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Fideiussione – Surety (Articles nos. 1936 – 1957 of the Italian Civil Code)

Corte di cassazione, Sezioni Unite civili, Sentenza n. 8472 del 15/03/2022
Marina di Ravenna
Ph. Alessandro Saggio / Marina di Ravenna

Fideiussione – Surety (Articles nos. 1936 – 1957 of the Italian Civil Code)

Corte di cassazione, Sezioni Unite civili, Sentenza n. 8472 del 15/03/2022

 

PRINCIPIO DI DIRITTO 

La fideiussione prestata da un cd. «confidi minore», come il Consorzio ricorrente, soc. coop. r.l., iscritto nell’elenco di cui all’art. 155, comma 4, T.u.b. (ratione temporis applicabile), nell’interesse di un proprio associato a garanzia di un credito derivante da un contratto non bancario, non è nulla per violazione di norma imperativa, non essendo la nullità prevista in modo testuale, né ricavabile indirettamente dalla previsione secondo la quale detti soggetti svolgono «esclusivamente» la «attività di garanzia collettiva dei fidi e i servizi a essa connessi o strumentali» per favorire il finanziamento da parte delle banche e degli altri soggetti operanti nel settore finanziario. Il rilascio di fideiussioni è attività non riservata a soggetti autorizzati (come gli intermediari finanziari ex art. 107 T.u.b.), né preclusa alle società cooperative che operino in coerenza con l’oggetto sociale

 

ANNOTAZIONE 

Con questa recente pronuncia a Sezioni Unite la Suprema Corte ha fuso insieme due grandi macroaree del diritto civile: il regime delle nullità contrattuali e la disciplina dei singoli contratti. Il collante è rappresentato dalla risposta al seguente quesito: queste due macroaree presentano significative “variazioni” se inserite nel contesto dei cd. Consorzi “confidi minori”? In linea generale, con il termine “confidi” si suole far riferimento a soggetti, costituiti anche in forma di consorzi e società cooperative, suddivisibili in due tipologie: da un lato, i confidi, per l’appunto, di primo livello o «minori», iscritti nella sezione dell’elenco di cui all’art. 155, comma 4, T.u.b., destinati a transitare nell’elenco di cui all’art. 112 T.u.b., i quali svolgono «esclusivamente» l’attività di garanzia collettiva dei fidi e i servizi strumentali e connessi a favore delle imprese consorziate o socie, attività che consiste nella «prestazione mutualistica e imprenditoriale di garanzie volte a favorirne il finanziamento da parte delle banche e degli altri soggetti operanti nel settore finanziario»; dall’altro, i confidi «maggiori», i quali sono tenuti a iscriversi nell’albo degli intermediari finanziari ex art. 106

(previgente art. 107) T.u.b., strutturati secondo soglie finanziarie e patrimoniali più elevate; assoggettati ad un più penetrante regime di vigilanza (informativa, ispettiva e regolamentare della Banca d’Italia); essi «esercitano in via prevalente l’attività di garanzia collettiva dei fidi» e «in via residuale…le attività riservate agli intermediari finanziari iscritti nel medesimo elenco» (art. 13, comma 32, cit.); possono prestare ogni forma di garanzia finanziaria in via non prevalente rispetto

all’attività di garanzia collettiva dei fidi. Ebbene, scendendo nel dettaglio tecnico del caso concreto, il dubbio da risolvere concerne la validità (o meno) della fideiussione prestata ad un proprio associato da un Consorzio “confidi minore”, cui, come detto, non sarebbe consentito prestare garanzie diverse da quelle collettive e, in particolare, garanzie fideiussorie nei confronti di terzi privati. Al fine di risolvere il quesito occorre subito chiarire che: a.) non sussistono nullità cd. testuali volte a sanzionare attività, poste in essere dai confidi minori, diverse da quelle di garanzia collettiva dei fidi; b.) l’attività consistente nel rilascio di una garanzia personale qualificabile come fideiussione è attività non soltanto lecita in sé, ma anche “generalizzata” e non “riservata” esclusivamente a banche e ad intermediari finanziari autorizzati. Ciò nonostante, è pur sempre vero che lo svolgimento di attività diverse da quelle consistenti nella garanzia collettiva costituisce condotta certamente censurabile.

