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Acquisizione e riuso di software per le pubbliche amministrazioni

riuso software PA
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Acquisizione e riuso di software per le pubbliche amministrazioni

 

Premessa: cenni sul “riuso” fra P.A.

Il caso giuridico che oggi esaminiamo si inquadra in un contesto di controversie legate al riutilizzo di software da parte delle pubbliche amministrazioni. Il termine "riuso" è qui definito come il complesso di attività svolte per utilizzare un software in un contesto diverso da quello originale, al fine di soddisfare esigenze simili a quelle che ne hanno causato lo sviluppo iniziale.

Secondo gli articoli 68 e 69 del CAD, il software in riuso è limitato a quello rilasciato sotto licenza aperta da una pubblica amministrazione, che costituisce un sottoinsieme del software open source disponibile. Le linee guida delineano chiaramente le modalità di acquisizione per il software di pubbliche amministrazioni soggetto a licenza aperta rispetto al software open source di terzi.

Un aspetto cruciale del riutilizzo, soprattutto nel contesto della Pubblica Amministrazione, è che l'Amministrazione acquirente riceve il software gratuitamente dall'Amministrazione cedente, sostenendo solo le spese per il suo adattamento e non quelle relative alla progettazione e realizzazione.

Difatti le linee guida, sul riuso, si rivolgono esclusivamente alle pubbliche amministrazioni, come definite dall'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, comprendendo istituti, scuole, aziende ed enti a vario livello. Tuttavia, specificano che le disposizioni sul riutilizzo delle soluzioni non si applicano in caso di "motivate ragioni di ordine e sicurezza pubblica, difesa e sicurezza nazionale e consultazioni elettorali."

Inoltre, le linee guida incoraggiano l'utilizzo degli strumenti di cooperazione e collaborazione previsti dalla normativa vigente, come gli accordi di collaborazione contemplati dall'articolo 15 della Legge 241/1990. L'obiettivo è promuovere esperienze di co-progettazione, condividendo conoscenze, processi decisionali e percorsi comuni, attraverso ad esempio centri di competenza e supporto al ciclo di vita del software. La chiarezza di tali orientamenti potrebbe rappresentare un elemento chiave nel processo di analisi e risoluzione delle controversie relative al riutilizzo del software da parte delle pubbliche amministrazioni.

 

Un caso concreto al TAR CALABRIA – Catanzaro -

Con atto notificato il 17 settembre 2019 e depositato il 30 settembre 2019, la T. impugnava la delibera del Commissario di A.C. n. __ datata 21 maggio 2019. Tale delibera aveva approvato l'accordo attuativo tra le pubbliche amministrazioni A.C. e A. P., focalizzato sul servizio di supporto al riuso dei pacchetti software gestionale e documentale dell'A.P., nonché sulla fornitura di un servizio di contact center assegnato a C., società in house della predetta A.P. La ricorrente contestava anche la delibera n. _ datata 1 ottobre 2018, che aveva approvato il Protocollo d’intesa tra A.C. e A.P.

Le argomentazioni della ricorrente includevano:

• La sua posizione come società operante nel settore dell’informatica, specializzata in analisi, progettazione ed implementazione di soluzioni informatiche.

• Un precedente incarico diretto da parte di A. C., datato 11 giugno 2018, per la fornitura di moduli software nel distretto di R. e servizio di manutenzione, nonché la fornitura successiva per gli altri distretti nel 2019.

• La presentazione, il 7 gennaio 2019, di una proposta per la creazione di un Sistema Informatico Unico per tutti i distretti, proposta alla quale non ha ricevuto riscontro.

• La scoperta, successiva, della delibera n. 438 datata 21 maggio 2019, con la quale è stato affidato a C. società in house della predetta A.P il servizio di supporto al riuso dei pacchetti software gestionale e documentale dell’A.P., per un importo di euro 240.645,00.

• La richiesta, datata 10 luglio 2019, di accesso alle delibere in questione e al Protocollo d’intesa, con una risposta parziale da parte di A.C.

Il ricorso, quindi, si basava sull'annullamento dei provvedimenti adottati, sostenendo la violazione e falsa applicazione dell'art. 5, comma 6, del d.lgs. 50/2016 e s.m., dell’art. 15 della L. 241/90, la violazione dell’art. 3 del Codice appalti, e la violazione dei principi di trasparenza e par condicio, oltre all'eccezione di eccesso di potere per inesistenza dei presupposti.

Con atto depositato il 15.10.2019 si costituiva A. C., attraverso i suoi legali avv.ti F. S. e P.P., affermando testualmente come:” l’avverso gravame si palesava infondato per violazione dell’art. 41 comma 2 c.p.a. In via preliminare ed assorbente si chiedeva di rigettare il ricorso principale atteso che lo stesso fosse da ritenersi intempestivo per violazione dei termini di notifica ai sensi dell'art. 41 comma 2 del c.p.a. “

