Magritte e il surrealismo

Magritte
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Magritte e il surrealismo

 

Era stato definito “Surrealismo” un nuovo interesse maturato nella capitale francese con l’intento non proprio modesto di comprendere, interessare totalmente l’uomo attraverso le arti; in un certo senso reinventarlo per mezzo di un libero gioco di pensiero fine a sé stesso, sdoganandolo così da ogni preoccupazione logica, estetica e morale. Primo impegno: restituire piena libertà e potere assoluto al sogno, privilegiandolo sulla realtà, per lasciare che la mente vagasse senza costrizioni, spaziando a piacimento ovunque e operando scelte e ricostruzioni secondo una fantasia in grado di realizzare i desideri coltivando l’impossibile, l’assurdo, l’irreale.                                                          

Come accade per ogni teoria ritenuta nuova, gli esempi lontani non potevano mancare e proprio in pittura, era facile riconoscere un predecessore nientemeno che in Hieronymus Bosch, maestro di sortilegi figurati proposti quattro secoli prima. Comunque, stando al pensiero del capo riconosciuto del nuovo indirizzo, André Breton, ora veniva aggiunto qualcos’altro grazie alle scoperte della fisica e della psicoanalisi. Einstein e Freud irrompevano con le loro inquietanti scoperte anche nel campo dell’arte. Si teorizzò come interesse primario, un automatismo allo stato puro in grado di rivelare il meccanismo reale del pensiero, operante senza censure sulla tabula rasa predisposta dal dadaismo. Magritte fece sua questa offerta di libertà: un confortevole disordine si unì ad una inconsapevole evasione; con la logica scomparvero la forza di gravità, le dimensioni e la materia reale; l’ovvietà onirica poteva giustificare tutto. Addirittura, il dottor Freud finiva per battere il professor Einstein, come è giusto che la fantasia abbia la meglio sulla scienza.

La necessità. divenuta ineludibile per gli artisti da oltre un secolo, di affannarsi per trovare un  proprio timbro espressivo impegnò anche il giovane Magritte in una ricerca che prese l’avvio dal ricordo ancora vivo degli impressionisti, registrò l’irruzione  dei cubo-futuristi, le conclusioni dei dadaisti e infine la nascente novità del surrealismo.  De Chirico aveva dato un impulso importante al “Surrealismo” suggerendo una nuova dimensione, ma non aveva potuto trasmettere il proprio ingegno, le proprie notevoli qualità pittoriche. Quello che è l’impulso, la sospensione in una atmosfera ambigua, il mistero, il pathos che aleggiano nei dipinti del grande metafisico, per esempio, divengono in Magritte scialbe curiosità, gratuite escursioni nella stranezza.                                                   
Diceva di non apprezzare le teorie del dottor Freud ma in realtà tutta la sua opera non è che l’illustrazione distaccata per l’eventuale capitolo sull’attività onirica in un trattato di psicoanalisi. Tutto appare scialbo, inconcludente, inutile. Mediocre l’invenzione, il disegno, il colore. In cieli azzurri con batuffoli di bambagia, uso manifesto turistico, può galleggiare un isolotto dipinto con l’atroce dilettantismo di un pittore domenicale e il gusto da impiegato del catasto; sotto lo stesso cielo una discarica di bambole in rottamazione, un gran calice traboccante zucchero filato o due signori in bombetta e bastone da passeggio. Che noia! Quale differenza con le incombenti, fantastiche invenzioni di alta qualità pittorica realizzate da Alberto Savinio, tanto per fare un altro esempio in merito.  Non c’è traccia di atmosfera nei quadri del pittore di Lessines, non ci sono intenti pittorici, valori plastici o potenza evocativa, non li voleva ed è riuscito a restarne immune.                                            

Sembra che tutto sia così come deve o può essere: un uomo in bombetta, con una pipa posta di traverso al naso o con una colomba che gli copre il viso;   il fuoco appiccato a una tromba, dei piedi-stivali, o la ricorrente apparizione di una donna nuda, acefala o con la testa coperta, memoria riaffiorante passivamente dal suicidio della madre. La libertà, la vera realizzazione, insomma la totalità dell’uomo, sarebbero dunque da ricercarsi in una sorta di ebetismo dove tutto è possibile, nulla necessario e ogni cosa opinabile? E di contro: nessuna forza celeste o tellurica, nessun dramma, nessuna lotta? Magritte e i suoi amici hanno innalzato con estremo impegno un solenne monumento all’inedia.  Resta da spiegare il successo mondiale del Surrealismo, e di Magritte in particolare, che viene spontaneo assimilare a quello dell’americano Andy Warhol.  

È il fenomeno che immancabilmente si produce nel mondo moderno quando si riesce a dare un’ampia visibilità pubblica a un simbolo della mediocrità; il barattolo di conserva esaltato da Warhol è sintomatico. Nel caso di Magritte si aggiunga la capillare e oramai popolare invadenza raggiunta dalla psicoanalisi, con il riferimento all’interpretazione dei sogni in sede di analisi che oramai ha contagiato ogni strato sociale.   Un quadro di Magritte apparirà strano ma vi si possono leggere chiaramente gli elementi della composizione, e questo vale per tutti. I cosiddetti studiosi ci scriveranno sopra infinite storie che però interesseranno ben pochi, i più resteranno appagati dall’ovvietà mascherata dal nulla, scambiato per mistero, dall’incomprensibile preso per profondità. È una vecchia storia.

Articolo pubblicato il 18 aprile 2001