Pertanto, occorre comprendere se possa dirsi sussistente una nullità cd. virtuale, analizzando il carattere (imperativo o no?) delle norme che limitano l’oggetto delle attività che possono essere svolte legittimamente da Consorzi appartenenti alla tipologia qui oggetto di attenzione. Al riguardo, la Corte ha avuto modo di precisare come, sulla base di quanto poc’anzi prospettato, possa dirsi quantomeno dubbio che ci si trovi nel campo delle cd. nullità virtuali del contratto (per mancanza di autorizzazioni o mancanza di requisiti soggettivi richiesti dalla legge, già precedentemente elencati, tra i quali si annovera l’iscrizione all’albo). Tuttavia, il Collegio rimettente invita a riflettere sul fatto che «la nullità non apparirebbe più eludibile nel contesto delle nullità virtuali di cui all’art. 1418 co.1 c.c.» qualora si qualificasse in termini imperativi la norma che pone requisiti di operatività a monte dell’esercizio di un’attività finanziaria, regolata e vigilata nell’interesse pubblico. Ancora, e chiudendo la parte dedicata alle nullità, ci si è domandati se il rimedio della nullità, applicato in contesti come quello oggetto d’esame, non sia in verità un rimedio eccessivo rispetto all’agire contrattuale di un terzo di buona fede: l’ennesimo sotto-quesito che si pone è se non sia piuttosto preferibile affrontare il problema dal punto di vista delle nullità cd. protettive. Ripercorrendo la storia del nostro codice alla ricerca di risposte soddisfacenti al fine di dissipare i dubbi ermeneutici illustrati, la Corte osserva come già nella Relazione al codice civile (n. 649) venisse precisato che «la violazione delle norme imperative della legge è ricordata quale ragione autonoma di nullità del contratto per comprendere anche le ipotesi che potrebbero non rientrare nel concetto di causa illecita». Appare, pertanto, evidente lo spostamento del baricentro dell’indagine verso la verifica in concreto degli indici sintomatici della imperatività della norma, onde consentire al giudice di dichiarare la nullità anche nel silenzio del legislatore. La complessità dell’indagine è accentuata dalla constatazione della inattendibilità della identificazione delle norme imperative con quelle inderogabili: se la norma imperativa è per sua natura inderogabile, non è necessariamente vero il contrario, potendosi riscontrare norme inderogabili (dai privati) che non costituiscono espressione di interessi pubblici fondamentali per l’ordinamento. La giurisprudenza ha individuato le norme imperative la cui violazione determina la nullità del contratto essenzialmente in quelle che si riferiscono alla struttura o al contenuto del regolamento negoziale delineato dalle parti, ravvisando il fondamento della disciplina della nullità nella idea della incompletezza o imperfezione della fattispecie negoziale per mancanza dei requisiti essenziali (cfr. Cass. n. 19024 del 2005). In aggiunta ai principi giurisprudenziali qui riassunti non sono mancate  in dottrina voci ed opinioni con le quali si è ritenuto di dover evidenziare un (asserito) passaggio dal «dogma della fattispecie» al «dogma dell’interesse pubblico», intendendosi con quest’ultima espressione segnalare, in termini critici, l’eccessiva genericità della nozione e discrezionalità rimessa al giudice nella individuazione di sempre nuove ipotesi di nullità, in potenziale frizione con i valori di libertà negoziale e di impresa, seppur nel bilanciamento con altri valori costituzionali. La Corte, tuttavia, mostra perplessità di fronte a queste osservazioni, ed anzi chiarisce che “il rischio [dello spostamento poc’anzi] paventato può essere evitato se si considera che la nullità negoziale deve discendere dalla violazione di norme aventi contenuti sufficientemente specifici, precisi e individuati, non potendosi, in mancanza di tali caratteri, pretendere di applicare una sanzione, seppur di natura civilistica, tanto grave quale è la nullità del rapporto negoziale”. Alle argomentazioni si aggiungono due ulteriori considerazioni: in primo luogo, si deve osservare che “la fideiussione non è un contratto indefettibilmente «bancario», né tale la considera il codice civile; la disciplina legislativa di questa figura è identica tanto che la fideiussione sia prestata da una banca, quanto da un altro soggetto, e non diversamente avviene nel caso in cui creditore garantito dalla fideiussione sia una banca”; in secondo luogo, come già precedentemente chiarito e con riferimento al caso concreto, occorre pur sempre tener conto del fatto che dalla semplice constatazione a mente della quale “i cd. «confidi minori» svolgono «esclusivamente» l’attività di garanzia collettiva dei fidi, al fine di favorire l’accesso al credito bancario delle piccole e medie imprese associate”, non è possibile desumere implicitamente un divieto assoluto di svolgere attività diverse e, nel dettaglio, di stipulare fideiussioni. Pertanto, se si parte da questi presupposti e se si circoscrive l’applicazione della nullità alle sole ipotesi in cui sussista una violazione di norme aventi contenuti sufficientemente specifici, precisi e individuati, non può che discendere il principio di diritto inizialmente riportato. 