Ed infatti la T., a parere degli avv.ti F.S e P.P., aveva notificato il succitato ricorso solo in data 17.09.2019 e dunque dopo lo spirare del termine di giorni 60 dalla pubblicazione nell'albo pretorio aziendale delle delibere n. 843 del 1.10.2018 e 438 del 21.05.2019 . E ciò in palese violazione del termine previsto, a pena di decadenza, per impugnare gli atti amministrativi soggetti a pubblicazione, che decorre per i soggetti non contemplati nell'atto e che non siano immediatamente incisi dai suoi effetti dalla data di pubblicazione nell'albo pretorio ai sensi dell'41 comma 2 c.p.a., non essendo indispensabile la notificazione individuale o la piena conoscenza. Sul punto, richiamavano l'orientamento giurisprudenziale secondo cui il termine decadenziale per l'impugnativa dell'atto deliberativo di un ente locale decorre dalla data di notifica o comunicazione dell'atto o di quella della piena conoscenza con riferimento solo ai soggetti direttamente contemplati nell'atto o che siano immediatamente incisi dai suoi effetti anche se in esso non contemplati; mentre, per quanto concerne gli altri soggetti indirettamente ed eventualmente incisi dall'atto, il termine decadenziale dell'impugnativa decorre dalla data di pubblicazione nell'albo pretorio ai sensi dell'41 comma 2 c.p.a. (Cfr. in termini Cons. St., Sez. V, 13 luglio 2010, n. 4501); con la precisazione, dunque, che il termine per l'impugnazione riguardante un atto di carattere generale ovvero di natura normativa secondaria, in quanto aventi in linea di principio destinatari indeterminati, non vanno notificati personalmente ai fini della decorrenza del termine per impugnare (Cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 6 aprile 2010, n. 1918; Tar Lombardia - Milano, Sez. I - sentenza 16 luglio 2014, n. 1887).

Ebbene, gli avv.ti F.S. e P.P. evidenziavano come, l'art. 32, comma 1, della legge 18 giugno 2009, n. 69, nella versione vigente ratione temporis, stabiliva che: "A far data dal 1º gennaio 2010, gli obblighi di pubblicazione di atti e provvedimenti amministrativi aventi effetto di pubblicità legale si intendono assolti con la pubblicazione nei propri siti informatici da parte delle amministrazioni e degli enti pubblici obbligati [...]". E quindi, a parere della difesa di A.C., i giudici di merito hanno stabilito che la pubblicazione in questione determina una presunzione assoluta di conoscenza in capo i soggetti interessati all'emanazione di atti da parte delle Pubbliche Amministrazioni, qualora gli stessi non debbano ricevere una comunicazione individuale legata alla loro peculiare posizione (Cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, sez. II, 7 novembre 2018, n. 2104; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 13 dicembre 2011, n. 3148). Ancor più di recente, poi, la giurisprudenza amministrativa, sempre secondo i legali di A.C., ribadiva come: "l'idoneità della pubblicazione sul sito informatico della amministrazione procedente a fungere da strumento di conoscenza legale dell'atto pubblicato" (Cfr. Cons. Stato, sez. V, 11 dicembre 2018, n. 7007). Rilevavano, infine, come per l'impugnativa di una delibera il termine decadenziale decorre dalla data di notifica o comunicazione dell'atto o, per i soggetti indicati nell'atto, dalla piena conoscenza dello stesso; mentre: "per i soggetti indirettamente ed eventualmente incisi dall'atto, invece, il termine decadenziale dell'impugnativa decorre dalla data di pubblicazione nell'albo pretorio dall'organo competente," (Cfr. T.A.R. Roma, Sez. III, n. 2610, del 08/03/2018,). Sempre in tal senso , veniva riportata, la sentenza del TAR Napoli: "Il termine decadenziale per l'impugnativa di una delibera comunale decorre dalla data di notifica o comunicazione dell'atto o di quella della piena conoscenza con riferimento solo ai soggetti direttamente contemplati nell'atto o che siano immediatamente incisi dai suoi effetti anche se in esso non contemplati, mentre, per quanto concerne gli altri soggetti indirettamente ed eventualmente incisi dall'atto, il termine decadenziale dell'impugnativa decorre dalla data di pubblicazione nell'albo pretorio ai sensi dell'art. 41, comma 2 del D.Lgs. n. 104/2010" (Cfr. T.A.R. Campania Napoli Sez. V, 15/07/2019, n. 3908).

Orbene a parere degli avvocati F.S e P.P. la posizione della ricorrente non era ascrivibile a quella di soggetti direttamente contemplati nell'atto o che fossero immediatamente incisi dai suoi effetti anche se in esso non contemplati è, sempre secondo i legali di A.C., era la stessa T. ad affermarlo allorquando, a pag. 3 del ricorso, deduceva che:” Con delibera n. 490 dell’11 giugno 2018, ai sensi dell’art 36, comma 2 lett.a) che consente l’affidamento per importi inferiori a 40.000, A.C. affidava alla T la fornitura dei moduli del software per il distretto di R per l’importo di circa 10.000 euro e il servizio manutenzione per l’importo di circa 5.000,00 euro. Successivamente A,C. affidava alla T la fornitura dei moduli del software per tutti gli altri distretti ed il servizio di manutenzione per l’anno 2019”. Risultava difatti che con riguardo ai citati contratti in essere fra la ricorrente e A.C. questi fossero regolarmente operanti nonostante la sopravvenienza delle delibere oggetto di gravame. Non fosse altro perché trattavasi di attività diverse rispetto a quelle contemplate nelle delibere impugnate.

