Fideiussioni omnibus: l’efficacia estensiva della declaratoria di nullità della clausola di deroga all’art. 1957 c.c.
Fideiussioni omnibus: l’efficacia estensiva della declaratoria di nullità della clausola di deroga all’art. 1957 c.c.
Abstract: La declaratoria di nullità, operata dalla Banca d’Italia, di una clausola, inserita nel contratto di “fideiussione omnibus”, con la quale venga prevista una deroga al meccanismo decadenziale del creditore nei confronti del fideiussore, previsto dall’art. 1957 c.c., estende i suoi effetti sia ai contratti sottoscritti successivamente al periodo in cui essa è stata resa (e ciò in base all’art. 117 comma 8 del T.U. Bancario), sia ai contratti di fideiussione che non rientrino nella categoria delle “fideiussioni omnibus” (e ciò in base all’art. 40 bis dello stesso T.U.).
Tuttavia, laddove il fideiussore, nonostante la declaratoria di nullità della suddetta clausola, abbia comunque acconsentito, in virtù di apposita pattuizione contrattuale, ad adempiere all’obbligazione “a semplice richiesta scritta” del creditore, deve ritenersi che tale consenso comporti, necessariamente, una “rinuncia” a far valere la decadenza del creditore nell’ipotesi prevista dall’art. 1957 c.c., e ciò in quanto, nella disciplina della fideiussione, l’unico caso in cui non è ammessa una preventiva rinuncia del fideiussore ai propri diritti è quello di cui all’art. 1956 c.c., il quale disciplina una fattispecie diversa.
L’art. 1957 c.c. stabilisce che “il fideiussore rimane obbligato anche dopo la scadenza dell'obbligazione principale, purché il creditore entro sei mesi abbia proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”.
L’ABI, esercitando il proprio potere di predisporre schemi negoziali concernenti condizioni generali di contratto da applicare alla clientela, aveva concordato con alcune associazioni di consumatori, nel mese di Ottobre del 2002, il contenuto del contratto di “fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie” (cosiddetta fideiussione omnibus), ossia la garanzia fornita da un soggetto (fideiussore) a beneficio di qualunque obbligazione, presente e futura, del debitore di una banca.
L’art. 6 dello schema contrattuale prevedeva che “i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 cod. civ., che si intende derogato”.
Lo schema prevedeva, poi, due clausole c.d. “di reviviscenza” dell’obbligazione fideiussoria, ossia:
- quella in base alla quale il fideiussore è tenuto “a rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo” (art. 2);
- quella in base alla quale “qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate” (art. 8).
La Banca d’Italia, con provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005, ha dichiarato che le norme contenute negli artt. 2 ed 8 sono in contrasto con l’articolo 2, comma 2, lettera a), della legge n. 287/90, e, pertanto, ne ha sancito la nullità.
Il Tribunale di Siracusa, con ordinanza del 1° agosto 2025, ha sollevato le seguenti questioni, ai sensi dell'art. 363-bis c.p.c.:
1) “Se una fideiussione contenente le clausole di reviviscenza, di sopravvivenza e di deroga all'art. 1957 c.c., censurate da Banca d'Italia con il provvedimento sanzionatorio n. 55 del 2.5.2005, possa dirsi legata da nesso funzionale alla intesa restrittiva della concorrenza sanzionata dalla autorità di vigilanza, e possa dunque reputarsi nulla, anche se rilasciata al di fuori del periodo compreso tra il 2002 ed il 2005, in relazione al quale soltanto è stato condotto l'accertamento della predetta Banca d'Italia”.