 

TESTO DELLA SENTENZA 

1.- Preliminarmente, si osserva che la predetta ordinanza ha correttamente giudicato infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per mancanza del provvedimento autorizzatorio del giudice delegato, alla luce del principio secondo cui «ai sensi dell’art. 31 Legge Fall., come riformato dal d.lgs. n. 5 del 2006, non è richiesta l’autorizzazione del giudice delegato per la costituzione del curatore nei giudizi d’impugnazione del decreto di esecutività dello stato passivo e in quelli in materia di dichiarazione tardiva di credito» (cfr. Cass. n. 380 del 2021, n. 11543 del 2017, n. 7918 del 2012). 

2.- Venendo ai motivi di ricorso, il Fallimento Zenith denuncia, con il primo, violazione delle disposizioni, ritenute inderogabili, di cui agli artt. 106-107 e 155, comma 4, applicabili ratione temporis, del d.lgs. 1 settembre 1993 (T.u.b.) e 13 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 (convertito nella legge 24 novembre 2003, n. 326), per avere il Tribunale trascurato di considerare che il Consorzio, essendo un «confidi minore» (o di primo livello) – non vigilato dalla Banca d’Italia, diversamente dagli intermediari autorizzati –, poteva esercitare esclusivamente l’attività di garanzia collettiva dei fidi, consistente nella «prestazione mutualistica e imprenditoriale di garanzie», al fine di favorire l’accesso delle piccole e medie imprese associate al credito di banche o di altri operatori finanziari.

Dunque, poiché solo questi ultimi enti possono essere beneficiari delle garanzie rilasciate dai confidi minori (ai quali è invece vietato di prestarle nei confronti del pubblico), la fideiussione resa dal Consorzio in favore di Zenith era invalida o inefficace. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia violazione dei medesimi parametri normativi suindicati, in relazione all’art.12 delle disposizioni preliminari del codice civile, avendo l’ordinanza impugnata giustificato la validità della fideiussione, valorizzando circostanze di fatto (l’essere la garantita GAI associata al Consorzio e trattandosi di un finanziamento di natura privatistica) estranee alla ratio dell’art. 107 T.u.b. e alla portata precettiva del quadro normativo che regola la materia dei confidi. Il Consorzio ricorrente sostiene dunque che era «iscritto nella sezione dell’elenco generale ai sensi dell’art. 155, comma 4, T.u.b.» (come vigente all’epoca dei fatti in questione), rientrando così tra i cd. confidi «minori»; che i beneficiari delle garanzie rilasciate dai predetti confidi possono essere unicamente banche ovvero altri intermediari autorizzati a concedere finanziamenti; che i «contratti sottoscritti tra privati (quale la fideiussione) così come l’oggetto sociale del Consorzio di Garanzia non possono in alcun caso surrogarsi e/o derogare alle norme inderogabili di cui al richiamato quadro normativo»; che perciò la fideiussione in questione «non è valida/efficace, non è idonea a provare l’esistenza del credito e non è opponibile al Fallimento» del Consorzio; che la diversa ricostruzione del Tribunale si manifesta «contraria alla ratio» della normativa sopra richiamata, nonché ai canoni interpretativi stabiliti nell’art. 12 preleggi. 

3.- Le questioni rimesse alle Sezioni Unite concernono, in sintesi, la validità o (natura ed effetti dell’eventuale) nullità della fideiussione prestata ad un proprio associato (GAI) dal Consorzio Confidi (cd. confidi minore), cui sarebbe «vietato» di prestare garanzie diverse da quella collettiva dei fidi e, in particolare, garanzie fideiussorie nei confronti di terzi privati, non essendo iscritto nell’albo speciale di cui al previgente art. 107 T.u.b. I seguenti passaggi argomentativi contenuti nell’ordinanza interlocutoria servono a chiarire la portata delle questioni in discussione. 

3.1.- La materia dei «confidi» è ricostruita nell’ordinanza con riferimento agli artt. 155 T.u.b. e 13 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito in legge 24 novembre 2003, n.326 e al d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141: si tratta di soggetti, costituiti anche in forma di consorzi e società cooperative, che esercitano «l’attività di garanzia collettiva dei fidi», intesa come «utilizzazione di risorse provenienti in tutto o in parte dalle imprese consorziate o socie per la prestazione mutualistica e imprenditoriale di garanzie volte a favorirne il finanziamento da parte delle banche e degli altri soggetti operanti nel settore finanziario» (art. 13, comma 1, cit.). Duplice è la classificazione dei «confidi»: quelli (di primo livello o «minori») iscritti nella sezione dell’elenco di cui all’art. 155, comma 4, T.u.b., destinati a transitare nell’elenco di cui all’art. 112 (tenuto dall’Organismo di cui all’art. 112 bis) T.u.b., svolgono «esclusivamente» l’attività di garanzia collettiva dei fidi e i servizi strumentali e connessi a favore delle imprese consorziate o socie, attività che consiste nella «prestazione mutualistica e

imprenditoriale di garanzie volte a favorirne il finanziamento da parte delle banche e degli altri soggetti operanti nel settore finanziario» (art. 13, commi 1 e 2, d.l. n. 269 del 2003). I confidi «maggiori», invece, sono: tenuti a iscriversi nell’albo degli intermediari finanziari ex art. 106