Gli avvocati F.S. e P.P. chiedevano, ancora, di rigettare il ricorso principale per carenza di interesse dell’odierna ricorrente. L’Accordo di cooperazione riguardava la progettazione, l’organizzazione e la gestione delle attività di competenza esclusiva delle due Pubbliche Amministrazioni. Il quadro normativo di riferimento per le attività di competenza degli ex I è costituito da una serie di provvedimenti legislativi che si sono susseguiti nel tempo in considerazione anche dell'evoluzione che ha caratterizzato l'esistenza degli I e la successiva delega dello Stato alle Regioni in materia di edilizia residenziale pubblica. La natura degli I istituiti con il t.u. 28 aprile 1938, n. 1165, sulla edilizia popolare ed economica sia quella di enti pubblici non economici a circoscrizione territoriale. Tali enti, secondo l'art. 1 del d.P.R. 14 febbraio 1975, n. 226, che contiene l'approvazione del loro nuovo statuto-tipo, hanno "lo scopo di provvedere alla realizzazione di programmi di intervento di edilizia residenziale pubblica e di edilizia convenzionata ed agevolata, nonché' alle opere di edilizia sociale ed alle case-albergo di tipo economico e popolare"; tra i loro compiti rientra quindi quello della realizzazione della c.d. "edilizia residenziale pubblica" di cui alla legge 22 ottobre 1977, n. 865, che costituisce, secondo l'opinione condivisa, un pubblico servizio. L'attuazione di tali compiti avviene con una attività che consta, secondo l'art. 2 dello stesso statuto, dell'acquisto o acquisizione di terreni fabbricabili e di fabbricati, della costruzione di case popolari, della loro dazione in locazione, con un contratto il cui contenuto è per la maggior parte determinato dalla legge, agli assegnatari e, alla scadenza della locazione del trasferimento della proprietà dell'alloggio dall'ente all'assegnatario, con un altro contratto di vendita

Non si comprende quindi, secondo i legali di A.C., quale potesse essere l'interesse legittimo della ricorrente T. atteso che la stessa non è ente pubblico, e pertanto non ha campo di operatività nella: “realizzazione di programmi di intervento di edilizia residenziale pubblica e di edilizia convenzionata ed agevolata, nonché' alle opere di edilizia sociale ed alle case-albergo di tipo economico e popolare (…)”, attività queste, invece, riservate per legge all’esclusiva competenza degli ex I oggi sostituiti dalle Aziende territoriali per l'edilizia residenziale . Per tali ragioni non solo, a parere dei legali di A.C., non si evinceva in alcun modo l'interesse a ricorrere di controparte, ma ancor meno risultava argomentata quale fosse la lesione attuale e concreta. La ricorrente, nel suo ricorso, infatti faceva riferimento ad una astratta ed ipotetica "intenzione" di A.C., di "realizzare un Sistema Informatico Unico per tutti i distretti"; nonché ad una generica, astratta ed ipotetica lesione dei propri interessi sempre riguardo alle "intenzioni", di altre Aziende Territoriali di :"realizzare un Sistema Informativo Unico regionale, in particolare la Sardegna per la quale si rendeva innanzitutto necessario un servizio di supporto al riuso delle applicazioni già in funzione." Per come già accennato, rilevavano i legali di A,.C., i contratti in itinere con la T di natura diversa rispetto all’accordo di cooperazione, non risultano mai revocati o cessati. Sul punto richiamavano una recente pronuncia del Consiglio di Stato, Sezione Sesta, che con sentenza n. 3706 del 15 giugno 2018, aveva ritenuto di dover dare continuità all’indirizzo giurisprudenziale a mente del quale l’interesse a ricorrere è caratterizzato dalla presenza degli stessi requisiti che caratterizzano l’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c.: vale a dire la prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e l’effettiva utilità che potrebbe derivare a quest’ultimo dall’eventuale annullamento dell’atto impugnato. Sicché il ricorso viene considerato inammissibile per carenza di interesse in tutte le ipotesi in cui l’annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo non sia in grado di arrecare alcun vantaggio all’interesse sostanziale del ricorrente. Ebbene, secondo gli avv.ti F.S e P.P., la ricorrente lamenterebbe l'impossibilità di concorrere, ad una "ipotetica" gara, volta alla realizzazione per conto di A.C. di un: "Sistema Informatico Unico per tutti i distretti al fine di pervenire ad una piattaforma software unica".

Secondo i legali di era arduo individuare quale potesse essere l'interesse legittimo della T visto che l'accordo di cooperazione attua una attività di collaborazione, organizzazione e gestione di attività di edilizia residenziale pubblica che non risulterebbero, rinvenibili sul libero mercato in quanto per legge di competenza esclusiva delle Aziende succedute agli ex I. Tale accordo di cooperazione si differenziava dal mero acquisto di un software informatico, a differenza di quanto la ricorrente in maniera strumentale stesse tentando di veicolare nel giudizio.