2) “Se una fideiussione contenente le clausole di reviviscenza, di sopravvivenza e di deroga all'art. 1957 c.c., censurate da Banca d'Italia con il provvedimento sanzionatorio n. 55 del 2.5.2005, possa dirsi legata da nesso funzionale alla intesa restrittiva della concorrenza sanzionata dalla autorità di vigilanza, e possa dunque reputarsi nulla, anche se rilasciata per una specifica operazione e non rientrante nella categoria delle fideiussioni omnibus”
3) “Se, nell'ambito di una fideiussione riproduttiva delle clausole di reviviscenza, di sopravvivenza e di deroga all'art. 1957 c.c. censurate da Banca d'Italia con il provvedimento sanzionatorio n. 55 del 2.5.2005, una volta accertate la nullità di tali previsioni negoziali e la applicabilità (o riespansione) della disciplina suppletiva del codice civile, la pattuizione contemplante la possibilità di ottenere il pagamento a semplice richiesta scritta - del pari contenuta nel testo fideiussorio - valga o meno ad attribuire al creditore la facoltà di evitare la decadenza di cui all'art. 1957 c.c. mediante mera istanza stragiudiziale, senza alcuna necessità di avviare iniziative di carattere giurisdizionale”.
• In merito alla questione di cui al punto 1)
Ci si chiede se la declaratoria di nullità, resa dalla Banca d’Italia nei riguardi delle clausole reviviscenza, di sopravvivenza e di deroga all'art. 1957 c.c., possa considerarsi efficace anche nel caso in cui la fideiussione sia stata rilasciata dopo il periodo in relazione al quale la suddetta declaratoria è intervenuta.
Pertanto ci si chiede se la decisione della Banca di ritenere nulla una determinata clausola possa estendere la sua efficacia temporale anche a contratti sottoscritti successivamente quello in cui era stata inserita la clausola stessa, e quindi se essa abbia effetti “erga omnes”.
L’art. 117 comma 8 del T.U. Bancario (D.lgs. 385/1993, di seguito “T.U.”) prevede che “la Banca d'Italia può prescrivere che determinati contratti, individuati attraverso una particolare denominazione o sulla base di specifici criteri qualificativi, abbiano un contenuto tipico determinato. I contratti difformi sono nulli”.
La sanzione della nullità per i contratti difformi da quelli “tipo”, ha un senso proprio se può applicarsi anche a fattispecie negoziali sorte nel periodo successivo a quello nel quale tale sanzione è stata stabilita. La “tipizzazione”, ossia la “standardizzazione”, del contenuto di alcune clausole negoziali, nasce dall’esigenza di garantire che, fino al momento in cui la Banca non riterrà opportuno elaborare nuovi contratti – tipo, gli operatori del settore si astengano dall’applicare clausole in contrasto con le prime e quindi, perciò stesso, “nulle”. L’accertamento, da parte della Banca d’Italia, della nullità di clausole inserite in contratti sottoscritti in un determinato arco temporale, potrebbe non produrre i suoi effetti sui contratti sottoscritti in epoca successiva solo nel caso in cui, a tale momento, la Banca abbia adottato un’interpretazione differente, basata sulla piena legittimità della clausola stessa. Ma una simile interpretazione potrebbe essere costituita soltanto dall’adozione di “nuovi” contratti – tipo, abrogativi di quelli precedenti.
Inoltre, il T.U., nella sezione dedicata alla “trasparenza delle condizioni contrattuali” (artt. 115 – 128 ter), non contiene una norma la quale stabilisca espressamente che l’interpretazione fornita dalla Banca d’Italia in relazione ad una determinata clausola contrattuale, abbia effetto limitatamente al caso di specie, ossia non si applichi anche a fattispecie sorte successivamente, come invece accade per la risposta fornita dall’Agenzia delle Entrate all’istanza di interpello presentata dal contribuente, risposta che, ai sensi dell’art. 11 comma 5 della Legge 212/2000, vale “con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell'istanza e limitatamente al richiedente”.
Ma, anche nell’ipotesi in cui il T.U. contenesse una previsione del genere, si tratterebbe comunque di due fattispecie diverse: un conto è l’interpretazione volta a verificare se nella fattispecie sussista il presupposto previsto dalla norma impositiva, norma la cui legittimità, ossia la cui conformità a quelli che sono i principi generali dell’ordinamento, non viene messa in discussione; un altro conto è l’interpretazione volta a verificare che una determinata clausola debba considerarsi illegittima in quanto contrastante con i suddetti principi. Nel primo caso, l’interpretazione potrebbe anche valere solo per il caso di specie e limitatamente al richiedente, ma, nel secondo caso, essa, poiché dichiara l’illegittimità della clausola, non può che assumere un’efficacia erga omnes, ossia estesa a “tutti” i contratti che verranno stipulati in epoca successiva.