(previgente art. 107) T.u.b.; strutturati secondo soglie finanziarie e patrimoniali più elevate; assoggettati ad un più penetrante regime di vigilanza (informativa, ispettiva e regolamentare della Banca d’Italia); «esercitano in via prevalente l’attività di garanzia collettiva dei fidi» e «in via residuale… le attività riservate agli intermediari finanziari iscritti nel medesimo elenco» (art. 13, comma 32, cit.); possono prestare ogni forma di garanzia finanziaria in via non prevalente rispetto all’attività di garanzia collettiva dei fidi (in tal senso sono i «Chiarimenti in materia di rilascio di garanzie» resi dalla Banca d’Italia il 7 ottobre 2011). 

3.2.- L’ordinanza interlocutoria, dopo avere rilevato che «il difetto d’iscrizione all’albo speciale determinerebbe un primo profilo di formale violazione del citato divieto», si interroga sull’esistenza di un simile divieto per i confidi minori di svolgere attività diverse da quella di «garanzia collettiva dei fidi», mancando la previsione di una nullità testuale in tal senso e, al fine di ravvisare una eventuale ipotesi di nullità cd. virtuale, rappresenta l’esigenza di scrutinare la natura, imperativa o no, della norma (asseritamente) limitativa dell’oggetto delle attività consentite ai confidi minori. L’ordinanza prosegue osservando che il rilascio di una fideiussione «è attività di per sé lecita e non riservata alle banche e agli intermediari finanziari autorizzati» (e nella specie prevista anche nell’oggetto sociale del Consorzio ricorrente, risultando dalla visura camerale che «nell’esercizio dell’attività di garanzia collettiva dei fidi possono essere prestate garanzie personali e reali» e che «la coop. può operare, ricorrendone i presupposti di legge, anche con terzi non soci») e che «è pertanto quantomeno dubbio che ci si trovi nel campo delle cd. nullità virtuali del contratto (per mancanza di autorizzazioni o mancanza di requisiti soggettivi - qual è l’iscrizione all’albo - richiesti dalla legge), come sarebbe nel caso in cui il Consorzio fallito avesse esercitato attività vietatagli dall’art. 106 T.u.b.». 

3.3.- E tuttavia, il Collegio rimettente invita a riflettere sul fatto che «la nullità non apparirebbe più eludibile, anche nel contesto delle nullità virtuali di cui all’art.1418 co.1 c.c.» qualora si qualificasse in termini imperativi la norma che pone requisiti di operatività a monte dell’esercizio di un’attività finanziaria, regolata e vigilata nell’interesse pubblico. In questa prospettiva la fattispecie è assimilata, nell’ordinanza interlocutoria, a quella esaminata dal precedente di questa Corte n. 4760 del 2018, per il fatto che anche «per i confidi [la legge prescrive] in materia di intermediazione finanziaria una speciale capacità di una delle parti, assecondata entro un sistema autorizzatorio pubblicistico che ne condiziona gli stessi requisiti soggettivi dell’agire, finendo con il mettere in relazione il divieto normativo di procedere all’attività contrattuale con la sanzione… della nullità del negozio concluso, ex art.1418 co.1 c.c.». Se è vero che, secondo il precedente da ultimo citato (riguardante un deposito a risparmio concluso con soggetto privo dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria) si tratta di una nullità per carenza di un requisito della fattispecie legale che non osta alla conversione ex art. 1424 c.c., ove il negozio sia idoneo a produrre gli effetti di altra fattispecie negoziale (come un comune contratto di mutuo o deposito irregolare) previo accertamento della volontà delle parti, si evidenzia anche che la fideiussione, se nulla, non sarebbe convertibile in altro contratto di garanzia «in cui trasferire conservativamente la volontà delle parti» (così l’ordinanza interlocutoria). 