Gli avvocati F.S. e P.P. affermarono, nel merito, che: ”il protocollo d’intesa approvato con deliberazione 843 del 01.10.2018 fosse stato sottoscritto da due Enti Pubblici aventi stessi fini istituzionali, ossia la gestione dell'Edilizia residenziale pubblica. Lo scopo era quello di una collaborazione e cooperazione per un interesse esclusivamente pubblico mirato ad una migliore gestione ed organizzazione delle varie problematiche dell'edilizia residenziale pubblica, anche attraverso una ripartizione dei compiti demandati, peraltro, ai successivi tavoli tecnici. Tale protocollo non interferiva con la libera circolazione dei servizi e ne con il mercato libero. Difatti evidenziavano come i rapporti fra le due P.A., che hanno avuto avvio con la firma del protocollo sopramenzionato, hanno visto successivamente una fattiva fase di collaborazione in cui ciascuna parte ha fornito la propria esperienza, al fine di realizzare attività di co-progettazione, ampliando la condivisione della conoscenza, di processi decisionali e di percorsi comuni, per costruire insieme una nuova struttura di organizzazione e gestione delle diverse e molteplici fasi che interessano l'edilizia residenziale pubblica. Difatti, per come regolamentato dall' art. 3 del protocollo d'intesa, vi erano stati numerosi tavoli tecnici nei quali le differenti esperienze di amministrazione del patrimonio pubblico erano state esaminate con grande meticolosità. In una prima fase A.C. aveva fornito le proprie conoscenze, forse uniche nel settore della gestione ed organizzazione del patrimonio di edilizia residenziale pubblica, in quanto più articolate poiché frutto della riorganizzazione di ben 5 A., ognuna gestita ed organizzata con differenti peculiarità. L'A.P., in questa fase prodromica, aveva messo a disposizione l'esperienza sull'utilizzo del suo modello organizzativo/gestionale del patrimonio di edilizia residenziale- modello, a sua volta, frutto di una evoluzione di precedenti accordi di cooperazione fra la stessa A.P.ed altre importanti P.A. ( Tutti Enti pubblici aventi fini istituzionali esclusivamente di gestione dell'edilizia residenziale pubblica), modello che aveva visto lo sviluppo del sistema applicativo gestionale base del software "R." messo a disposizione originariamente e gratuitamente da A.R.-. Tale proficua cooperazione ha avuto come naturale conseguenza, fra A.C. e A.P., la sottoscrizione di un accordo attuativo relativo alla applicazione sul territorio regionale del modello di gestione organizzativa di proprietà dell'A.P. utilizzando la procedura di riuso dei pacchetti software delle PP.AA.. In assoluta conformità a quanto disciplinato dalle “Linee guida su acquisizione e riuso di software per le pubbliche amministrazioni” in attuazione degli articoli 68 e 69 del Codice dell’Amministrazione Digitale, pubblicate da Agid il 9 maggio che testualmente recitano:"1.3 Riuso del software Si intende come «riuso» di un software il complesso di attività svolte per poterlo utilizzare in un contesto diverso da quello per il quale è stato originariamente realizzato, al fine di soddisfare esigenze similari a quelle che portarono al suo primo sviluppo. Il prodotto originario viene «trasportato» nel nuovo contesto arricchendolo, se necessario, di ulteriori funzionalità e caratteristiche tecniche che possono rappresentare un «valore aggiunto» per i suoi utilizzatori. Dal combinato disposto degli articoli 68 e 69 del CAD, il software in riuso è esclusivamente quello rilasciato sotto licenza aperta da una pubblica amministrazione. Questo è dunque un sottoinsieme di tutto il software open source disponibile per l’acquisizione. Le presenti linee guida distinguono, ove necessario, le modalità di acquisizione di software di pubbliche amministrazioni assoggettato a licenza aperta rispetto a software open source di terzi. Un aspetto fondamentale del riuso nel contesto della Pubblica Amministrazione è che l’Amministrazione che «riusa» riceve il software gratuitamente dall’Amministrazione cedente, e lo acquisisce sostenendo solo le spese di suo adattamento, ma non quelle di progettazione e realizzazione. 1.4 Soggetti destinatari I soggetti destinatari delle presenti linee guida sono le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nel rispetto del riparto di competenza di cui all’articolo 117 della Costituzione, ivi comprese le autorità di sistema portuale, nonché le autorità amministrative indipendenti di garanzia, vigilanza e regolazione, ossia «gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane. e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 e al CONI (per quest’ultima amministrazione fino alla revisione organica della disciplina di settore)». Non si applicano le disposizioni sul riuso delle soluzioni ove sussistano «motivate ragioni di ordine e sicurezza pubblica, difesa e sicurezza nazionale e consultazioni elettorali». Con riferimento all’ambito di applicazione delle presenti Linee guida, si auspica l’utilizzo da parte delle PP.AA. degli strumenti di cooperazione e collaborazione offerti dalla normativa vigente, quali gli accordi di collaborazione previsti dall’art. 15 L. 241/1990, al fine di realizzare esperienze di coprogettazione, ampliando la condivisione della conoscenza, di processi decisionali e di percorsi comuni, quali ad esempio centri di competenza e di supporto al ciclo di vita del software"(Cfr. Linee guida su acquisizione e riuso di software per le pubbliche amministrazioni) Orbene tale accordo di cooperazione, secondo i legali F.S. e P.P., nel fedele rispetto delle linee guida sul riuso fra le Pubbliche Amministrazioni, era stato consacrato nella deliberazione n. 438 del 21 maggio 2019. Difatti: - Il prodotto originario messo a disposizione dalla A.P. veniva acquisito da A.C., al fine di soddisfare le esigenze similari di gestione ed organizzazione riguardo tutte le problematiche dell'edilizia residenziale pubblica, in un contesto territorialmente diverso, con differenti problematiche sociali, poiché da contestualizzare in un ambito fortemente caratterizzato dalle