Sicurezza sul lavoro: attenzione alla posizione di garanzia del preposto

Le posizioni di garanzia in materia di sicurezza sul lavoro, la figura del preposto di fatto e i suoi poteri giuridici alla luce delle novelle legislative
sicurezza sul lavoro
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Indice

1. La posizione di garanzia: genesi, giurisprudenza ed evoluzione normativa

2. Le funzioni del preposto alla luce del d.l. n. 146/2021

3. Il preposto di fatto e il deficit di formazione

4. Apparato sanzionatorio

 

1. La posizione di garanzia: genesi, giurisprudenza ed evoluzione normativa

Il decreto legislativo n. 626/1994, successivamente raccolto nel d.lgs. n. 81/2008, attuando la direttiva quadro 89/391/CEE, proponeva il modello della quadripartizione degli obblighi di sicurezza.[1] Il modello de quo, riproposto dal decreto citato in introduzione, col conforto della giurisprudenza, vede da un lato il riconoscimento delle posizioni di garanzia in capo al datore di lavoro, al dirigente e al preposto, dalle quali discendono degli obblighi a titolo originario,[2] e dall’altro il ruolo attivo del lavoratore in materia prevenzionistica, che viene reso, in tal guisa, responsabilizzato ed inserito in un contesto di natura collaborativa.[3]

Ad ogni modo, la fonte dalla quale discende la posizione di garanzia anche in materia di sicurezza del lavoro, è rinvenibile nel codice penale, nello specifico nel secondo comma dell’art. 40, secondo il quale “non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.

La giurisprudenza penale, in riferimento all’art. 40, rubricato “Rapporto di causalità”, ha affermato che “ai fini dell’operatività della cosiddetta clausola di equivalenza di cui all’art. 40, comma 2, c.p., non è necessario che il titolare della posizione di garanzia sia direttamente dotato dei poteri atti ad impedire la lesione del bene garantito, essendo sufficiente che egli disponga dei mezzi idonei a sollecitare gli interventi necessari ad impedire l’evento dannoso”.[4]

Ancora. “Sussiste una posizione di garanzia a condizione che: un bene giuridico necessiti di protezione, poiché il titolare da solo non è in grado di proteggerlo; una fonte giuridica - anche negoziale - abbia la finalità di tutelarlo; tale obbligo gravi su una o più persone specificamente individuate sulla base di un’investitura formale o l’esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante; queste ultime siano dotate di poteri atti ad impedire la lesione del bene garantito, ovvero siano ad esse riservati mezzi idonei a sollecitare gli interventi necessari ad evitare che l’evento dannoso sia cagionato”.[5]

Il testo unico della sicurezza, all’art. 299, la cui rubrica reca “Esercizi di fatto dei poteri direttivi”, fa propri gli orientamenti di legittimità testé richiamati, statuendo che “le   posizioni  di  garanzia  relative  ai  soggetti  di  cui all’articolo 2,  comma 1,  lettere b), d)  ed e)” (datore di lavoro, dirigente e preposto), “gravano altresì su colui il  quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i  poteri  giuridici  riferiti  a ciascuno dei soggetti ivi definiti”.

Ne consegue che è configurabile il riconoscimento della posizione di garanzia in capo a tutti quei soggetti che, ancorché sprovvisti di formale investitura, in ragione dei compiti loro assegnati, esercitano in concreto poteri giuridici.

Si pensi, ad esempio, al c.d. caposquadra del reparto gastronomia di un punto vendita di generi alimentari, non formalmente incaricato alla sovrintendenza dell’attività lavorativa, quindi alla figura di preposto, il quale – trovandosi in una posizione gerarchica di sovraordinazione rispetto ai suoi collaboratori – non eserciti una funzione di controllo nei confronti degli stessi.

Si immagini, altresì, che i lavoratori vìolino sistematicamente le norme prevenzionistiche. E si pensi, ancora, che le condotte poste in essere dai predetti lavoratori comportino un infortunio sul lavoro.