3.4.- Il Collegio rimettente si interroga, inoltre, sulla ulteriore questione della «congruenza del rimedio della potenziale nullità rispetto all’agire contrattuale del terzo di buona fede [che potrebbe presumersi in capo a Zenith]» e dubita che la nullità del contratto a valle possa essere fatta valere dal Consorzio Confidi che vi ha dato causa per la mera violazione delle norme che prescrivono l’iscrizione nell’apposito elenco, non essendo (la nullità) invocata dal soggetto (GAI) che aveva negoziato la fideiussione procurandosi la garanzia. L’evocazione della categoria della nullità di protezione è argomentata in funzione della ratio protettiva del contraente o parte beneficiaria (il Fallimento Zenith), alla quale – si conclude nell’ordinanza – dovrebbe essere riservata la scelta di agire o meno per far valere a proprio vantaggio la violazione della norma autorizzatoria da parte del fideiubente inadempiente, sempre che se ne possa predicare la nullità virtuale ex art. 1418, comma 1, c.c., non essendo il divieto testualmente sanzionato con la nullità.

 4.- La questione rimessa alle Sezioni Unite concerne, dunque, la nullità o validità della fideiussione rilasciata in favore di un proprio associato (GAI) da un «confidi minore» (il Consorzio di Garanzia) iscritto nell’elenco previsto già dal previgente art. 155, comma 4, T.u.b. Il dubbio sorge essendo previsto che tali operatori esercitino «esclusivamente» l’attività di garanzia collettiva dei fidi e servizi strumentali e connessi nei confronti delle imprese consorziate o socie, avente ad oggetto la «prestazione mutualistica e imprenditoriale di garanzie volte a favorirne il finanziamento da parte delle banche e degli altri soggetti operanti nel settore finanziario». Il quadro normativo richiamato (sub 3.1) non contempla una nullità espressa o testuale con riferimento alle «altre» attività negoziali eventualmente poste in essere da tali soggetti; questione rilevante nella specie, avendo il Consorzio prestato una fideiussione nell’interesse di un proprio associato (GAI) a garanzia di un credito derivante da un contratto (estimatorio) non bancario. 

5.- E’ noto che la mancanza di una espressa sanzione di nullità non è decisiva al fine di escludere la nullità dell’atto negoziale in conflitto con norme imperative, potendo intendersi che ad essa sopperisca il primo comma dell’art. 1418 c.c., in quanto letto come espressivo di un principio di indole generale, rivolto a prevedere e disciplinare proprio il caso in cui alla violazione dei precetti imperativi non si accompagni una previsione espressa di nullità del negozio (cfr. Cass. n. 1591 del 1960). In effetti, già nella Relazione al codice civile (n. 649) si precisava che «la violazione delle norme imperative della legge è ricordata quale ragione autonoma di nullità del contratto per comprendere anche le ipotesi che potrebbero non rientrare nel concetto di causa illecita». L’indagine si sposta allora alla verifica in concreto degli indici sintomatici della imperatività della norma, onde consentire al giudice di dichiarare la nullità anche nel silenzio del legislatore. La complessità dell’indagine è accentuata dalla constatazione della inattendibilità della identificazione delle norme imperative con quelle inderogabili: se la norma imperativa è per sua natura inderogabile, non è necessariamente vero il contrario, potendosi riscontrare norme inderogabili (dai privati) che non costituiscono espressione di interessi pubblici fondamentali per l’ordinamento. Inoltre, se norma imperativa fosse sinonimo di norma inderogabile non si spiegherebbe la possibilità di derogarvi ad opera dell’autonomia privata, nel caso in cui «la legge disponga diversamente» (come da inciso finale del comma 1 dell’art. 1418 c.c.) con la previsione di una sanzione diversa dalla nullità e la possibilità di assicurare l’effettività della norma (imperativa) attraverso la previsione di rimedi diversi non direttamente incidenti sul negozio (cfr., in generale, Cass. n. 525 del 2020, n. 8499 del 2018, n. 25222 del 2010, n. 5372 del 2003 e, tra le più risalenti, n. 892 del 1946). 