occupazioni abusive, spesso incentivate dalla presenza della criminalità organizzata. Tale nuovo modello risulterebbe così arricchito da ulteriori funzionalità, che rappresenterebbero un valore aggiunto a disposizione di entrambe le amministrazioni. - Il riuso del software verrebbe, quindi, ceduto a titolo totalmente gratuito prevedendo solo le spese necessarie per l’adattamento alla nuova realtà socio-territoriale. La cooperazione fra le due Amministrazioni sarebbe stata realizzata, secondo le normative vigenti, attraverso un accordo attuativo che non prevederebbe alcuna gara d’appalto. Tale modalità operativa, secondo F.S e P.P. , sarebbe stata oggetto dell’attenzione tanto della giurisprudenza quanto del legislatore comunitario e nazionale che ne avrebbero recepito gli approdi. La giurisprudenza amministrativa (Cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 15.7.2013, n. 3849) ha difatti ribadito il principio secondo cui le pubbliche amministrazioni devono perseguire un interesse esclusivamente pubblico. Secondo il giudice di massimo grado della giustizia amministrativa, l’accordo organizzativo permette una collaborazione tra enti pubblici al fine di coordinare gli interventi di ciascun ente su di un oggetto di interesse comune. La Commissione europea (Cfr. documento di lavoro dei servizi della Commissione concernente l’applicazione del diritto UE in materia di appalti pubblici ai rapporti tra amministrazioni aggiudicatrici “cooperazione pubblico-pubblico” – 2011) ha affermato che la cooperazione tra amministrazioni aggiudicatrici non istituzionalizzata si realizzerebbe attesa la congiunta presenza di tre condizioni: 1. che la cooperazione coinvolga soltanto amministrazioni aggiudicatrici, senza partecipazione di capitale privato; 2. che abbia carattere di cooperazione reale, diretta all’esecuzione congiunta di un compito comune, contrariamente a quanto avviene in un normale appalto pubblico di lavori; 3. che sia inerente l’interesse pubblico. Ebbene l'accordo di cooperazione fra A.C. e A.P. , sempre secondo gli avvocati F.S. e P.P., sarebbe conforme a tale dettato ed infatti: a) Il protocollo ed il successivo accordo di cooperazione sono stati sottoscritti fra Enti pubblici. b) Ha carattere di accordo di cooperazione diretta e congiunta in quanto A.C. contribuisce in maniera determinante attraverso la co-progettazione che viene svolta su base territoriale regionale. c) E' di esclusivo interesse pubblico in quanto contempla i fini istituzionali degli ex I di perseguimento di interessi costituzionalmente garantiti come quello della casa. Successivamente, il legislatore europeo, attesi gli approdi giurisprudenziali citati, nel considerando n. 31 della direttiva 2014/24/UE, in tema di appalti, lavori e forniture, ha affermato che: «Vi è una notevole incertezza giuridica circa la misura in cui i contratti conclusi tra enti nel settore pubblico debbano essere disciplinati dalle norme relative agli appalti pubblici. La giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea a tale riguardo viene interpretata in modo divergente dai diversi Stati membri e anche dalle diverse amministrazioni aggiudicatrici. È pertanto necessario precisare in quali casi i contratti conclusi nell’ambito del settore pubblico non sono soggetti all’applicazione delle norme in materia di appalti pubblici. Tale chiarimento dovrebbe essere guidato dai principi di cui alla pertinente giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea. Il solo fatto che entrambe le parti di un accordo siano esse stesse autorità pubbliche non esclude di per sé l’applicazione delle norme sugli appalti. Tuttavia, l’applicazione delle norme in materia di appalti pubblici non dovrebbe interferire con la libertà delle autorità pubbliche di svolgere i compiti di servizio pubblico affidati loro utilizzando le loro stesse risorse, compresa la possibilità di cooperare con altre autorità pubbliche». Nel recepimento della direttiva sopracitata, il recente codice dei contratti pubblici (D.lgs 50/2016) all’art. 5 c. 6, ha espressamente previsto le condizioni secondo cui l’accordo tra due pubbliche amministrazioni è soggetto all’applicazione del codice, affermando, in particolare che: «Un accordo concluso esclusivamente tra due o più amministrazioni aggiudicatrici non rientra nell’ambito di applicazione del presente codice, quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:" a) l’accordo stabilisce o realizza una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti, finalizzata a garantire che i servizi pubblici che essi sono tenuti a svolgere siano prestati nell’ottica di conseguire gli obiettivi che essi hanno in comune; b) l’attuazione di tale cooperazione è retta esclusivamente da considerazioni inerenti all’interesse pubblico; c) le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti svolgono sul mercato aperto meno del 20 per cento delle attività interessate dalla cooperazione". Ebbene anche esaminando le prescrizioni dettate dall'art. 5 c. 6 possiamo affermare che l'accordo di cooperazione risulta alle stesse pienamente conforme. Ed infatti: - l'accordo di cooperazione è stato adottato fra Amministrazioni Pubbliche operanti nel settore dell'edilizia residenziale pubblica; le finalità sono dirette ad assicurare un miglioramento nei servizi pubblici che le due amministrazioni già svolgono come propri compiti istituzionali nell’ottica di conseguire gli obiettivi attraverso una collaborazione e cooperazione in cui ciascuna delle parti fornirà la sua esperienza al fine di costruire una nuovo modello attraverso il RIUSO ed il miglioramento di un software messo a disposizione in maniera completamente gratuita dall'A.P.. - tale cooperazione è resa esclusivamente da interessi di natura pubblica ossia quella di migliorare le procedure di organizzazione e gestione delle case popolari e dei suoi assegnatari c) le due Aziende svolgono, secondo previsioni statutarie, sul mercato aperto assolutamente meno del 20 per cento delle attività interessate dalla cooperazione, come da bilancio consuntivo del 2018.