• In merito alla questione di cui al punto 2)
Ci si chiede se la declaratoria di nullità, operata dalla Banca d’Italia nei riguardi delle clausole reviviscenza, di sopravvivenza e di deroga all'art. 1957 c.c., possa considerarsi efficace anche nel caso in cui la fideiussione sia stata rilasciata per una singola, specifica, operazione, e quindi anche se non rientri nella categoria delle c.d. “fideiussioni omnibus”.
Una premessa in merito a tale tipologia di fideiussioni appare doverosa.
Il codice civile non ne detta una disciplina specifica.
Tali fideiussioni hanno ad oggetto “tutte” le obbligazioni contratte dal debitore, e cioè non solo quella, specifica, per la quale la garanzia viene prestata, ma anche quelle che in futuro verranno contratte dallo stesso debitore.
Da un lato, ai sensi dell’art. 1938 c.c., la fideiussione prestata per un’obbligazione futura è valida solo se viene previsto “l’importo massimo garantito”. La ratio è che, siccome si tratta di un’obbligazione che dovrà ancora venire ad esistenza e che è incerta nel “quantum”, il fideiussore, se dovesse vincolarsi già da ora al pagamento di un “qualsiasi” importo (quindi in teoria anche elevato), potrebbe ritrovarsi, al momento della nascita dell’obbligazione principale, a dover sostenere una spesa che, in quel determinato momento, non è in grado di sostenere, a causa di un mutamento della propria situazione patrimoniale verificatosi nel lasso di tempo intercorso tra la stipula della fideiussione e l’insorgenza dell’obbligazione principale. Egli, quindi, si ritroverebbe poi inevitabilmente a dover richiedere, nella suddetta eventualità, la risoluzione del contratto di fideiussione per “eccessiva onerosità sopravvenuta” ex art. 1467 c.c., e ciò lederebbe il diritto del creditore a poter contare su una garanzia il cui importo sia esattamente corrispondente a quello del credito.
Dall’altro lato, ai sensi dell’art. 1941 c.c., “la fideiussione non può eccedere ciò che è dovuto dal debitore, né può essere prestata a condizioni più onerose”. Tale norma potrebbe essere interpretata come segue:
mentre non è valida, ai sensi dell’art. 1938 c.c., la fideiussione il cui importo ecceda quello dell’obbligazione principale, in quanto, se così fosse, il creditore conseguirebbe, mediante l’attivazione dell’obbligazione di garanzia, un arricchimento eccedente l’ammontare del credito vantato verso il debitore, dovrebbe invece, proprio per questo, essere ritenuta valida la fideiussione la quale abbia ad oggetto, genericamente, “tutte” le obbligazioni contratte dal debitore, e cioè non solo quella, specifica, per la quale la garanzia viene prestata, ma anche quelle che in futuro verranno contratte dallo stesso debitore, purchè l’importo della garanzia non superi mai l’ammontare di ciascuna di esse. In tal caso, se, nel periodo compreso tra la stipula della fideiussione e l’insorgenza dell’obbligazione principale, si dovesse verificare un mutamento della situazione patrimoniale del fideiussore tale da far venir meno la sua solvibilità, quest’ultimo, proprio in virtù dell’art. 1941 c.c., non potrà invocare la risoluzione del contratto di fideiussione per “eccessiva onerosità sopravvenuta” in quanto l’art. 1467 c.c. prevede che questa non possa chiedersi quando tale onerosità rientri “nella normale alea contrattuale”, ossia nell’ordinario rischio negoziale, “normalità” che in tal caso deriva direttamente, appunto, dalla norma contenuta nello stesso art. 1941 c.c. .
Ciò premesso, l’art. 117 comma 8 del T.U. Bancario (D.lgs. 385/1993, di seguito “T.U.”) – come già segnalato al punto 1) – prevede che “la Banca d'Italia può prescrivere che determinati contratti, individuati attraverso una particolare denominazione o sulla base di specifici criteri qualificativi, abbiano un contenuto tipico determinato. I contratti difformi sono nulli”.