  1. 1.- La giurisprudenza ha individuato le norme imperative la cui violazione determina la nullità del contratto essenzialmente in quelle che si riferiscono alla struttura o al contenuto del regolamento negoziale delineato dalle parti, ravvisando il fondamento della disciplina della nullità nella idea della incompletezza o imperfezione della fattispecie negoziale per mancanza dei requisiti essenziali (cfr. Cass. n. 19024 del 2005); un analogo concetto è espresso nel riferimento alla «violazione di disposizioni inderogabili concernenti la validità del contratto» (cfr. Cass. n. 525 del 2020, n. 25222 del 2010), che è ipotesi non riscontrabile in presenza di una diversa forma di invalidità (come, ad esempio, l’annullabilità). La marginalità della categoria della nullità ha conferme testuali, laddove l’art. 2231, comma 1, c.c. non prevede la nullità del contratto ma si limita ad escludere l’azione per il pagamento della retribuzione a chi effettua una prestazione professionale senza essere iscritto in albi o elenchi (si veda anche l’art. 2126 c.c. in senso limitativo degli effetti della nullità del contratto di lavoro). La giurisprudenza progressivamente ha esteso la nullità anche alla violazione di norme che riguardano elementi estranei al contenuto o alla struttura del negozio, ricomprendendosi nell’area delle norme di cui all’art. 1418, comma 1, c.c. anche quelle che, in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni oggettive e soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipula stessa del contratto ponendo la sua esistenza in contrasto con la norma imperativa (cfr., in generale, Cass. n. 8066 del 2016, SU n. 26724 del 2007): in caso di mancanza di una prescritta autorizzazione a contrarre o di clausole concepite in modo da consentire l’aggiramento di divieti a contrarre (cfr., tra le altre, Cass. n. 4853 del 2012, n. 20261 del 2006, n. 9767 del 2005), o di mancanza di necessari requisiti soggettivi di uno dei contraenti (cfr., tra le altre, Cass. n. 16281 del 2005, n. 11247 del 2003, n. 5052 del 2001), oppure in caso di contratti le cui clausole siano tali da sottrarre una delle parti agli obblighi di controllo su di essa gravanti (cfr. Cass. n. 4605 del 1983). In definitiva, pur nel polimorfismo che caratterizza la nozione di nullità negoziale, un elemento accomunante nella evoluzione giurisprudenziale si coglie nella tendenza attuale a utilizzare tale nozione – e quella di norma imperativa – come strumento di reazione dell’ordinamento rispetto alle forme di programmazione negoziale lesive di valori giuridici fondamentali. Una volta superato l’approccio del codice del 1865, che configurava la nullità del contratto come uno strumento che consentiva di disconoscere gli effetti del negozio quando la manifestazione di volontà e lo stesso volere negoziale fossero compromessi (o la fattispecie fosse dissonante rispetto allo schema legale tipico), il focus dell’indagine sulla imperatività della norma violata si appunta ora sulla natura dell’interesse leso che si individua nei preminenti interessi generali della collettività (cfr., da ultimo, Cass. n. 2316 del 2022 e n. 27120 del 2017, con riferimento al diritto alla salute e ai principi di buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa). Nella ricordata evoluzione giurisprudenziale si è intravisto in dottrina il segno del passaggio dal «dogma della fattispecie» al «dogma dell’interesse pubblico», intendendosi con quest’ultima espressione segnalare, in termini critici, l’eccessiva genericità della nozione e discrezionalità rimessa al giudice nella individuazione di sempre nuove ipotesi di nullità, in potenziale frizione con i valori di libertà negoziale e di impresa, seppur nel bilanciamento con altri valori costituzionali. In realtà, il rischio paventato può essere evitato se si considera che la nullità negoziale deve discendere dalla violazione di norme aventi contenuti sufficientemente specifici, precisi e individuati, non potendosi, in mancanza di tali caratteri, pretendere di applicare una sanzione, seppur di natura civilistica, tanto grave quale è la nullità del rapporto negoziale. 

6.- Ad avviso del Collegio, la questione rimessa alle Sezioni Unite dev’essere risolta nel senso che non sussiste la prospettata nullità del contratto stipulato dal Consorzio di Garanzia ricorrente.

  1. 1.- Innanzitutto è necessario soffermarsi sull’ordinanza n. 4760 del 2018, richiamata nell’ordinanza interlocutoria. Secondo questo precedente è nullo per contrasto con norme imperative (cd. nullità «virtuale»), ai sensi dell’art. 1418, comma 1, c.c., il contratto di deposito a risparmio concluso con un soggetto professionalmente dedito all’attività di raccolta del risparmio tra il pubblico, ma privo dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria prescritta dall’art. 14 T.u.b., stante la rilevanza del requisito soggettivo nella struttura dei contratti bancari, nei quali una delle parti è individuata indefettibilmente in una banca, in considerazione degli interessi pubblici sottesi alla riserva dell’attività bancaria alle imprese autorizzate. Nel caso in esame, invece, viene in rilievo un contratto di fideiussione concluso dal Consorzio di Garanzia (neppure nei confronti del pubblico ma) nell’interesse di un proprio associato a garanzia di un credito derivante da un contratto (estimatorio) non bancario. Si tratta di un contratto di fideiussione di diritto comune, la cui stipulazione non è riservata ai soggetti autorizzati dal T.u.b. e non può dirsi, in mancanza di specifiche disposizioni proibitive, «vietata» a un soggetto come il Consorzio di Garanzia che, prima di essere un confidi, è una società cooperativa a r.l., il cui oggetto sociale, tra l’altro, gli consentiva di prestare garanzie personali e reali e di operare anche con terzi non soci. Si tratta dunque di fattispecie non assimilabili tra loro. 

