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Infortunio sul lavoro: responsabile il privato committente se sceglie male l’impresa

Palo Bianco, Donnalucata - Scicli
Ph. Simona Loprete / Palo Bianco, Donnalucata - Scicli

La vicenda

La questione rimessa al giudizio della Corte di Cassazione Penale trae spunto dall’impugnativa della sentenza con la quale il giudice di secondo grado assolveva l’imputato dal delitto di cui all’articolo 590 comma 2 Codice Penale non ritenendolo colpevole, in qualità di committente dei lavori di intonacatura del fabbricato di civile di nuova realizzazione su terreno di sua proprietà, delle lesioni personali gravi occorse alla parte civile a causa della caduta di quest’ultima da un ponteggio predisposto non a regola d’arte ed in assenza dei presidi antinfortunistici previsti per legge.

Parte ricorrente, infatti, lamentava in particolare come la Corte di Appello, pur riconoscendo la suindicata qualità dell’imputato come committente delle opere, ne avesse escluso la responsabilità penale sul mero presupposto che lo stesso non potesse ritenersi il datore di lavoro della persona offesa, in tal modo palesemente eludendo il disposto di cui all’articolo 89 del Decreto Legislativo n. 81 del 2008.

La Corte Suprema, dunque, in totale riforma della sentenza impugnata rilevava anzitutto come il ragionamento del Giudice di seconde cure si ponesse in evidente contrasto con l’evoluzione della disciplina normativa e della giurisprudenza di legittimità espressamente riportate nella pronuncia oggi in commento e, pertanto, annullava la stessa sentenza rimettendo la causa dinanzi al giudice di appello per una rivalutazione della questione.

 

La responsabilità del privato committente non professionale ed i suoi elementi costitutivi

La pronuncia in esame – Cassazione Penale – Sezione Quarta – sentenza n. 46833 del 22 dicembre 2021 – si sottopone alla nostra attenzione per la disamina, veramente chiara e completa, che i Giudici penali della Corte Suprema ci offrono in merito alla figura del committente privato o, per intenderci, quello non professionale che nella generalità dei casi corrisponde al proprietario dell’immobile presso il quale si svolgano dei lavori o delle opere appaltate a terzi.

Le conclusioni, dunque, cui giungono essi Giudici non sono di poco conto a fronte di una problematica di notevole rilevanza pratica quale è, appunto, quella della determinazione della soglia di rischio per tale soggetto nella eventuale causazione di danni in conseguenza di un infortunio sul lavoro.

La Corte ci ricorda anzitutto come la figura del committente sia attualmente delineata dal Decreto Legislativo 9 aprile 2008 n. 81, articolo 89, comma 1, lett. b) che sotto la rubrica “Definizioni” lo individua come il “soggetto per conto del quale l’intera opera viene realizzata, indipendentemente da eventuali frazionamenti della sua realizzazione”.

In definitiva, dunque, possiamo dire che nella lunga e complessa elaborazione della normativa in materia di sicurezza sul lavoro si sia giunti alla determinazione del committente con ritardo rispetto ai primi interventi legislativi in materia, dal momento che in molti di quelli precedenti (si ricordino, in particolare, il D.P.R. n. 547 del 1955, il D.P.R. n. 302 del 1956 ed il Decreto Legislativo n. 626 del 1994) il legislatore nella individuazione del soggetto responsabile per gli infortuni sul lavoro ha inteso riferirsi unicamente al datore di lavoro, senza alcun richiamo, né espresso né tanto meno tacito, al committente privato.

In tal modo, quindi, si è voluto chiaramente ancorare il valore della sicurezza sul lavoro e le conseguenze in termini di responsabilità per i danni conseguenti unicamente al rapporto di lavoro che legava il soggetto danneggiato al proprio datore di lavoro, escludendo da ogni possibile rischio il soggetto appaltatore, quasi che lo stesso, soprattutto se ed in quanto privato cittadino e dunque non professionalmente edotto delle dinamiche dei lavori da eseguirsi, una volta conferito l’incarico non fosse più chiamato ad alcuna forma di responsabilità.

La Corte Suprema peraltro rammenta in proposito come addirittura sia stata la propria giurisprudenza ad avallare apertamente questa primigenia posizione normativa, coinvolgendo il committente nella sfera di responsabilità comunque ascrivibile al datore di lavoro “solo quando il medesimo travalicava il ruolo di semplice conferimento delle opere, ingerendosi nell’organizzazione per la loro esecuzione.

