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Demansionamento: ipotesi residuali non contemplate dall’articolo 2103 del codice civile

Ipotesi di demansionamento residuali ma non meno importanti rispetto alla cornice del 2103 Codice Civile
demansionamento
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Indice

1. Il demansionamento nei licenziamenti collettivi

2. La disabilità psicofisica fattispecie di utilizzazione a mansioni inferiori

3. L’inidoneità al lavoro notturno ex articolo 15 del Decreto Legislativo n. 66/2003

4. L’inidoneità alla mansione specifica secondo l’articolo 42 del Decreto Legislativo n. 81/2008 (c.d. Testo unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro)

 

Il demansionamento nei licenziamenti collettivi

In altra sede,[1] l’autore ha sviluppato un’oculata analisi della disciplina delle mansioni lavorative contemplata dal Codice Civile. Quest’ultimo, con il nuovo articolo 2103, rappresenta, invero, la cornice normativa di riferimento in tema di demansionamento. Ad ogni modo, la predetta cornice non esaurisce le ipotesi di demansionamento previste nel nostro ordinamento giuridico.

La prima fattispecie, tanto per effettuare un’enucleazione rispondente al requisito cronologico, è quella prevista dall’articolo 4, comma 11, della legge 223/1991.

In un’ottica di favor degli accordi collettivi,[2] la norma testé richiamata sancisce che “gli accordi stipulati nel corso delle procedure del presente articolo, che prevedano il riassorbimento totale o parziale dei lavoratori ritenuti eccedenti, possono stabilire, in deroga al secondo comma dell’articolo 2103 del Codice Civile, la loro assegnazione a mansioni diverse da quelle svolte”.

Il demansionamento, nel caso che ci occupa, unitamente al distacco collettivo e ai contratti di solidarietà difensivi, si inserisce nel più ampio genus delle principali soluzioni alternative ed incentivi economici e normativi, volti ad “aggirare” il licenziamento collettivo.

 

La disabilità psicofisica fattispecie di utilizzazione a mansioni inferiori

La legge n. 68/1999, in guisa di salvaguardia del requisito occupazionale, ha dettato una specifica previsione normativa riferita al demansionamento nelle ipotesi di sopravvenuta inabilità per infortunio o malattia.

A tal proposito, l’articolo 4, comma 4, della legge n. 68/1999, recita quanto segue: “i  lavoratori  che  divengono  inabili  allo  svolgimento  delle proprie mansioni in conseguenza di infortunio o malattia non  possono essere computati nella quota di riserva  di  cui  all’articolo  3  se hanno subito una riduzione della capacità lavorativa inferiore al 60 per cento  o,  comunque,  se   sono   divenuti   inabili a causa dell’inadempimento da parte del datore di lavoro, accertato  in  sede giurisdizionale, delle norme in materia di sicurezza  ed  igiene  del lavoro. Per i predetti lavoratori l’infortunio o la malattia non costituiscono giustificato motivo di licenziamento nel caso in cui essi possano essere adibiti a mansioni equivalenti ovvero, in mancanza, a mansioni inferiori. Nel caso di destinazione a mansioni inferiori essi hanno diritto alla conservazione del più favorevole trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza. Qualora per i predetti lavoratori non sia possibile l’assegnazione a mansioni equivalenti o inferiori, gli stessi vengono avviati, dagli uffici competenti di cui all’articolo 6, comma 1, presso altra azienda, in attività compatibili con le residue capacità lavorative, senza inserimento nella graduatoria di cui all’articolo 8”.

Anzitutto, è bene rendere noto quello che oggi rappresenta il reale significato e la reale portata della nozione di equivalenza. Essa, senz’altro, va coniugata con la previsione normativa dell’articolo 2103 Codice Civile. Il lavoratore, orbene, sulla scorta del combinato disposto degli articoli 4 comma 4 della legge n. 68/1999 e 2103 del codice civile, nell’ipotesi di sopravvenuta inabilità del lavoratore, sarà - preliminarmente e ove possibile - adibito alle mansioni “riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte”.

 

Confermando l’assunto dianzi passato in lettura, la giurisprudenza ha asserito che tutti i lavoratori divenuti disabili, al di là del grado della sopravvenuta inabilità, hanno diritto al mantenimento del posto di lavoro solo se disponibili mansioni equivalenti o inferiori.[3] In ogni caso, l’adibizione a mansioni inferiori, come espressamente previsto dal quadro normativo, comporta la conservazione del trattamento economico e normativo più favorevole corrispondente alle mansioni di provenienza.

 

L’inidoneità al lavoro notturno ex articolo 15 del Decreto Legislativo n. 66/2003

Il datore di lavoro, in ossequio alla disciplina legale di cui al combinato disposto degli articoli 11 del Decreto Legislativo n. 66/2003 e 41 del Decreto Legislativo n. 81/2008, è tenuto a verificare la specifica idoneità al lavoro notturno del prestatore, qualora questi venga adibito, giustappunto, al lavoro prestato nelle ore notturne.[4] Tuttavia, nel caso di accertata inidoneità al lavoro notturno, la norma non contempla l’ipotesi testuale di adibizione a mansioni inferiori del lavoratore, ma la mera “assegnazione a lavoro diurno, in altre mansioni equivalenti, se esistenti e disponibili”.