Nel caso di specie, il caposquadra sarà destinatario delle sanzioni ivi previste dal Testo Unico, giacché egli – in ragione delle sue capacità professionali e nei limiti dei poteri gerarchici – avrebbe potuto intervenire chiedendo l’osservanza delle norme antinfortunistiche, ovvero segnalando al datore di lavoro i comportamenti manchevoli. Come vedremo a breve, il preposto, anche se di fatto, è chiamato, ove necessario, ad interrompere la prestazione lavorativa del prestatore di lavoro la cui condotta inadempiente si protraesse con persistenza.  

Il modello della quadripartizione degli obblighi di sicurezza individua nel prestatore di lavoro una figura attiva, in altri termini un attore della sicurezza. Anche questo orientamento è stato trasfuso nell’art. 20 del T.U.S.S.L., il quale detta la sequela di compiti che incombono sul lavoratore. Questi, dunque, da mero creditore della sicurezza si trasforma in debitore della stessa;[6] tuttavia, chi scrive ritiene che il lavoratore conservi essenzialmente una posizione creditoria, che gli consente financo di eccepire l’inadempimento ai sensi dell’art. 1470 c.c., poiché il debito di sicurezza che grava sullo stesso deve essere comunque subordinato ai doveri che investono il datore di lavoro, principale responsabile in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, il quale è tenuto a rendere la formazione e tutti i mezzi adeguati richiesti dalla natura e dall’ambiente di lavoro.

Orbene, il datore di lavoro – solo a valle del compimento degli atti derivanti dal combinato disposto degli articoli 32, 35 e 41 della Carta costituzionale e 2087 e 2050 del codice civile, potrà esigere la massima collaborazione dai suoi lavoratori sulla scorta di quanto stabilito dall’articolo 20 del Testo Unico.

 

2. Le funzioni del preposto alla luce del d.l. n. 146/2021

All’esito della lettura del precedente paragrafo, è possibile – senza difficoltà alcuna – comprendere che al preposto spettano compiti di sovrintendenza, rispetto ai quali egli viene chiamato ad esercitare limitati poteri decisionali di natura organizzativa.

I principali compiti che investono tale figura possono così riassumersi:

“a) verificare affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni accedano alle zone che li espongono ad un rischio grave e specifico;

c) richiedere l’osservanza delle misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza e dare istruzioni affinché’ i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato e inevitabile, abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa;

d) informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione;

e)  astenersi, salvo   eccezioni   debitamente   motivate, dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave ed immediato;

f) segnalare tempestivamente al datore di lavoro o al dirigente sia le deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, sia ogni altra condizione di pericolo che si verifichi durante il lavoro, delle quali venga a conoscenza sulla base della formazione ricevuta”.[7]

Non a caso l’autore ha procrastinato la rassegna di due importanti funzioni, introdotte con il d.l. n. 146/2021, convertito in legge n. 215/2021.

Il decreto dianzi citato ha modificato la lettera a) dell’art. 19 del Testo unico, la quale oggi prevede che il preposto:

sovrintenda  e  vigili  “sull’osservanza  da  parte  dei singoli  lavoratori  dei  loro  obblighi  di  legge,  nonché  delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro  e di uso dei mezzi  di  protezione  collettivi  e  dei  dispositivi  di protezione individuale messi  a  loro  disposizione  e,  in  caso  di rilevazione  di  comportamenti  non  conformi  alle  disposizioni  e istruzioni impartite dal datore di lavoro e  dai  dirigenti  ai  fini della protezione collettiva e individuale”, intervenga “per modificare il comportamento non conforme fornendo le necessarie indicazioni di sicurezza.

In caso di mancata attuazione delle disposizioni impartite o di persistenza dell’inosservanza”, interrompa “l’attività del lavoratore” e informi “i superiori diretti”.

