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Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza e Decreto 231: alla ricerca di un Modello unico nella previsione e prevenzione del rischio

CCII and Law 231: in search of a single Model for risk prediction and prevention
Mario Rigamonti - Solo fiori
Mario Rigamonti - Solo fiori

Abstract

Il coordinamento e la razionalizzazione degli assetti organizzativi e dei controlli interni aziendali quale Modello a cui tendere per prevedere e prevenire il rischio-reato ex Decreto 231 ed il rischio di crisi e di insolenza ex CCII. Questo scritto metterà a confronto due mondi diversi nelle loro prevenzioni finalistiche – uno volto al patologico mentre l’altro all’evento fisiologicamente possibile ma che si intrecciano in una matrice che è chiamata oggi a mettere al centro la tutela e la preservazione del valore aziendale (inteso come produzione, occupazione, innovazione, progresso) e la sua continuità, nonostante l’incidente giudiziario…, nonostante le tempeste economiche-patrimoniali-finanziarie.

Coordination and streamlining of organizational structures and corporate internal controls as the Model to strive for in order to predict and prevent risk-offenses under Law 231 and the risk of business crisis and insolvency under the Business Crisis and Insolvency Code (CCII). This paper will compare two worlds that are different in the prevention goals they aim at – one aimed at the pathological event while the other at the physiologically possible one – yet are intertwined in a matrix that today is called to focus on the protection and preservation of corporate values (understood as production, employment, innovation, progress) and its continuity, despite the judicial incident..., despite the economic-financial storms.

 

Sommario

1. Prevenzione del rischio: beni tutelati a confronto

2. CCII e Decreto 231: quali punti di contatto?

3. Dalla sinergia degli assetti interni ad un Modello unico di prevenzione della crisi e dei reati 231

 

1. Risk prevention: protected legal rights compared

2. CCII and Decree 231: what point of convergence?

3. From the synergy of internal arrangements to a single Model for the prevention of business crises and 231 offenses

 

1. Prevenzione del rischio: beni tutelati a confronto

Nel pur lungo e tortuoso percorso legislativo che ha incontrato il Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza (breviter, CCII), nel susseguirsi di analisi condotte da Commissioni e Gruppi di Lavoro, è indiscutibile come l’architrave della riforma sia rappresentato dal termine prevenzione del rischio…, del rischio di crisi di impresa e di perdita della continuità aziendale.

Una architrave nata dalla maturata consapevolezza che, per evitare il grave ritardo con cui le imprese avevano, in questi anni, avuto accesso alle procedure concorsuali, che a sua volta aveva generato gravi diseconomie (in tema di aggravamento dei debiti, dispersione degli assets, percentuali minime di soddisfacimento dei creditori, perdita di posti di lavoro…), la tempestività dell’intervento attraverso un approccio metodologico di previsione e prevenzione sia cruciale proprio per (provare a) superare la crisi e preservare il valore aziendale, inteso come produzione, occupazione, innovazione, progresso.

Questo percorso di maturazione non fa altro che rappresentare un trend legislativo iniziato con il D. Lgs. n. 231/2001 (Responsabilità amministrativa degli Enti) e proseguito con:

  • il D. Lgs. n. 231/2007 (Decreto Antiriciclaggio)[1] concernente la prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività̀ criminose e di finanziamento del terrorismo;
  • il D. Lgs. n. 81/2008 (Testo Unico sulla Sicurezza) recante le norme in materia di tutela della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro;
  • il D. Lgs. n. 159/2011 (Codice Antimafia) recante norme in materia di misure di prevenzione personale e patrimoniale e di misure interdittive volte al contrasto dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel tessuto economico;
  • la L. n. 190/2012 ed i relativi Decreti attuativi n. 33 e n. 39 del 2013 (Anticorruzione) recanti norme in materia di misure di prevenzione della corruzione negli enti economici e non pubblici e nelle società in controllo pubblico.

Diverse sono state le declinazioni del concetto di prevenzione del rischio – rischio di commissione di reati-presupposti, rischio di riciclaggio di proventi illeciti e di finanziamento al terrorismo, rischio di infortuni sul lavoro, rischio di infiltrazione mafiosa, rischio di corruzione, per arrivare al rischio di crisi e di insolvenza – tutte accomunate da una analoga modalità di intervento data dalla predisposizione di adeguati assetti organizzativi e un adeguato sistema di controlli interni idonei alla prevenzione dello stesso.

Anche la riforma fallimentare si è, dunque, ispirata al cosiddetto metodo di risk management e risk approach, volendo minimizzare il rischio dell’incubazione occulta della crisi dell’impresa senza che l’imprenditore se ne accorga (o se ne voglia accorgere) e così ritenendo di dovere gestire tale rischio non al momento in cui la stessa emerge in maniera impellente, bensì prima nel corso della gestione ordinaria della società stessa.