6.2.- Il Consorzio ricorrente, in linea con i già citati «Chiarimenti in materia di rilascio di garanzie» resi dalla Banca d’Italia, sostiene l’opposta tesi – condivisa dal Procuratore Generale nella requisitoria scritta ma non dal Collegio – secondo cui «a tali operatori, diversamente dai Confidi maggiori [autorizzati ex art. 107 T.u.b.] è, perciò, vietato l’esercizio di prestazioni di garanzie diverse da quelle sopra indicate e, in particolare, nei confronti del pubblico, nonché l’esercizio delle altre attività riservate agli intermediari finanziari». In realtà, un divieto del genere non è previsto dalla legge, ma lo si vorrebbe ricavare indirettamente o implicitamente dalle norme che dispongono che i «confidi minori» iscritti nella sezione dell’elenco di cui all’art. 155, comma 4, T.u.b. esercitano «in via esclusiva» o «esclusivamente» l’attività di garanzia collettiva dei fidi e i servizi a essa connessi o strumentali, per favorire il finanziamento delle imprese consorziate o socie da parte delle banche e degli altri soggetti operanti nel settore finanziario (artt. 13, comma 2, d.l. n. 269 del 2003; 12, comma 1, T.u.b.; 5, comma 1, d.m. 2 aprile 2015, n. 53). E tuttavia, tali previsioni limitative delle attività dei confidi non fanno perdere al Consorzio di Garanzia la capacità di agire che gli è propria quale società cooperativa e, dunque, la capacità di rilasciare garanzie non dirette a favorire il finanziamento da parte delle banche e degli altri operatori finanziari; né rileva – ai fini della valutazione della liceità dell’attività negoziale compiuta – che lo stesso Consorzio abbia agito spendendo la propria qualità di confidi. Se è vero, inoltre, che «l’iscrizione nella sezione [dell’elenco previsto dall’art. 106, comma 1, T.u.b.] non abilita a effettuare le altre operazioni riservate agli intermediari finanziari iscritti nel citato elenco» (art. 13, comma 37, d.l. n. 269 del 2003, che ha sostituito l’art. 155, comma 4, T.u.b.), è anche vero che al Consorzio non è contestato il compimento di tali «altre operazioni» (nei confronti del pubblico), ma solo di avere concluso un contratto di fideiussione a favore di un proprio associato, che è un’attività non riservata dall’ordinamento a soggetti autorizzati. La fideiussione non è un contratto indefettibilmente «bancario», né tale la considera il codice civile; non è corredata di una disciplina negoziale ad hoc allorché uno dei suoi contraenti sia una banca o altro soggetto autorizzato dal TUB, ad eccezione che per le regole di trasparenza (titolo VI del T.u.b.) che qui non vengono in rilievo. Per il resto, la disciplina legislativa di questa figura è identica tanto che la fideiussione sia prestata da una banca, quanto da un altro soggetto, e non diversamente avviene nel caso in cui creditore garantito dalla fideiussione sia una banca. Il ricorrente sostiene che solo i confidi autorizzati ex art. 107 T.u.b. (non quindi il Consorzio ricorrente) possono prestare ogni forma di garanzia finanziaria, compresa quella fideiussoria. La tesi non è fondata neppure alla luce del d.m. n. 53 del 2015 (emesso peraltro successivamente alla stipulazione del contratto di fideiussione), il quale contiene norme in materia di «attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma» svolta dagli intermediari finanziari «nei confronti del pubblico» e cioè «nei confronti dei terzi con carattere di professionalità» (artt. 2 e 3), senza riservare agli stessi (come si evince dal combinato disposto degli artt. 3, comma 2, lett. c), e 2, comma 1, lett. f) il rilascio di fideiussioni che, per altro verso, non è vietato ai «confidi» dagli artt. 4 e 5. 