Di conseguenza, “è ammissibile che lo spostamento avvenga  nelle medesime mansioni con variazione solo dell’orario”.[5] Il datore di lavoro, pertanto, in assenza di mansioni equivalenti,[6] potrà recedere dal contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo.[7] Tuttavia, graverà sul datore l’onere di dimostrare di essere stato impossibilitato a ricollocare, anche in mansioni inferiori, il lavoratore.[8]

Una parte della dottrina, financo, ha individuato – nella norma in esame – “solo un obbligo di repechage”.[9]

A valle di quanto sopra enucleato, risulta chiaro e palese che la norma non proferisce parola in termini di demansionamento. Esso, come arguibile dalle brevi righe sopra riportare, è frutto dell’elaborazione giurisprudenziale e dottrinale. In ogni caso, chi scrive ritiene che una lettura completa della norma che ci occupa non possa prescindere dai contributi giurisprudenziali e dottrinali al momento disponibili.

 

L’inidoneità alla mansione specifica secondo l’articolo 42 del Decreto Legislativo n. 81/2008 (c.d. Testo unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro)

L’articolo 42 del Decreto Legislativo n. 81/2008, testo unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, a parere di chi scrive, completa la fattispecie individuata dall’articolo 4 comma 4, della legge 68/1999.

A tal proposito, alla nozione atecnica di inabilità psico-fisica, si accompagna quella tecnica di cui all’articolo 41, comma 6, del Decreto Legislativo n. 81/2008, in ragione della quale il medico competente, nell’ambito delle sue prerogative, emette – per iscritto – un giudizio sanitario sul lavoratore che può consistere in una idoneità, idoneità parziale, inidoneità temporanea o inidoneità definitiva. I relativi giudizi vanno inseriti nella cartella sanitaria e di rischio del lavoratore e comunicati senza indugio al datore di lavoro.

Quest’ultimo, in linea con il dettame in disamina, “attua le misure indicate dal medico competente e qualora le stesse prevedano un’inidoneità alla mansione specifica adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori garantendo il trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza”.

L’inciso “ove possibile”, sulla scorta dei principi di correttezza e buona fede,[10] obbliga il datore di lavoro ad adottare “le soluzioni che, all’interno del fondamentale piano organizzativo prescelto, risultino le più convenienti e idonee ad assicurare il rispetto dei diritti del lavoratore e, sul piano processuale di fornire dimostrazione di aver fatto tutto il possibile, nelle condizioni date, perché tali diritti trovassero attuazione”.[11]

Benché non previsto testualmente, il dettame in questione si applica anche al datore di lavoro pubblico, considerata la generale applicabilità del Decreto Legislativo n. 81/2008 al settore pubblico.[12]

 

[1] Cfr. D. Giardino, Mansioni lavorative, ius variandi e novità introdotte dal Decreto Legislativo n. 81/2015,in Diritto.it

[2] Cfr. R. Del Punta, F. Scarpelli (a cura di), con la collaborazione di M. Marrucci e P. Rausei, Codice commentato del lavoro, Wolter Kluwers, I edizione, 2019

[3] C. 23.10.2014, n. 22533

[4] La definizione di lavoro notturno è rimessa alla lettera d), comma 1, dell’articolo 1 del Decreto Legislativo n. 66/2003, secondo la quale è tale il periodo di almeno 7 ore consecutive comprendenti l’intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino. La lettera e), comma 2, dell’articolo 1 del citato decreto, afferma che si considera lavoratore notturno il prestatore che, durante il periodo notturno come sopra indicato, svolge almeno 3 ore della propria giornata di lavoro per un minimo di 80 giorni lavorativi all’anno. Ad ogni modo, l’articolo 1 rimette alla contrattazione collettiva la possibilità di definire la parte dell’orario di lavoro notturno, tale per cui possa considerarsi il prestatore di lavoro un lavoratore notturno. Ne consegue, come ovvio, che in assenza di disposizione pattizie, rileverà la nozione legale di lavoratore notturno definitiva dal Decreto Legislativo n. 66/2003.

[5] Taverniti, Commento al Decreto Legislativo 66/2003, in De Luca Tamajo- Mazzotta (a cura di), Commentario breve alle leggi sul lavoro, Padova, 2017, pag. 2022, cit.

[6] Per il concetto di equivalenza vedi supra § 2

[7] Cfr. Ichino-Valente, L’orario di lavoro e i riposi. Artt. 2107-2109, in Rescigno (fondato da) Businelli (diretto da) Il codice civile. Commentario, Milano 2012

[8] C. 4.11.2011, n. 23807; in dottrina Limena, Commento all’articolo 15, in Cester-Mattarolo-Tremolada (a cura di), La nuova disciplina dell’orario di lavoro, Milano 2003

[9] Così Ferrante, Orario e tempi di lavoro. Durata della prestazione, lavoro a tempo parziale, contratti di solidarietà, Roma, 2014, pag. 116, cit.

[10] Principi che alla base di tutti i contratti, non solo quelli di lavoro (ex artt. 1175 e 1375 Codice Civile)

[11] C. 1.7.2016, n. 13511

[12] Cfr. P. Pascucci, La tutela della salute e della sicurezza sul lavoro: il Titolo I del Decreto Legislativo n. 81/2008 dopo il Jobs act, Fano 2017