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Il Doganiere Rousseau

Rousseau-Femme se promenant dans une foret exotique
Rousseau-Femme se promenant dans une foret exotique

«Non so se voi siate come me – probabilmente, anzi di certo, no – ma io adoro quella pittura che le persone intelligenti dicono stupida. (…) È la pittura degli uomini semplici, dei poveri di spirito, di coloro che non hanno mai visto i baffi di un professore. Imbianchini, muratori, ragazzi, verniciatori, pecorai, mezzi pazzi, e vagabondi. (…) Mi ricordo, per esempio, di un cartellone di cocomeraio, per il quale avrei dato senza discussione – valore commerciale a parte – la Madonna delle arpie d’Andrea del Sarto, l’Assunzione del Murillo (…), il Matrimonio della Vergine di Raffaello, per codesto cartellone!».

Sono parole di Ardengo Soffici, scritte nel 1910 a introduzione di un articolo dedicato al Doganiere Rousseau, uscito sulla “Voce” di Prezzolini. Quando si lasciava andare a una simile testimonianza di stima per la pittura popolaresca, Soffici non poteva prevedere che proprio quel genere di pittura avrebbe avuto un futuro, che quei modestissimi pittori sarebbero stati inquadrati e classificati come naif e avrebbero riscosso successi, interessato critici e mercanti e visto promuovere mostre e musei a loro dedicati.

Henri Rousseau (1844-1910), detto il Doganiere, perché questo era il suo mestiere (lavorava infatti al Dazio di Parigi), per l’avanguardia del Novecento rappresentò un caso, e un caso è rimasto nella storia dell’arte; Apollignaire ne indica subito il talento, Picasso ne compra un quadro, altri due li acquista Soffici assieme a 18 disegni, metà dei quali li regala all’amico Ferat (Sergei Jatstregof), e il tedesco Wilhelm Uhde scrive un libro, 1911, per celebrare, senza enfasi e senza esagerazioni (come invece avverrà in seguito), il talento popolaresco dell’ex gabellotto.

il Doganiere Rousseau - Foto
il Doganiere Rousseau - Foto

Per l’avanguardia rappresentò una nuova acquisizione di valori in linea con l’idea di un ritorno alle origini e a una spontaneità che forse la gente semplice, quale Rousseau, poteva ancora possedere e dalla quale l’arte aveva tutto da guadagnare.

In seguito, oltre cinquant’anni dopo, scattò forse da parte del pubblico un’adesione verso la pittura naif come reazione contro le tante elucubrazioni intellettualistiche, i sofismi trasformati in quadri, il volutamente, artatamente complicato, tutto questo sollecitato e confortato dalla speculazione di mercato concertata dalla solita cricca di critici dal palato facile in combutta con mercanti di pochi scrupoli.

È a questo punto che i pittori naif, maschi e femmine, divengono legioni; non solo, il balbettio popolare, l’espressione degli incolti viene imitato dai professori d’Accademia, la naiveté si studia a scuola, è un nuovo Dada che torna, la “pittura stupida”, di sofficiana memoria, ora piace alle “persone intelligenti”.

Rousseau - Moi meme
Rousseau - Moi meme

Quando una civiltà ha concluso il suo ciclo, quando tutto è già stato fatto e sperimentato, ogni scoperta che sappia di novità è destinata prima o poi al successo, e la possibilità del successo facile stimola la mediocrità che ha legioni di adepti sempre all’erta per una possibile chiamata. Se la necessità di una soluzione si avverte, eccome, nella pittura dei professionisti, in quella dei naif è d’obbligo e bisogna riconoscere che resta ben poco dopo un vaglio attento e disincantato. Episodi, come quello eccezionale di Rousseau, ma anche di un Orneore Metelli o di Ligabue, sono rarissimi, il resto, anche quando è autentico, è spesso noia, ripetitività senza garbo né grazia e, quasi sempre, senza vita.

L’astruso, il curioso e lo stravagante, nel naif sconfina presto nell’avvilente stupidità e proprio della specie insopportabile. Soffici nell’articolo su Rousseau, scritto nel 1910, dopo avere esordito nel modo che abbiamo riportato, inquadra la personalità del Doganiere con una misura tanto precisa, quanto inattesa dopo il preambolo, misura che era la stessa di Apollinaire, ed è anche la stessa di Wilhelm Uhde che nel libro dedicato a Rousseau nel 1911, scrive: «Rousseau vede gli uomini e le cose in modo diverso da noi. Un paesaggio sveglia in noi una folla di reminiscenze filosofiche, pittoriche, letterarie, scientifiche (…). L’afferriamo subito in tutta la sua chiarezza, ed è per noi senza mistero. Rousseau è in faccia alla natura come un bambino ... La natura ha conservato per lui tutti i suoi veli (…) i suoi quadri sono dal punto di vista documentario, poco interessanti (…) ma s’alzano in un modo strano e affascinante al di sopra della realtà per prendere una figura d’avventure personali».

Ma la porta aperta con tanta baldanza lascerà via libera ai superficiali, agli incompetenti e ai profittatori, pronti ad appropriarsi delle scoperte altrui, gridare al miracolo e decisi a spingere talmente oltre ogni possibilità consentita, tanto da far meditare sull’eterno pericolo insito nel sollevare il coperchio al vaso di Pandora, definibile nel nostro caso, le colpe del precursore.

A difesa del gesto primario restano le parole del fauve ravveduto Maurice Vlaminck: «…i fratelli Wright, per aver volato per la prima volta in aeroplano nel campo di Anvours, non sono responsabili degli incidenti aerei che succedono ogni giorno». Ci sembra un’accettabile difesa.

È proprio del nostro tempo, privo di maestri, la caratteristica di confondere le carte in tavola ed esasperare le tendenze; fare di tutt’erba un fascio e immettere, in faccende a questo negate, il rullo livellatore di una peraltro male intesa democrazia, che non riconosce diversità, scale di valori e di qualità. Nella confusione di princìpi e di lessico che ne deriva può capitare di sentir parlare del semplice, modesto e geniale Rousseau come di uno studioso che si nutriva di antichi maestri frequentando le sale dei musei, di un pittore che si muoveva nella cerchia di Apollinaire e di Picasso, e via confondendo, ammirandone quindi una levatura culturale che, grazie a Dio, neppure si sognava.

Certo, in un momento quale il nostro, quando tutto è possibile e tutto è permesso, quando le maggiori rassegne internazionali d’arte si rivelano una sorta di caravanserraglio espressione di una umanità che si ritrova e si riconosce nel caos e nella follia demenziale, ci sembra inutile domandarci come è stato fatto, se questa dei naif “sia buona o cattiva pittura, arte o folklore”; francamente ci sembra che interessi poco, coi barbari dentro casa, discettare se la parola amore convenga scriverla in greco o in latino, in questo senso la storia è già stata ben chiara.

Rousseau - Giungla con scimmie che mangiano arance 2
Rousseau - Giungla con scimmie che mangiano arance 2
Rousseau - L'incantatrice di serpenti
Rousseau - L'incantatrice di serpenti
Rousseau-Nozze in campagna 1905
Rousseau - Nozze in campagna 1905