Al preposto, quindi, compete la facoltà di interrompere l’attività del prestatore di lavoro, allorché egli rilevi un pericolo per la sicurezza nell’accezione del duplice aspetto dell’inosservanza delle disposizioni impartite e del persistere di detta inosservanza. Valutazione di non semplice gestione se considerassimo il preposto quale “persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa   e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa”.[8]

Ma la novità più interessante emerge nella lettera f) dell’art. 19 del Testo unico, secondo la quale il preposto “in caso di rilevazione di deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e di ogni condizione di pericolo rilevata durante la vigilanza, se necessario”, interrompe “temporaneamente l’attività e, comunque”, segnala “tempestivamente al datore di lavoro e al dirigente le non conformità rilevate”.

La ratio legis dell’anzidetto intervento normativo, ovverosia quella di garantire il preminente interesse della sicurezza nei luoghi di lavoro, secondo lo scrivente, risulta in perfetta sintonia con l’art. 41 della Costituzione, secondo cui: “l’iniziativa economica privata…non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.

In ogni caso, a fronte della novella legislativa che ha introdotto ulteriori oneri in capo al preposto, volendo suggerire interventi di de iure condendo, in luogo dell’aggiornamento formativo biennale, o al fianco di quest’ultimo, imporrei di ampliare i contenuti formativi dei corsi avuto riguardo specifico alle situazioni che richiedono, verosimilmente, l’interruzione della prestazione di servizio o dell’attività lavorativa.

 

3. Il preposto di fatto e il deficit di formazione

Quanto in discorso sulle posizioni di garanzia e sul principio di effettività dell’art. 299 del T.U., ci ha permesso di comprendere che il preposto, benché privo di investitura formale, potrebbe essere chiamato a ricoprire tale ruolo. In altre parole, la giurisprudenza ha elaborato la figura del cosiddetto preposto di fatto.[9] Pur tuttavia, questa creazione di origine giurisprudenziale come può essere coordinata con gli obblighi stabiliti dagli articoli 36 e 37 del Testo Unico?[10]

La risposta è fornita sempre dalla giurisprudenza penale, la quale ha condannato, oltre all’amministratore delegato di una s.r.l., il “preposto di fatto e componente anziano dell’ufficio tecnico dell’impresa”, per non aver impedito che ‘‘il dipendente, dopo essersi portato sul tetto di una costruzione, mediante il carrello elevatore, vi scendesse e sostasse, senza alcun presidio anticaduta, spostandosi sullo stesso e precipitando al suolo, a seguito del cedimento di una lastra”.

Nelle difese, il preposto di fatto eccepiva di non aver “ricevuto alcuna adeguata formazione” e di non essere “titolare di alcuna posizione di sovraordinazione gerarchica rispetto agli altri colleghi, i quali operavano tutti in totale autonomia”, e che “la persona deceduta aveva conoscenze tecnico-scientifiche ben superiori a quelle dell’imputato, che è soltanto un perito industriale e non un ingegnere”.

In ogni caso, la Sez. IV ha rigettato la teoria argomentativa dell’imputato stabilendo che, “nel momento in cui l’imputato, di fatto, assunse il compito di organizzare e dirigere il sopralluogo, per conto del datore di lavoro, assunse anche l’obbligo di garantire la sicurezza dei partecipi; e, d’altronde, l’omissione di ogni pur minima cautela, prima di consentire ai colleghi di accedere al tetto, rende irrilevante, ai fini della sussistenza del reato, il fatto che l’imputato stesso non avesse ricevuto alcuna specifica formazione in merito ai rischi inerenti alle operazioni da svolgere”.

Tale asserto si inserisce perfettamente nell’ottica delineata dall’art. 299 del d.lgs. n. 81/2008, che estende le responsabilità inerenti alla posizione di garanzia relativa al preposto, a norma dell’art. 2 d.lgs. citato, ai soggetti che, pur sprovvisti di regolare investitura, esercitino in concreto i poteri giuridici inerenti a quest’ultima. In tali casi, l’addebito di colpa consiste proprio nell’aver intrapreso un’attività che non si è in grado di svolgere adeguatamente, non avendo le conoscenze o le capacità necessarie (c.d. colpa per assunzione)”.

