie di prendersi per amici persone che hanno dai trenta ai cinquanta anni più di lui, a un certo punto si ritrova solo. Soffici avrebbe cent’anni, è passato un secolo da quando aprì gli occhi in quella casa della frazione Bombone, a Rignano sull’Arno, dove ora una lapide lo celebra “uomo di fede e d’onore che non conobbe la viltà, scrittore e pittore, donò grazia e poesia”. Non potevo lasciar finire quest’anno senza ricordarlo. Tuffo le mani nella cartelletta che contiene le sue lettere. “Sono tornato da Parigi”, scriveva nel novembre del 1959, “e ormai non mi muoverò più. Venga a trovarmi”.

Credo d’essere stato alla quarta o quinta generazione delle corse a Poggio a Caiano per incontrare quest’uomo fiero e incantevole.  Ecco una cartolina, del 9 settembre 1962, che mi accusa di “Traditore!”, con le firme. Erano venuti, lui e Francesco Messina, che con vent’anni di meno, ci faceva la figura del ragazzo. Dovevamo essere d’accordo di andare insieme a Venezia, ma io sbagliai data, e non c’ero. Salirono lo scalone elissoidale della casa bolognese, suonarono, attesero. Mandarono questa cartolina, che da allora mi provoca un attacco di rabbia retrospettiva. Soffici davanti all’uscio chiuso di casa mia. Non me lo perdonerò mai. Mi vien voglia di parlare di lui, e così domani andrò a Milano. Andrò da Messina, nella luminosa chiesa amorosamente ricomposta e riconsacrata alle forme di pure bellezza. Parleremo di Soffici, parleremo della mostra che Messina ha appena fatto a Monaco: opulenta, trionfale, col maggiore storico europeo dell’arte come illustratore: Hans Sedlmayr, che ha proclamato il nostro scultore l’ultimo dei classici.

E poi, andrò da Bartolini. “E’ un giovane che vale”, disse. Soffici non diceva di uno che stimava, che era un artista, un grande artista. Diceva che “soltanto i non artisti, i falsi artisti e i cattivi artisti parlano sempre di artista, di artistico, di vita d’artista. Il non artista, l’artista mediocre, quando ha un figlio, fa di tutto per farne un artista. Ci sono famiglie intere di tali ‘artisti’. Il padre scultore, la madre musicista, il figlio critico, la figlia pittrice. Tutto il contrario accade per l’artista autentico. Egli detesta la ‘vita d’artista’, l’artistico e ogni sorta di artisteria. Non parla d’arte che con qualche collega, di cui si fida”. Ecco perché diceva, parlando di Bartolini: “E’ un giovane che vale”. Bastava, c’era tutto. Ora Bartolini espone a Milano, nella galleria di via Amedei. Le case, i fiumi, il mondo che fu di Soffici rivive lì. Un’Italia pura, nobile e ferma, che esiste soltanto in sogno, o nel ricordo: nei quadri, nelle incisioni di Bartolini. Andrò anche da lui. Vedi come è fatto il balletto degli spunti. Il merlo nero, la natura, Soffici; amici miei, domani parliamo di lui.

 

Piero Santerno, da “Il Giornale”, 23 novembre 1979