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Il legal design – Il diritto su misura

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Il legal design – Il diritto su misura

Assistiamo sempre più spesso ad una stratificazione normativa che nel definire diritti e doveri, oneri ed obblighi manca di chiarezza. È spesso assente quel significato palese delle parole, che l’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale (cod. civ.) pone come primo criterio interpretativo: ciò che la legge vuole dire lo dice.

Un singolo articolo di un atto normativo, ma non solo, contiene, infatti, numerosi rinvii ad altre norme e queste ultime, a loro volta, rinviano ad altre leggi.

Nasce così un circolo vizioso, quasi una danza infinita, che non essendo immediatamente fruibile dai destinatari, richiede una particolare attenzione e dedizione da parte dei giuristi, soprattutto se sono all’interno di contesti organizzativi multidisciplinari e i fruitori delle norme non sono tecnici del diritto.

Le parole ed il linguaggio diventano dunque fondamentali per veicolare concetti complessi, non solo per ricostruire ed interpretare la norma, ma soprattutto per renderla fruibile.

Ed è qui che nasce l’importanza del legal design, un approccio al diritto multidisciplinare, nel quale la progettazione, l’architettura, la definizione e la scrittura, anche di norme interne, necessitano di semplificazione ed innovazione.

Semplificare il linguaggio tecnico richiede, per alcuni, una sorta di atto di coraggio, in quanto occorre spogliarsi del c.d. legalese rinunciare ai tecnicismi, ai brocardi, alle frasi auliche e, di conseguenza, significa perdere credibilità professionale. Ma è davvero così?

Il legal design va guardato e visto, invece, come una grande opportunità che restituisce la trasparenza necessaria ai contenuti delle norme e consente all’organizzazione di eliminare la frammentarietà e la disomogeneità della comunicazione, ottimizzandone i processi.

È possibile quindi rendere “seduttivo” il diritto? Sedurre deriva dal latino sedŭcere, che vuol dire condurre a sè. Con tecniche e strumenti logici, il legal designer costruisce un servizio vicino agli utenti. Si traduce in un lavoro sartoriale, attraverso l’uso di un linguaggio semplice, di immagini e di mappe concettuale

Quindi sì, il diritto può sedurre.

Bruno Munari [1] scriveva che il “designer è un progettista con un elevato senso estetico”, concetto che applicato al legal, significa usare un processo logico, accompagnato all’estetica, che è legata alla percezione e al sentire degli interlocutori.

Certamente il diritto ha delle infrastrutture che non consentono l’uso della fantasia e della creatività senza limiti, ma progettare con un forte senso estetico la fruizione delle norme vuol dire costruire una comunicazione al centro della quale c’è l’altro.

Il “legalese” non scomparirà mai, l’uso tra tecnici che si misurano su uno stesso piano di conoscenza è senza dubbio necessario, conta di più puntualità, sebbene anche in quei casi sia auspicabile una semplificazione del linguaggio, dei concetti ed una certa sintesi.

Semplificare non significa delegittimare o banalizzare.

In una sentenza della Corte di Cassazione (sent. 21297/2016), possiamo leggere che “la smodata sovrabbondanza espositiva degli atti […] non soltanto grava l’amministrazione della giustizia e le controparti di oneri inutili, ma […] avvolge gli stessi in una cortina che ne confonde i contorni e ne impedisce la chiara intelligenza”

Un linguaggio fruibile, chiaro ed intellegibile stabilisce una connessione con l’utente finale imprescindibile e che porta a diseconomie inutili.

È più importante “sentirsi bravi” o comunicare efficacemente?

[1] Designer, artista e scrittore