L’asse portante di tale approccio metodologico è da individuarsi:

  • nelle modifiche introdotte all’art. 2086 c.c., laddove al secondo comma recita: L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale;
  • nella disposizione di cui all’art. 3 CCII (Adeguatezza delle misure e degli assetti in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa), laddove recita: 1. L’imprenditore individuale deve adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte. 2. L’imprenditore collettivo deve istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato ai sensi dell’articolo 2086 del codice civile, ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell’assunzione di idonee iniziative. 3. Al fine di prevedere tempestivamente l’emersione della crisi d’impresa, le misure di cui al comma 1 e gli assetti di cui al comma 2 devono consentire di: a) rilevare eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore; b) verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale almeno per i dodici mesi successivi e rilevare i segnali di cui al comma 4; c) ricavare le informazioni necessarie a utilizzare la lista di controllo particolareggiata e a effettuare il test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento di cui all’articolo 13, al comma 2. 4. Costituiscono segnali per la previsione di cui al comma 3: a) l’esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da almeno trenta giorni pari a oltre la metà dell’ammontare complessivo mensile delle retribuzioni; b) l’esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno novanta giorni di ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti; c) l’esistenza di esposizioni nei confronti delle banche e degli altri intermediari finanziari che siano scadute da più di sessanta giorni o che abbiano superato da almeno sessanta giorni il limite degli affidamenti ottenuti in qualunque forma purché rappresentino complessivamente almeno il cinque per cento del totale delle esposizioni; d) l’esistenza di una o più delle esposizioni debitorie previste dall’articolo 25-novies, comma 1..

L’introduzione di nuovi obblighi in capo all’imprenditore, chiamato a dotarsi di misure idonee a rilevare tempestivamente la crisi per poi adottare senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte, costituisce “il segno di un mutato clima culturale, incline a valorizzare (piuttosto che la tutela degli interessi facenti capo al singolo imprenditore o ai creditori) l’impresa come valore economico-sociale, ed è per la salvaguardia di quest’ultima e per conservarne la presenza sul mercato che il legislatore (anziché rimettere l’esito della vicenda alla mera iniziativa dell’imprenditore o alla sua inerzia) ha introdotto strumenti normativi che consentano (impongano) di intervenire per il superamento delle difficoltà economiche e finanziarie dell’azienda, prima che maturi una irrisolvibile insolvenza, istituendo una rete di segnali di allerta i quali, in presenza di sintomi premonitori e predittivi, richiamino e pongano l’imprenditore dinnanzi alle sue responsabilità, affinché assuma le più opportune e tempestive iniziative[2].

Una prevenzione del rischio (attraverso un adeguato sistema di organizzazione, gestione e controllo) che a sua volta presuppone una previsione e valutazione prognostica del medesimo e, dunque, una sua concreta ed effettiva rappresentazione raggiungibile unicamente attraverso un corretto, adeguato e completo set informativo.

A tal riguardo, non possono non essere considerati centrali, anzi imprescindibili, gli obblighi informativi: la rivelazione tempestiva del pregiudizio alla continuità aziendale (così come la gestione anticipata del rischio di illecito/reato) possono essere ricercate e garantite solo se a monte gli amministratori prima e gli organi di controllo poi siano in possesso di informazioni che fotografino in tempo reale ed in modo completo ed affidabile la realtà contabile-economica e patrimoniale della società.

A fronte di tale analogia di scopo, una prima differenza, tuttavia, emerge se si considera l’oggetto della prevenzione: sino all’arrivo del CCII, il quadro normativo sopra tratteggiato delineava la prevenzione di “qualcosa” di patologico – per l’appunto il rischio di commissione di un illecito/reato; oggi, invece, il legislatore richiede di prevenire “qualcosa” che ben può essere potenzialmente fisiologico e connaturato alla vita di una impresa, ovvero sia la prevenzione della crisi e della perdita di continuità aziendale in modo tale da impedire l’insorgere dell’insolvenza.

È chiaro che l’obiettivo del CCII sia la salvaguardia e la conservazione dell’impresa quale centro di interesse economico-sociale, ed è altrettanto chiaro che solamente una emersione precoce e tempestiva ed una gestione anticipata della crisi e della perdita di continuità rappresentino lo strumento per eccellenza del (possibile) superamento della stessa.

Peraltro, il CCII definisce per la prima volta all’art. 2 la nozione di crisi come “lo stato di squilibrio economico-finanziario che rende probabile l’insolvenza del debitore e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni nei successivi dodici mesi; mentre definisce la nozione di insolvenza come lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti o altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.

 

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[1] Ulteriori estensioni con il recepimento della Quarta Direttiva del 2015 (D.Lgs. 90/2017) e la Quinta Direttiva del 2019 (D.Lgs. 125/2019).

[2] DI VIZIO F., “Il codice della crisi di impresa e dellinsolvenza visto dal lato del pubblico ministero”.