Vi è a dirsi, in verità, come sia stata però proprio la Cassazione ad introdurre, in maniera sempre più incisiva, il concetto della responsabilità, o anche solo della corresponsabilità, del committente nella causazione di eventi lesivi in costanza di lavoro, sia pure limitandolo a casi ed ipotesi conclamati di sua colpevolezza.

Così, ad esempio, egli è stato di volta in volta coinvolto o perché abbia impartito direttive e/o ordini dalla cui esecuzione fosse derivato poi il fatto lesivo, o per avere egli stesso direttamente conferito progetti che siano risultati poi fonte di pericolo, ovvero quando egli abbia commissionato o consentito l’inizio dei lavori pur in presenza di situazioni di fatto parimenti pericolose od ancora quando abbia avvalorato lo svolgimento di opere in un cantiere gestito dall’appaltante o su strutture o con strumentazioni che gli appartengono e che il medesimo avesse l’obbligo di mantenere in efficienza.

Queste fattispecie, tuttavia, vengono oggi riprese testualmente dagli Ermellini nella sentenza in commento con il puntuale riferimento delle corrispondenti pronunce emesse nel tempo solo per confutarne i presupposti di responsabilità e per distanziarsi apertamente dalle precedenti posizioni assunte in materia dalla stessa Corte Suprema.

I Giudici di legittimità, infatti, richiamano in applicazione il mutamento legislativo che sul tema è intervenuto dapprima con il Decreto Legislativo n. 494 del 1996, al cui articolo 2, comma 1 lett. b) si deve finalmente l’introduzione della figura del committente, e di seguito con il citato articolo 89 comma 1 lett. b) del Decreto Legislativo n. 81 del 9 aprile 2008 che, come detto, rappresenta il dato normativo attuale ed effettivamente vigente.

La Corte, invero, ci ricorda come sia stata in particolare la sentenza, sempre della Quarta Sezione penale, n. 44131 del 15 luglio 2015 a sancire l’avvenuta “trasformazione della figura del committente nella normativa e nella giurisprudenza da soggetto privo di autonoma responsabilità a soggetto che riveste responsabilità proprie (oggi descritte dal Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 90)”.

Ovviamente, lo sforzo ermeneutico compiuto anche oggi dai Giudici di legittimità, sia pure nel solco di una giurisprudenza ormai consolidata sul tema, porta ad enucleare il principio fondamentale di diritto che deve regolamentare l’eventuale sussistenza di responsabilità in capo al committente, nella ricerca di un sistema che coniughi la necessità di tutelare il lavoratore ed il valore insopprimibile della sicurezza sul lavoro rispetto alla volontà di non pregiudicare il privato che, in quanto tale, si affidi alla professionalità di imprese e soggetti (direttore dei lavori, responsabile per la prevenzione e la sicurezza, ecc. ) che hanno, o devono avere, le capacità e le competenze tecniche per garantirlo da eventuali pericoli e/o rischi.

Ecco dunque perché, secondo la Corte, “il principio generale, secondo cui il dovere di sicurezza gravante sul datore di lavoro opera anche in relazione al committente, debba essere precisato, nel senso che dal committente non può esigersi un controllo pressante, continuo e capillare sull’organizzazione e sull’andamento dei lavori” con la conseguenza che “ai fini della configurazione della responsabilità del committente, occorre verificare in concreto quale sia stata l’incidenza della sua condotta nell’eziologia dell’evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l’esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell’appaltatore o del prestatore d’opera, alla sua ingerenza nell’esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d’opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo”.

La Corte, pertanto, nel fare proprio questo principio dimostra inequivocabilmente la sua volontà di tutelare e garantire la posizione del cittadino-utente-proprietario che, ovviamente in perfetta buona fede e nel rispetto del precetto generale di diligenza, si sia adoperato fattivamente per far sì che i lavori commissionati a terzi si svolgano regolarmente e senza rischi per la salute dei lavoratori.

Anzitutto essa Corte, nel delineare propriamente la figura del committente, evidenzia, sotto un profilo squisitamente terminologico, come al di là della definizione normativa ricordata, sia tale colui per conto del quale l’opera viene realizzata, dovendosi intendere l’espressione “per conto” equivalente sia a “per incarico di” oppure a “in nome di” oppure ancora “a favore di”.

I Giudici di legittimità, quindi, sottolineano opportunamente come debba trattarsi, in ogni caso, di un soggetto che abbia interesse alla realizzazione dell’opera o perché ne ha stipulato il contratto o perché se ne avvantaggia dalla sua realizzazione o ancora perché è tenuto a tanto giuridicamente ovvero sia stato, più semplicemente, delegato ad occuparsene, in forza ovviamente di un valido ed efficace titolo di rappresentanza spendibile nei confronti di terzi.