Inoltre, “l’esplicare le mansioni inerenti a un determinato ruolo, nel contesto dell’attività lavorativa, comporta la capacità di saper riconoscere ed affrontare i rischi e i problemi inerenti a quelle mansioni, secondo lo standard di diligenza, di capacità, di esperienza, di preparazione tecnica richiesto per il corretto svolgimento di quel determinato ruolo, con la correlativa assunzione di responsabilità”. Infine, la Corte ha affermato che “chi, non essendo all’altezza del compito assunto, esplichi una certa funzione senza farsi carico di procurarsi tutti i dati tecnici e le conoscenze necessarie per esercitarla adeguatamente, nel caso in cui ne derivino dei danni, risponde di questi ultimi”.[11]

Chiaro, pertanto, che il preposto di fatto, ove ricorra un infortunio sul lavoro, non potrà addurre a propria scusa la carenza di un bagaglio formativo, poiché egli – assumendosi l’onere di un determinato incarico – si assume parimenti l’incombenza di esercitare tutti quei doveri che derivano dal Testo Unico; sicché il preposto di fatto dovrà esercitare tutte le funzioni e i poteri conferitigli dal dettato normativo (controllo; segnalazione; decisioni organizzative).

 

4. Apparato sanzionatorio 

I soggetti, sui quali gravano posizioni di garanzia, e quindi gli obblighi della sicurezza connessi a titolo originario o meno, sono – nondimeno – destinatari di un apparato sanzionatorio ben delineato dal Testo unico. Per pronto riferimento, si trascrivono – sinteticamente – le sanzioni che gravano solo sul preposto, figura di principale interesse di questo contributo.

“1. I preposti sono puniti nei limiti dell’attività alla quale sono tenuti in osservanza degli obblighi generali di cui all’articolo 19:

a) con l’arresto da uno a tre mesi o con l’ammenda da 500 a 2.000 euro per la violazione dell’articolo 19, comma 1, lettere a), e), f);

b) con l’arresto sino a un mese o con l’ammenda da 300 a 900 euro per la violazione dell’articolo 19, comma 1, lettere b), c), d);

c) con   l’ammenda da 300 a 900 euro per la violazione dell’articolo 19, comma 1, lettera g)”.[12]

 

[1] R. Del Punta, F. Scarpelli (a cura di), con la collaborazione di Mauro Marrucci e Pierluigi Rausei, Codice commentato del lavoro, I edizione, Wolters Kluwer

[2] C. pen. 5.10.2018, n. 49373; C. pen. 6.5.2016, n. 24136

[3] C. pen. 10.2.2016, n. 8883; già C. pen. 7.11.2002, n. 37248

[4] Cassazione penale, Sez. IV - Sentenza n. 14616 del 20 aprile 2021

[5] Cassazione penale, Sez. IV -Sentenza n. 28729 del 23 luglio 2021; vedi anche Cass. 5 ottobre 2020 n. 27540

[6] R. Guarinello, Il T.U. Sicurezza sul Lavoro commentato con la giurisprudenza, dodicesima edizione, Wolters Kluwer

[7] Art. 19 del d.lgs. n. 81/2008

[8] Art. 2, lett e) del d.lgs. n. 81/2008

[9] Ex multis Cassazione penale, Sez. IV - Sentenza n. 18677 del 2 maggio 2018; Cassazione penale, Sez. IV - Sentenza n. 2578 del 26 gennaio 2011; Cassazione penale, Sez. IV - Sentenza n. 38691 del 3 novembre 2010.

[10] Gli articoli 36 e 37 prescrivono gli obblighi di informazione e formazione dei soggetti appartenenti alla filiera istituzionale della sicurezza sul lavoro. Per quanto attiene al preposto: ricevono a cura del datore di lavoro e in azienda, un’adeguata e specifica formazione e un aggiornamento periodico in relazione ai propri compiti in materia di salute e sicurezza del lavoro”. La disposizione ha ricevuto attuazione nelle modalità e nei contenuti ivi richiamati dalla norma dall’accordo Stato-Regioni del 21 dicembre 2011

[11] Cassazione penale, Sez. IV - Sentenza n. 18090 del 10 aprile 2017

[12] Art. 56 del d.lgs. n. 81/2008