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Responsabilità degli enti ex D.Lgs. n. 231/2001, infortuni sul lavoro e colpa di organizzazione

Corporate criminal responsibility pursuant to Legislative Decree n. 231/2001: accidents at work and organisational guilt
Mario Rigamonti - Solo fiori
Mario Rigamonti - Solo fiori

Abstract

La Corte di Cassazione con la pronuncia in commento ha sancito che la colpa di organizzazione, ossia uno degli elementi costitutivi dell’illecito dell’ente, deve essere rigorosamente provata e non va confusa, o sovrapposta, con la colpevolezza della persona fisica responsabile del reato.

Gli Ermellini hanno osservato che non è sufficiente a far ricadere la colpa sull’azienda l’assenza di un modello organizzativo, la sua inidoneità ovvero la sua inefficace attuazione. Perché ci sia responsabilità dell’ente, il singolo deve agire non soggettivamente ma secondo un preciso assetto organizzativo negligente dell’impresa. Di qui la necessità di comprovare in modo certo la colpa di organizzazione dell’ente, intesa quale mancata predisposizione di un insieme di accorgimenti preventivi idonei ad evitare la commissione di reati del tipo di quelli per cui si procede.

 

In the present judgment the Supreme Court of Italy has ruled that organizational guilt, i.e., one of the fundamental elements of corporate offences, must be rigorously proven and should not be confused, or overlapped with the culpability of the natural person responsible for the crime.

The Ermellini have observed that the absence of an organizational model, its unsuitability or its ineffective implementation are not sufficient to demonstrate the company’s guilt. In order to establish the legal entity’s liability, it is necessary that the individual has not acted subjectively but according to a precise negligent organization of the company. Hence why it is necessary to prove with certainty the company’s organizational guilt which is the failure to provide with a set of precautions that are suitable to prevent crimes as the one for which the case is being prosecuted.

 

Lo scorso mese di maggio sono state depositate le motivazioni di una interessante pronuncia della Suprema Corte (Cass. pen., Sez. IV, 15.02.2022, (ud. 15.02.2022, dep. 10.05.2022), n. 18413), in materia di responsabilità amministrativa da reato dell’ente (ex D.Lgs. n. 231/2001), attraverso cui la Cassazione è giunta ad affermare che la c.d. “colpa di organizzazione”, elemento costitutivo dell’illecito ascrivibile all’ente medesimo, debba essere rigorosamente provata e che non possa essere confusa con la colpevolezza delle singole persone fisiche.

Il casus belli dal quale la sentenza della Corte ha preso le mosse atteneva ad una ipotesi di lesioni colpose con violazione della normativa anti-infortunistica, che aveva visto riconosciuta, in primo e secondo grado, la colpevolezza dell’ente alle cui dipendenze operava la lavoratrice rimasta vittima dell’infortunio medesimo.

In particolare, secondo la Corte d’Appello, il fatto sarebbe stato commesso dal legale rappresentante della società (imputato quale persona fisica) “[…] in ragione dell’assenza di un modello organizzativo avente ad oggetto la sicurezza sul lavoro e, in particolare di un organo di vigilanza che verificasse con sistematicità e organicità la rispondenza delle macchine operatrici […] alle normative comunitarie in tema di sicurezza, nonché l’adeguatezza dei sistemi di sicurezza installati sulle stesse.

A fronte del ricorso per cassazione avanzato dalla difesa dell’ente, la Suprema Corte ha concluso per l’accoglimento dello stesso, con conseguente annullamento della gravata pronuncia e rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello, sulla scorta delle considerazioni che si andranno di seguito a sintetizzare.

Anzitutto, il punto dal quale la Corte ha preso le mosse è rappresentato dalla struttura stessa dell’addebito contestato all’ente (i.e. lesioni personali colpose aggravate dalla violazione di norme prevenzionistiche ai sensi dell’art. 25-septies, comma 3, D.Lgs. n. 231/2001), secondo cui la responsabilità dell’ente medesimo risultava fondata sulla circostanza che l’illecito sarebbe stato “reso possibile” dalla mancanza di un modello organizzativo avente ad oggetto la sicurezza sul lavoro e, in particolare, dall’assenza di un organo di vigilanza deputato alla verifica dei sistemi di sicurezza delle macchine operatrici. Contestazione, quest’ultima, che, ad avviso della Suprema Corte, avrebbe tradito tutta la propria incapacità di far emergere in maniera chiara “il concreto profilo di responsabilità addebitato alla società […]”.

 

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