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All’udienza pubblica del 14.04.2021 il ricorso veniva spedito in decisione.

Si riporta integralmente, parte della sentenza, che ha confermato in toto la tesi degli avvocati F.S. e P.P.

DIRITTO

Preliminarmente deve essere scrutinata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per tardività, formulata dalla resistente A.C..

L’eccezione è fondata.

Osserva giurisprudenza consolidata, in ordine all’impugnazione da parte di soggetti terzi, non direttamente interessati né menzionati nell’atto impugnato, che: “In tema di contratti della p.a., la pubblicazione della delibera di affidamento di un appalto (di fornitura) a trattativa privata, in quanto atto per il quale non è prevista la notificazione individuale, è ex se sufficiente a costituire la situazione di conoscibilità legale per i soggetti non direttamente contemplati ed è quindi rilevante ai fini della decorrenza del termine per l'impugnazione” (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 8.10.2001, n. 6657) e che “La pubblicazione sull'albo pretorio aziendale della delibera di indizione della procedura negoziata ex art. 63, comma 2, lettera c) del Codice appalti, unitamente al disciplinare di gara, al capitolato tecnico e a tutti i relativi allegati, ivi compreso lo schema di domanda di partecipazione e dichiarazioni amministrative e il documento di gara unico europeo, è pienamente idonea a dare luogo alla conoscenza legale della legge di gara, con conseguente decorrenza iniziale dei relativi termini di impugnazione” (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 12.10.2020, n. 10342).

Nella fattispecie, si rileva che:

l’impugnata delibera n. 438 del 21.5.2019, avente ad oggetto “Approvazione Accordi Attuativi tra le Pubbliche Amministrazioni A.C. e A.P. “Servizio Di Supporto Al Riuso Dei Pacchetti Software Gestionale E Documentale Di Proprietà A.P. e per La Fornitura di un Servizio di Contact Center mediante Numero Verde” incarico a C. in ottemperanza al un protocollo dì intesa approvato con deliberazione di A.C. N°943 del 1/10/2019 – CIG 78563018AC” è stata pubblicata sull’albo pretorio del sito internet istituzionale in data 21.5.2019, come risulta da certificato di pubblicazione in calce alla stessa versata in atti;

il dispositivo della delibera prevedeva la pubblicazione per 15 giorni, ragion per cui è il dies a quo per l’impugnazione è da rinvenirsi nel successivo 6.6.2019;

il ricorso è stato notificato solo in data 17.9.2019.

Da quanto ora esposto consegue che, quantunque si consideri la sospensione feriale dei termini processuali, il ricorso è tardivo.

Tale conclusione non è inficiata dalle osservazioni formulate nella memoria del 12.3.2021, con le quali la ricorrente riterrebbe di individuare la piena conoscenza del provvedimento, da cui far decorrere il termine per l'impugnazione, nell’ostensione degli atti/provvedimenti menzionati nella delibera e di cui è stato richiesto l’accesso, riscontrato – peraltro in termini parziali – solo il 18.7.2019.

Difatti, con riferimento alla maturazione della piena conoscenza, idonea a determinare il dies a quo per la decorrenza dei termini di impugnazione, consolidato orientamento giurisprudenziale evidenzia che “La piena conoscenza di un atto lesivo deve essere intesa quale conoscenza piena e integrale del provvedimento stesso, ovvero di eventuali atti endoprocedimentali, la cui illegittimità sia idonea a viziare, in via derivata, il provvedimento finale, dovendosi invece ritenere che sia sufficiente ad integrare il concetto la percezione dell'esistenza di un provvedimento amministrativo e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività della sfera giuridica del potenziale ricorrente, in modo da rendere riconoscibile l'attualità dell'interesse ad agire contro di esso. La norma dell' art. 41 c.p.a . intende per piena conoscenza, quindi, la consapevolezza dell'esistenza del provvedimento e della sua lesività e tale consapevolezza determina la sussistenza di una condizione dell'azione, l'interesse al ricorso, mentre la conoscenza integrale del provvedimento (o di altri atti del procedimento) influisce sul contenuto del ricorso e sulla concreta definizione delle ragioni di impugnazione, e quindi sulla causa petendi” (ex plurimis, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 17.9.2020, n. 3871), ed ancora “Ai fini della decorrenza del termine d'impugnazione, la piena conoscenza del provvedimento può essere presuntivamente desunta da un coacervo di circostanze e di modalità da cui inferire, con sufficiente grado di certezza, che l'interessato ne abbia avuto conoscenza" (Consiglio di Stato, Sez. II, 10.8.2020, n. 4984).

Nella fattispecie, nell’impugnata delibera commissariale viene specificamente affermato:

• che con deliberazione A.C. n°843 dell’1.10.2018 e con conseguente delibera dell’A.P. n°98 dell’11.10.2018 i due Enti titolari della gestione dell’Edilizia Residenziale hanno formalizzato un rapporto di reciproca collaborazione e di scambio di buone pratiche orientato a diverse tipologie di servizio;

• che con le suddette deliberazioni è stato approvato un protocollo di intesa con il quale le Parti intendono avviare un rapporto di collaborazione finalizzato a precostituire le condizioni necessarie a condividere elementi di esperienza, conoscenza e innovazione tali da migliorare l’efficacia, l’efficienza e l’impatto dei servizi resi, in una logica di mutuo scambio di prassi, soluzioni innovative e, più in generale, di buone pratiche;

-che nell’ambito del processo di rinnovamento, razionalizzazione e standardizzazione delle procedure operative dei Distretti di A.C. (…) appare prioritario attivare con A.P. una serie di Accordi attuativi relativi alla fornitura del “Servizio di supporto al riuso dei pacchetti software gestionale e documentale di proprietà A.P. e per la fornitura di un servizio di Contact Center mediante numero verde;

• che l’oggetto dell’affidamento consistente nell’attivazione di una serie di accordi attuativi per la fornitura del “Servizio di supporto al riuso dei pacchetti software gestione e documentale di proprietà A.P. e per la fornitura di un servizio di Contact Center mediante numero verde”.

