La caparra confirmatoria
La caparra confirmatoria
SOMMARIO: I dato normativo; La caparra confirmatoria; Corte di cassazione n. 1952 del 2003; Corte di cassazione n. 28573 del 2013; Conclusioni. Letture consigliate.
Abstract
Scopo del contributo è quello di focalizzare l’attenzione su un istituto tanto delicato quanto di frequente utilizzo nella prassi applicativa, anche attraverso il richiamo ad una “antica” ma utile pronuncia della Corte di cassazione e ad una ulteriore pronuncia di circa dieci anni successiva.
Il dato normativo
Art. 1385 cc. “Se al momento della conclusione del contratto una parte dà all’altra, a titolo di caparra, una somma di danaro o una quantità di altre cose fungibili, la caparra, in caso di adempimento, deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta. Se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l’altra può recedere dal contratto, ritenendo la caparra; se inadempiente è invece la parte che l’ha ricevuta, l’altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra. Se però la parte che non è inadempiente preferisce domandare l’esecuzione o la risoluzione del contratto, il risarcimento del danno è regolato dalle norme generali”.
La caparra confirmatoria
L’istituto de quo funge da spartiacque tra l’autotutela privata ed il processo civile: in linea di massima (ma saranno svolte, seppur in modo sintetico ed a mezzo di una pronuncia della Corte di cassazione, delle precisazioni al riguardo) se si sceglie di esigere la caparra, il danno per inadempimento viene automaticamente liquidato e quantificato nella somma di denaro che si era preventivamente ottenuta a tale titolo. Se si sceglie il processo e, dunque, si sceglie di agire per la risoluzione del contratto o la sua esatta esecuzione, non si utilizzerà più il “doppio” rimedio del recesso dal contratto e della contestuale ritenzione della caparra. In primo luogo, l’obiettivo è evitare che si adoperi la macchina della giustizia per perseguire profitti “certi” in partenza: in altri termini, scopo del processo è l’accertamento giudiziale delle pretese creditore, purché queste non si traducano in un escamotage volto a fornire al creditore istante un mezzo attraverso il quale conseguire un profitto ulteriore rispetto a quanto già egli può ottenere in forza del medesimo contratto il cui corretto adempimento costituisce centrale oggetto del contendere. In secondo luogo, lo scopo è, senza dubbio, il deflazionamento del contenzioso. Non è un caso, infatti, che la caparra confirmatoria rientri, come inizialmente ed incidentalmente anticipato, al pari dei cd. recessi di autotutela, nel novero della cd. autotutela privata o autotutela civilistica, nel cui ambito si inserisce, altresì, l’eccezione di inadempimento e dalla quale si discosta la molto più nota cd. autotutela amministrativa.
Corte di cassazione n. 1952 del 2003
Delineati i lineamenti essenziali dell’istituto, si coglie l’attualità di una remota sentenza, che qui si riporta: “nell’ipotesi di versamento di una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria, la parte adempiente che abbia agito per la risoluzione del contratto ed il risarcimento del danno, in secondo grado, in sostituzione di dette pretese, può chiedere il recesso dal contratto e la ritenzione della caparra (art. 1385 cc. comma 2), in quanto dette domande hanno minore ampiezza rispetto a quelle originariamente proposte, ed inoltre esse possono essere proposte anche nel caso in cui si sia già verificata la risoluzione del contratto per una delle cause previste dalla legge (art. 1454 cc., 1455 cc., 1457 cc.) dato che rientra nell’autonomia privata la facoltà di rinunciare agli effetti della risoluzione del contratto di inadempimento”.
Corte di cassazione n. 28573 del 2013
Ancora, conferma di quanto esposto si rinviene in una più recente pronuncia della Corte di cassazione, in forza della quale si è chiarito che: “la parte non inadempiente che, avendo versato la caparra recede dal contratto per l’inadempimento dell’altra e chiede il pagamento del doppio, ai sensi dell’art. 1385, comma 2, c.c., accetta tale somma a titolo di integrale risarcimento del danno conseguente all’inadempimento e non può, dunque, pretendere ulteriori e maggiori danni”.
Conclusioni
A chiusura di quanto sin qui evidenziato si pone la logica considerazione a mente della quale presupposto indefettibile perché possa operare la ritenzione della caparra (o del doppio della caparra) confirmatoria ex art. 1385 cc. è l’inadempimento di una delle parti. Si comprende, allora, la ratio della alternatività del rimedio rispetto ad un eventuale ed instaurando giudizio di cognizione il quale, non a caso, pure presuppone che si sia verificato il mancato adempimento delle obbligazioni contrattuali. E ciò quantomeno nella fase iniziale del giudizio, restando sempre ferma la possibilità che si verifichi un accertamento di insussistenza di inadempimento soggettivamente od oggettivamente imputabile. L’alternatività di cui si discute non è smentita dalla riportata pronuncia del 2003, la quale, come si è avuto modo di vedere, consente, in secondo grado, di tornare sui propri passi, rinunciando agli effetti della risoluzione contrattuale ed alle istanze risarcitorie. Ciò in quanto e come specificato nella stessa pronuncia, la “marcia indietro” ammessa in secondo grado non smentisce, bensì anzi conferma la ratio della scelta di non consentire il cumulo dei rimedi concessi dall’ordinamento, dal momento che la sostituzione delle strategie scelte con la ritenzione della caparra ed il recesso dal contratto implica la rinuncia a quel quid pluris eventuale (una volta ritenute le somme a titolo di caparra) che l’alternatività vuole impedire di conseguire mediante l’ “aggiunta” del rimedio giudiziale al rimedio stragiudiziale.
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Letture consigliate
- Corte di cassazione n. 1952 del 2003;
- M. Lopinto, L’autotutela ed il contratto preliminare: le sopravvenienze nel diritto civile e nel diritto amministrativo tra discrezionalità, effetti obbligatori e causa, in Riv. IlCaso.it (con rinvio, in questa sede, all’apparato bibliografico);
- Corte di cassazione n. 28573 del 2013.