6.3.- Dalle richiamate disposizioni (sub 3.1 e 6.2), secondo le quali i cd. «confidi minori» svolgono «esclusivamente» l’attività di garanzia collettiva dei fidi, al fine di favorire l’accesso al credito bancario delle piccole e medie imprese associate, non è possibile – come si è detto – desumere implicitamente un divieto assoluto di svolgere attività diverse. Si dovrebbe altrimenti postulare che, secondo il codice civile, chiunque possa rilasciare fideiussioni, ad eccezione delle cooperative, alle quali sarebbe inibito di prestarle a favore dei propri associati La soluzione qui condivisa è conforme a quella accolta dalla giurisprudenza in materia di contratti estranei all’oggetto sociale delle società assicuratrici (che per legge dev’essere limitato «all’esercizio dell’attività assicurativa, riassicurativa e di capitalizzazione e delle operazioni connesse a tali attività»), sebbene sia prevista l’espressa

«esclusione di qualsiasi altra attività commerciale» (art. 5, comma 2, della legge 10 giugno 1978, n. 295). Si ritiene infatti che tale divieto «non impedisce loro di compiere singoli atti non aventi natura assicurativa, purché ciò non si traduca in una sistematica attività implicante l’assunzione di un rischio imprenditoriale indipendente ed estremo rispetto a quello tipico dell’assicuratore» (Cass. n. 384 del 2018, n. 20107 del 2015, SU n. 30174 del 2011). Quando il legislatore ha inteso prevedere la nullità lo ha fatto espressamente: si pensi all’art. 167 del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, in tema di contratto di assicurazione stipulato con un’impresa non autorizzata. Nella stessa direzione si è ritenuto che, in assenza di un divieto generale di porre in essere attività negoziali, la stipulazione di un contratto di affitto di azienda da parte del beneficiario di un finanziamento pubblico in violazione della normativa di settore (nella specie, del d.m. n. 527 del 1995 di agevolazione delle attività produttive nelle aree depresse) non è causa di nullità del contratto. A tal fine, la Corte ha ritenuto che la violazione di una norma imperativa non dà luogo necessariamente a nullità, giacché l’art. 1418, comma 1, c.c., con l’inciso «salvo che la legge disponga diversamente», impone all’interprete di accertare se il legislatore, anche nel caso di inosservanza del precetto, abbia consentito la validità del negozio predisponendo un meccanismo idoneo a realizzare gli effetti voluti della norma (cfr. Cass. n. 8499 del 2018).

6.4.- La nullità negoziale, ex art. 1418, comma 1, c.c., deve dunque discendere dalla violazione di norme (tendenzialmente, seppur non necessariamente, proibitive) aventi contenuti sufficientemente specifici, precisi e individuati, non potendosi, in mancanza di tali caratteri, applicare una sanzione, seppur di natura civilistica, tanto grave quale la nullità del rapporto negoziale, neppure evocando astrattamente valori o interessi di ordine generale (come, nella specie, la stabilità e integrità dei mercati), cui possono contrapporsi altri valori e interessi di rango costituzionale, tra i quali quelli alla libertà negoziale e al diritto di iniziativa economica (tutelati anche nella Carta dei diritti fondamentale della UE, art. 16) con i limiti indicati nella Costituzione (art. 41, commi 1 e 2). 

6.5.- In conclusione, la fideiussione prestata da un cd. «confidi minore», come il Consorzio ricorrente, Soc. Coop. r.l., iscritto nell’elenco di cui all’art. 155, comma 4, T.u.b. (ratione temporis applicabile), nell’interesse di un proprio associato a garanzia di un credito derivante da un contratto non bancario, non è nulla per violazione di norma imperativa, non essendo la nullità prevista in modo testuale, né ricavabile indirettamente dalla previsione secondo la quale detti soggetti svolgono «esclusivamente» la «attività di garanzia collettiva dei fidi e i servizi a essa connessi o strumentali» per favorire il finanziamento da parte delle banche e degli altri soggetti operanti nel settore finanziario. Il rilascio di fideiussioni è attività non riservata a soggetti autorizzati (come gli intermediari finanziari ex art. 107 T.u.b.), né preclusa alle società cooperative che operino in coerenza con l’oggetto sociale. 

6.6.- Se non vi è nullità del contratto, non serve interrogarsi su quali siano i meccanismi idonei a realizzare gli effetti voluti dal precetto che impropriamente si assume violato e su quali siano i rimedi. Le questioni illustrate sub 3.4 restano pertanto assorbite. 

7.- Ne consegue l’infondatezza dei motivi formulati dal ricorrente (sub 2) e il rigetto del ricorso. 

8.- Le spese sono compensate, in considerazione della novità e complessità delle questioni trattate.

Bibliografia e letture consigliate

M. LOPINTO, Nullità cd. virtuali di protezione e cause di giustificazione atipiche: l’atipicità nella tutela civile e penale, in Riv. ILCASO.it, www.ilcaso.it. 

M. LOPINTO, Cenni teorici, tabelle, passaggi fondamentali, schemi e brevi note intorno alle Sezioni Unite civili n. 41994 del 30 Dicembre 2021, in Riv. ILCASO.it, www.ilcaso.it.

 

Il presente contributo era già stato pubblicato come “bozza” su Academia.edu il 9 Aprile 2022.