Vengono quindi descritti analiticamente i servizi oggetto di affidamento e del relativo valore e vengono quantificati gli oneri economici gravanti in esecuzione della delibera.

Consegue pertanto, da una piana disamina del contenuto della delibera impugnata, come risulti evidente, a prescindere dall’intervenuto accesso, la percepibilità del contenuto della delibera e degli atti presupposti e la relativa lesività.

In ogni caso, il ricorso è comunque infondato nel merito.

• Riportandosi alla giurisprudenza comunitaria in materia di limiti del ricorso a tali accordi tra pubbliche amministrazioni (Corte di Giustizia, sent. Coditel Brabant, 13.11.2008, causa C-324/07 e sentenza 9.6.2009, causa C-480/06), richiamata dalla ricorrente a fondamento delle proprie doglianze, si osserva che, per ritenere legittimo (e, dunque, non elusivo della concorrenza e del principio di gara) un accordo stipulato tra pubbliche amministrazioni è necessario che:

• l’accordo deve regolare la realizzazione di un interesse pubblico, effettivamente comune ai partecipanti, che le parti hanno l’obbligo di perseguire come compito principale, da valutarsi alla luce delle finalità istituzionali degli enti coinvolti;

• alla base dell’accordo deve esserci una reale divisione di compiti e responsabilità;

• i movimenti finanziari tra i soggetti che sottoscrivono l’accordo devono configurarsi solo come ristoro delle spese sostenute, essendo escluso il pagamento di un vero e proprio corrispettivo, comprensivo di un margine di guadagno;

• il ricorso all’accordo non può interferire con il perseguimento dell’obiettivo principale delle norme comunitarie in tema di appalti pubblici, ossia la libera circolazione dei servizi e l’apertura alla concorrenza non falsata negli Stati membri.

• Tale impostazione è stata anche fatta propria dall’ANAC la quale, con delibera n. 567 del 31.5.2017 (richiamata anche dalla ricorrente) ha chiarito che un accordo tra amministrazioni pubbliche rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 5, comma 6, d.lgs. 50/2016, nel caso in cui regoli la realizzazione di interessi pubblici effettivamente comuni alle parti, con una reale divisione di compiti e responsabilità, in assenza di remunerazione ad eccezione di movimenti finanziari configurabili solo come ristoro delle spese sostenute e senza interferire con gli interessi salvaguardati dalla disciplina in tema di contratti pubblici.

• Tanto chiarito, ritiene il Collegio che il percorso seguito A.C. non risulti distonico rispetto alle coordinate normative per come lumeggiate in via interpretativa.

• In primo luogo, non appare dubitabile la sussistenza di un interesse pubblico, effettivamente comune ai partecipanti, che le parti hanno l’obbligo di perseguire come compito principale, da valutarsi alla luce delle finalità istituzionali degli enti coinvolti.

• Nelle premesse dell’impugnata delibera n. 438/2019 viene anzitutto chiarito l’affidamento, di A.C., dei servizi di supporto al riuso dei pacchetti software gestionale e documentale di proprietà di A.P. e per la fornitura di un servizio di contact center mediante numero verde, altro non sia se non un momento attuativo del protocollo di intesa, approvato con la precedente deliberazione n. 843/2018, con il quale “le Parti intendono avviare un rapporto di collaborazione finalizzato a precostituire le condizioni necessarie a condividere elementi di esperienza, conoscenza e innovazione tali da migliorare l’efficacia, l’efficienza e l’impatto dei servizi resi, in una logica di mutuo scambio di prassi, soluzioni innovative e, più in generale, di buone pratiche” e, in tale ottica, “nell’ambito del processo di rinnovamento, razionalizzazione e standardizzazione delle procedure operative dei Distretti di A.C. (… ) appare prioritario attivare con A.P. una serie di Accordi attuativi relativi alla fornitura del “Servizio di supporto al riuso dei pacchetti software gestionale e documentale di proprietà A.P. e per la fornitura di un servizio di Contact Center mediante numero verde”.

• In sostanza, rilevato che il controverso affidamento finisce per inquadrarsi in un più generale accordo di cooperazione tra amministrazioni, si rileva, anzitutto, come non sia seriamente revocabile in dubbio la sussistenza di un interesse pubblico comune alle parti – atteso che tanto A.C. quanto A.P. sono gli enti strumentali delle rispettive Regioni il cui fine istituzionale rientra nell’ambito dell’edilizia residenziale pubblica.

• Sotto altro profilo, non è neanche individuabile un’interferenza rispetto al perseguimento della libera circolazione dei servizi e l’apertura alla concorrenza non falsata negli Stati membri, tenuto conto sia del potere delle amministrazioni di ricorrere allo strumento concretamente utilizzato sia del fatto che l’oggetto dell’affidamento, ossia l’adattamento dei software gestionali e documentali di A.P. per consentirne il riuso da parte di A.C., può ben rientrare tra gli ambiti oggetto di accordo tra amministrazioni, come, ad abundantiam, chiariscono anche le “Linee guida su acquisizione e riuso di software per le pubbliche amministrazioni” pubblicate dall’Agenzia per l’Italia Digitale (AGID) il 9.5.2019 (il cui par. 1.3 inquadra il riuso di un software quale complesso di attività svolte per poterlo utilizzare in un contesto diverso da quello per il quale è stato originariamente realizzato, al fine di soddisfare esigenze similari a quelle che portarono al suo primo sviluppo, nel senso che il prodotto originario viene «trasportato» nel nuovo contesto arricchendolo, se necessario, di ulteriori funzionalità e caratteristiche tecniche che possono rappresentare un «valore aggiunto» per i suoi utilizzatori), rilevando l’utilizzabilità di detto strumento tra le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30.3.2001, n. 165 (par. 1.4).