Si tratta, dunque, di una definizione che, almeno sotto il profilo della sicurezza sul lavoro, si sovrappone alla generalissima figura civilistica del committente quale soggetto che commissioni un lavoro ad altri e che finisce per essere contraddistinta dall’incidenza che assume la condotta della persona sia nell’eventuale individuazione di un contraente inadeguato che nella possibile ingerenza nell’esecuzione del contratto.

Secondo la Corte, pertanto, solo in presenza di queste condizioni di fatto si può giungere a declinare, in capo al committente privato, un giudizio di colpevolezza per eventuali fatti lesivi della sicurezza, non essendo logico richiedergli tout court un pressante e continuo controllo sull’opera il cui svolgimento egli ha affidato a terzi per il concomitante legittimo esercizio di funzioni tecniche e di verifica da parte delle figure professionali appositamente indicate dal Legislatore.

D’altra parte, quasi a costituire un contraltare a questo condivisibile e corretto concetto di fondo, pur rimanendo fermo il potere di esso committente privato alla risoluzione del contratto di appalto in caso di inadempimento anche sotto il profilo degli obblighi in materia di sicurezza sul lavoro, a parere della Corte non si può prescindere dall’esigere, da parte sua, un alto profilo di diligenza nella delicata attività di scelta dell’appaltatore o del prestatore d’opera cui affidare i lavori.

Secondo i Giudici di legittimità, infatti, questo è un onere specifico rimesso alla sfera di controllo e decisione del committente non professionale, non solo perché previsto dall’articolo 90 comma 9 del Decreto Legislativo n. 81 del 2008 ma anche e soprattutto perché impostogli dalla sua scelta contrattuale.

I Giudici di legittimità, invero, in proposito richiamano espressamente il concetto della culpa in eligendo del committente quale primaria fonte di responsabilità civile per danni a terzi evidentemente determinatisi proprio a causa dell’avvenuto incauto affidamento dell’opera ad appaltatore inidoneo.

Ricordiamoci sempre, peraltro, come questo indirizzo non sia isolato avendo la Corte di Cassazione dimostrato nel tempo la propria inequivoca posizione di garanzia del bene insopprimibile della salute sui luoghi di lavoro; così ad esempio con sentenza n.36581 del 21.09.2009 nel caso in cui le misure antinfortunistiche non siano state adottate ha punito severamente il proprietario dello stabile che abbia commissionato i lavori ad un operaio singolo e non ad una ditta specializzata.

La Corte Suprema in passato è andata anche oltre sancendo l’ininfluenza giuridica della ignoranza della legge penale in tema di sicurezza sul lavoro, dal momento che, con sentenza n. 7209 del 21.02.2007 della sua Terza Sezione Penale, ha letteralmente affermato che non “è possibile scusare chi è tenuto ad osservare prescrizioni minime di sicurezza da attuare nei cantieri edili temporanei senza informarsi delle leggi penali che disciplinano la materia, incombendo all’interessato l’onere di verificare la conformità della condotta alle norme di sicurezza”.

Da sempre, dunque, essa Corte è assurta ad autentico paladino del valore sicurezza condannando senza mezzi termini il committente per l’infortunio mortale sul lavoro per non avere controllato opportunamente l’operato del coordinatore (Cassazione Penale Sez. IV - Sentenza n. 7714 del 20 febbraio 2008), o addirittura spingendosi a considerare il committente persino datore di lavoro dei lavoratori dipendenti della ditta appaltatrice laddove questa risultasse priva di una effettiva organizzazione tecnica (Cassazione Penale Sez. IV - Sentenza n. 29423 del 16 luglio 2008) per finire con il riconoscere sempre il committente perno della sicurezza in presenza di cantieri solo temporanei o mobili (Cassazione Penale Sez. III - Sentenza n. 28774 del 7 luglio 2003 e, conforme, Cassazione Penale Sez. III - Sentenza n. 21995 del 19 maggio 2003).

La conclusione, invero, di questo univoco percorso giurisprudenziale di legittimità è una soltanto: la sicurezza sul lavoro è un bene pubblico troppo importante perché non vengano coinvolte a sua difesa tutte le categorie dei soggetti interessati, ed il committente privato o non professionale, sia pure con le accortezze stabilite dalla sentenza oggi in commento, è di diritto la prima di queste, a dimostrazione dell’attenzione e della diligenza che gli vengono imposte già all’atto del suo primigenio adempimento: la scelta consapevole e corretta dell’impresa!