Bambini per un giorno

Cavallini, teatri, birilli, pupazzi, cerchi esposti a Treviso nella mostra dei giocattoli di legno
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Sigfrido Bartolini
Sigfrido Bartolini

Bambini per un giorno

Cavallini, teatri, birilli, pupazzi, cerchi esposti a Treviso nella mostra dei giocattoli di legno
 

(Lode ai collezionisti, anche quando ci appaiono maniacali per il loro spendere tempo e denari in cose che giudichiamo di poca o punta importanza, ma che poi finiscono invece per coinvolgerci stimolando ricordi, ricreando sensazioni e stati d’animo che pensavamo ormai dissolti dalla impietosa dittatura del tempo. A Treviso, nella sede dell’Azienda di promozione turistica, una mostra del giocattolo di legno (fino al 30 luglio) ci ha fatto ripensare con simpatia e gratitudine alla genia composita dei collezionisti.)                                                                                                                                                  

È probabile che i giocattoli li abbiano inventati i ragazzi: il primo che ha lanciato in aria o contro un bersaglio una canna per imitare la lancia paterna, o la prima che ha stretto al seno un involto di stracci, per ripetere il gesto della madre che culla il fratellino, hanno suggerito, naturalmente, una sostituzione innocente ai giochi consapevoli, e magari crudeli, degli adulti. Assieme ai reperti archeologici di civiltà sepolte, si sono trovati spesso anche i giocattoli dalla Cina all’Egitto e dalla Grecia a Pompei, i balocchi restano a testimoniare il bambino di sempre e ovunque, prima che i diversi ordinamenti sociali ne differenziassero i caratteri secondo la civiltà che li esprimeva. I giocattoli sono fatti per i bambini, ma spesso l’adulto si diverte a inventarli e magari li fa più a propria misura che non a quella di chi dovrà usufruirne; nel catalogo della mostra trevigiana, edizioni De Luca, ci viene ricordato che si interessavano ai giocattoli: Archimede, Archita, Aristotele e i primi due ne fabbricarono di mirabili azionati da ruote e molle, giocattoli per stupire più che per divertire il bambino.                                                                                                                                              

In questa mostra troviamo diverse specie di giocattoli e di giochi, dal cavallino di legno intagliato dalle inesperte mani del nonno contadino, che alterando le proporzioni ne ricava un animale inquietante e di rara efficacia, tale da far impallidire le maldestre caricature equine del celebrato Marino Marini, ai precursori degli odierni flipper e slot-machine, quando ancora il gusto e la sapienza manuale avevano un peso e davano un risultato. Quanta scultura moderna appare goffa e priva di senso, paragonata a queste forme elementari e fantastiche, inventate o suggerite, fiabesche e realistiche, come troviamo in un gruppo di birilli in legno naturale, capaci di suggerirci una sintesi stupefacente delle statuette di Tanagra. Eppoi trottole, cerchietti, pupazzi e splendidi teatrini “Guignol” che farebbero la gioia di Guido Ceronetti.                                                                                

Spontaneamente o costretti, i bambini continuano a imitare gli adulti e così la fantasia sembra aver abbandonato anche il mondo dell’infanzia; cacciati dalla strada con sempre meno verde a disposizione e sempre meno tempo per vivere la loro innocenza, consumano ormai le ore di quelli che dovrebbero restare nel ricordo come i giorni più belli, parcheggiati davanti  all’onnipotente rintronacervelli, a subire ignari e istupiditi lo stupro che su di loro consuma il piccolo schermo, conniventi gli indaffarati genitori. Oggi i bambini vengono sommersi di giocattoli fin dalla nascita, non ci si presenta per una visita dove c’è un bambino senza un pupazzo di peluche o qualche aggeggio di plastica dai colori sgargianti che i bambini, dopo un primo fugace approccio, lasciano nel cesto dove la madre ha finito per riporli. Finché in loro funzionano gli istinti trovano molto più divertente e fantastico svuotare la cassetta degli arnesi del babbo o la borsa della mamma, per far assumere a ciò che trovano gli aspetti che desiderano e continuare la fiaba.                                                                

Nel mondo moderno la durata della vita umana è sta allungata, ma il tempo dell’infanzia è stato invece cinicamente accorciato. Occorre aver superato i cinquant’anni per ricordare le strade vuote dove poter correre mandando il cerchio o con in mano il filo di un minuscolo aquilone fatto con un foglio di quaderno. È divenuto estremamente difficile fare il bambino o il ragazzo al giorno d’oggi: l’asilo-nido, la scuola, la palestra, la piscina, il judo, il tennis, la danza, la lezione di musica, l’apprendimento di una lingua in più. Ma che cosa vogliamo fare di questi ragazzi, in attesa che s’innamorino di un computer, precoci volontari robot pronti per la chiamata nel mondo sempre più opaco degli adulti.                                                                                                                                      

Ha più di un merito questa curiosa mostra del giocattolo di legno, allestita nel bel palazzo Scotti di Treviso, il piacere di farci ritrovare, sia pure per un istante, con il fanciullo ormai sepolto in noi; ammirare la bellezza degli esemplari esposti, dovuti all’intelligente raccolta e al generoso prestito da parte di collezionisti reperiti in varie parti d’Italia, e il constatare quanto anche il giocattolo abbia perduto in poesia e bellezza via via che si avvicinava al nostro tempo. Tante constatazioni, una dopo l’altra, che finiscono per ripresentarci l’angosciante interrogativo, se sia proprio necessario e giusto continuare per una strada che ormai, consci o meno, percorriamo sempre più in fretta, impauriti anche solo all’idea di guardarci attorno e magari riudire la voce, fatta più fievole e stupita, dell’antico saggio orientale che continua domandarci: “Ma voi, quando vivete?”.

da “Il Giornale” del 17 giugno 1994