• In secondo luogo, non appare discutibile l’esistenza di una divisione di compiti e responsabilità tra le parti dell’accordo.

• Dalla documentazione versata in atti si ricava che, nell’accordo per il riuso, A.P. , la quale dispone di un’infrastruttura software adeguatamente sviluppata (per averla già acquisita e adattata a seguito di operazioni che avevano coinvolto amministrazioni omologhe di altre regioni), la mette a disposizione di A.C. (la quale ne ha necessità non disponendone di una propria), mentre quest’ultima si sobbarca gli oneri, in termini di spesa per il personale, necessari per il relativo adattamento alle nuove realtà socio-territoriali (all’ammissibilità di tale conclusione non osta il fatto che A.P. si serva di una società in house, atteso che quest’ultima costituisce per definizione un “braccio operativo”, ossia una longa manus di A.P.stessa).

• Quando all’ulteriore aspetto attinente all’esigenza che i movimenti finanziari tra i soggetti sottoscrittori dell’accordo si configurino esclusivamente come ristoro delle spese sostenute, essendo escluso il pagamento di un vero e proprio corrispettivo, comprensivo di un margine di guadagno, si precisa quanto segue.

• Il provvedimento impugnato quantifica un onere finanziario ben preciso, pari ad € 240.645,00, precisando che tale esborso è finalizzato ai soli oneri per la spesa del personale da utilizzare per l’adattamento del software oggetto di riuso e, nelle premesse della delibera, richiama anche la relazione di verifica di congruità tecnico-economica di tali costi redatta dal R.U.P. il 15.5.2019.

- Rispetto a tale quantificazione parte ricorrente si limita ad osservare, testualmente, che “l’impegno di spesa assunto dalla A.C. di complessivi euro 240.645,00 non può certo configurarsi quale ristoro delle spese sostenute”.

• È però da osservare che, per giurisprudenza consolidata, “incombe sulla parte che agisce in giudizio indicare e provare specificamente i fatti posti a base delle pretese avanzate, in base al principio generale, applicabile anche al processo amministrativo, dagli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c.. Se è vero, infatti, che nel processo amministrativo il sistema probatorio è retto dal principio dispositivo con metodo acquisitivo degli elementi di prova da parte del giudice, è altrettanto vero che, in mancanza di una prova compiuta a fondamento delle proprie pretese, il ricorrente debba avanzare un principio di prova perché il giudice possa esercitare i propri poteri istruttori” (Consiglio di Stato, Sez. III, 4.9.2020, n. 5356).

• Orbene, nel formulare la censura, parte ricorrente si è limitata ad una – non meglio precisata – allegazione di non verosimiglianza degli oneri, mentre avrebbe dovuto, al fine di renderla ammissibile in giudizio, darle corpo deducendo specificamente le ragioni di irragionevolezza di tali costi e fornendo, quanto meno, un minimum di elementi dai quali inferire almeno la verosimiglianza della contestazione.

• Si soggiunge, peraltro, che il fatto di essere la ricorrente un’operatrice del settore, per di più con adeguata conoscenza del versante organizzativo di A.C. e delle infrastrutture informativo-informatiche di cui quest’ultima dispone, avrebbe verosimilmente reso non oltremodo gravosa la fornitura di adeguate evidenze, nei termini richiesti dalla giurisprudenza sopra richiamata, da cui inferire la dedotta irragionevolezza degli oneri ipotizzati da A.C. per l’adattamento dei software di A.P. al proprio contesto organizzativo e socio-territoriale, nel senso dell’asserita eccedenza rispetto ai costi da sostenere ragionevolmente in termini di risorse umane per pervenire al richiamato adattamento dei software.

• A quanto sopra esposto è da soggiungersi che, nel costituirsi in giudizio, la resistente A.P. ha osservato – depositando i relativi documenti – di aver quantificato, su richiesta di A.C., i costi facendo ricorso al criterio del costo anno/uomo – calcolato sulla base dell’impegno lavorativo previsto (full time equivalent – FTE) comportante l’individuazione del costo medio annuo di una figura fittizia (anno/uomo), alla cui composizione concorrono, in percentuali diverse, i costi di tutte le figure impegnate nell’attività – trasmettendoli ad A.C. per le verifiche di competenza (sfociate, come già rilevato, nel giudizio di ragionevolezza e congruità del R.U.P.)

• Tali puntuali osservazioni non risultano contestate dalla resistente nei successivi scritti difensivi, tenuto conto che nella memoria del 12.3.2021, questa si limita ad asserire l’inverosimiglianza di tali oneri, indicando unicamente, a sostegno di tale assunto, l’appostamento contabile di tali oneri nei diversi capitoli del bilancio di previsione dell’A.C. (in parte nelle spese per investimento e in parte nelle spese per il personale), circostanza, quest’ultima, che, in disparte eventuali profili di natura contabile non pertinenti in questa sede, non appare in sé sufficiente per desumere l’irragionevolezza dei costi né appare dotata di valore lato sensu confessorio come invece sembrerebbe desumersi dalle argomentazioni della ricorrente.

• In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

• Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in favore delle resistenti costituite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile