Il vizio funzionale utile ex art. 1669 C.C.
Il vizio funzionale utile ex art. 1669 C.C.
Abstract
The following paper aims at reaching the goal to sum up the most important and interesting principles of law of a recent decision concerning the contract field (Article 1669 Italian Civil Code).
Introduzione
Il contratto di appalto si qualifica come contratto bilaterale ad effetti prevalentemente obbligatori. La dottrina (e, con essa, la giurisprudenza), tuttavia, si è spinta oltre, approfondendo in modo più sottile la questione. Il contratto di appalto – contratto generalmente definito “ad esecuzione prolungata” – è stato, infatti, ritenuto idoneo a produrre anche effetti reali, seppur, secondo alcuni, solo in via accessoria o strumentale. Le peculiarità discendenti dalla classica sequenza “causa, struttura, effetti” non sono le uniche degne di nota. Basti pensare alla circostanza secondo la quale l’appalto si inserisce, di pieno diritto, nel terreno dei contratti capaci di dar vita alle cd. responsabilità “doppie” sia contrattuali che extracontrattuali. Ci si riferisce, in questo caso, all’art. 1669 cc. “[rubrica: Rovina e difetti di cose immobili] Quando si tratta di edifici o di altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, se, nel corso di dieci anni dal compimento, l’opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l’appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purché sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta. Il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denunzia”. Il riferimento al decennio aveva subito indotto gli studiosi ad identificare la norma come foriera di responsabilità contrattuale. Pur tuttavia, il principio di relatività del contratto ex art. 1372 cc. ha reso difficile accettare de plano tale versione. Infatti e come si è già avuto a più riprese modo di chiarire in altre sedi, l’appaltatore, seguendo questa impostazione, dovrebbe comunque essere chiamato a rispondere per i danni derivanti da rovina di edificio anche nei confronti di soggetti terzi, estranei allo schema contrattuale. Non sarebbe, allora, più semplice parlare di responsabilità extracontrattuale, piuttosto che operare delle ricostruzioni che giustifichino il coinvolgimento dei terzi? Il soggetto ritenuto responsabile (e, dunque, giudizialmente aggredibile), infatti e come è stato sostenuto tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, risponde quasi esclusivamente in virtù della sua qualifica di appaltatore, evocando così la tematica della responsabilità oggettiva. La predetta tesi trova conferma nel rapporto esistente tra l’art. 1669 cc. e l’art. 2053 cc. Le due norme non si sovrappongono più che altro in ragione della legittimazione processuale dei soggetti chiamati a rispondere: appaltatore nell’art. 1669 cc.; committente/padrone nell’art. 2053 cc.
I principi di diritto più rilevanti
Inquadrate, seppur brevemente, le principali questioni che hanno interessato il contratto di appalto, si coglie l’occasione per riportare alcuni utili principi di diritto espressi nella recente Ordinanza della Corte di cassazione n. 18061 del 23 Giugno 2023.
- “[…] Va richiamato il condiviso principio, secondo il quale in tema di responsabilità extracontrattuale dell’appaltatore, il difetto di costruzione che, ai sensi dell’art. 1669 cod. civ., legittima il committente alla relativa azione, può consistere in una qualsiasi alterazione, conseguente ad un’insoddisfacente realizzazione dell’opera, che, pur non riguardando parti essenziali della stessa (e perciò non determinandone la “rovina” od il “pericolo di rovina”), bensì quegli elementi accessori o secondari che ne consentono l’impiego duraturo cui è destinata (quali, ad esempio, le condutture di adduzione idrica, i rivestimenti, l’impianto di riscaldamento, la canna fumaria), incida negativamente ed in modo considerevole sul godimento dell'immobile medesimo (Sez. II, n. 11740, 01/08/2003, Rv. 565595; conf. Cass. n. 8140/2004) […]”.
- Premesse tali considerazioni, può essere richiamato il seguente principio di diritto: “[…] il danno alle condutture esterne, ove non incida negativamente ed in modo considerevole sul godimento dell'immobile, non costituisce difetto costruttivo ai sensi dell’art. 1669 cod. civ. […]”.
Una lieve critica
Pur essendo pregevoli i principi di diritto poc’anzi espressi, appare evidente la difficoltà definitoria dei difetti realmente rilevanti ai sensi dell’art. 1669 cc.
- Qual è la reale entità del danno che consente di invocare la tutela offerta dalla norma?
Con riferimento al caso concreto oggetto di interesse, è stato chiarito quanto segue: “[…] Nel caso in esame, per vero, non consta esservi stato alcun riflesso negativo sul godimento dell’immobile, il quale ha regolarmente goduto della fruizione dell’acqua potabile, stante che il guasto consistito, in una lesione di un giunto esterno del tubo d’adduzione, sebbene ebbe a procurare dispersione idrica, senza tuttavia causare danni all’immobile (non vengono segnalati fenomeni d’infiltrazioni), allo stesso tempo, non impedì, e neppure limitò, l’afflusso d’acqua per i servizi idrici dell’immobile […]”;
- Analizzando il passaggio poc’anzi evidenziato e sottolineato, appare opportuno precisare che il vizio “utile ex art. 1669 cc.” non è soltanto un vizio identificabile sotto un profilo “quantitativo” bensì anche sotto un profilo “qualitativo/funzionale”. Occorre, in altri termini, andare oltre il grado visivo/quantitativo del danno e valutare la capacità di incisione sul godimento dell’immobile.
Conclusioni
In conclusione, sarebbe auspicabile un intervento giurisprudenziale e/o dottrinale, volto a riassumere per punti, aggiornando i precedenti giurisprudenziali già esistenti sul tema, le caratteristiche che il “vizio ex art. 1669 cc.” deve avere ai fini risarcitori.