La Banca ha la piena facoltà di stabilire che la nullità di determinate clausole si applichi, indistintamente, a “tutti” i contratti di una medesima tipologia, o in quanto aventi la stessa denominazione od in quanto caratterizzati da alcuni particolari aspetti.
Nel caso in esame, “fideiussione semplice” e “fideiussione omnibus” sono due contratti essenzialmente diversi, in quanto la prima è finalizzata a garantire l’adempimento di un’obbligazione già esistente, mentre la seconda è volta a garantire il pagamento di un debito futuro.
Pertanto, in base a questo criterio, si dovrebbe ritenere che la declaratoria di nullità di una clausola, resa in relazione ad una “fideiussione semplice”, non possa estendersi anche ad una “fideiussione omnibus”.
L’art. 40 bis del T.U. stabilisce – in deroga all’art. 2847 c.c., il quale prevede che l’iscrizione dell’ipoteca conservi il suo effetto per 20 anni dalla sua data – che l’ipoteca si estingua “automaticamente alla data di estinzione dell'obbligazione garantita”. L’art. 144 comma 1 lett. D) del T.U. stabilisce che i contratti i quali rechino una clausola in contrasto con l’art. 40 bis – ossia una clausola la quale non preveda l’estinzione automatica dell’ipoteca, debbano essere considerati come “nulli”. Che differenza c’è tra la nullità della clausola la quale non preveda l’automatica estinzione della garanzia ipotecaria quando si estingue l’obbligazione principale, e la nullità della clausola con la quale, in deroga all’art. 1957 c.c., si prevede che la garanzia fideiussoria non si estingua neanche nel caso in cui il creditore, entro 6 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita, non abbia proseguito le sue istanze contro il debitore principale? Nel primo caso la clausola (nulla) prevede la sopravvivenza della garanzia ipotecaria anche dopo che l’obbligazione principale è stata adempiuta e si è quindi estinta, mentre nel secondo caso la clausola (nulla) prevede che la garanzia fideiussoria sopravviva anche laddove il creditore non abbia agito contro il debitore entro il termine di scadenza dell’obbligazione principale e, oltre a non aver agito, non abbia neanche proseguito le sue istanze contro il debitore medesimo. La sopravvivenza della garanzia (ipotecaria) quando l’obbligazione principale sia stata estinta, è “grave” tanto quanto la sopravvivenza della garanzia (fideiussoria) quando il creditore sia rimasto inerte nel richiedere al debitore la prestazione una volta che il termine per l’adempimento sia scaduto: anzi, probabilmente, in questo secondo caso, essa è addirittura più grave in quanto l’inerzia del creditore trova la sua disciplina i una norma specifica del codice civile, ossia nell’art. 1206 (c.d. “mora credendi”).
Ebbene, l’art. 144, siccome disciplina le sanzioni da applicare alle banche le quali abbiano fatto uso della suddetta clausola (nulla) contrastante con l’art. 40 bis, dovrebbe considerarsi come “norma di chiusura” in materia negoziale, ossia come disposizione che, seppur dettata in materia di mutui ipotecari, è destinata ad estendere la sua efficacia anche a clausole “sostanzialmente analoghe” (vedi la clausola di deroga all’art. 1957 c.c.) le quali siano state inserite in altri contratti (appunto, quello di fideiussione).
Il potere sanzionatorio della Banca d’Italia si giustifica, a differenza degli altri atti di natura provvedimentale adottati da quest’ultima, proprio perché nasce dall’esigenza di privare di effetti “qualsivoglia” clausola la quale abbia ad oggetto una determinata, medesima, fattispecie, indipendentemente dalla denominazione dei diversi contratti (“contratto di mutuo ipotecario” o “contratto di fideiussione”) che prevedano tale clausola.
Sotto questo aspetto, quindi, dovrebbe ritenersi che la declaratoria di nullità di una clausola, resa in relazione ad una “fideiussione semplice”, possa estendersi anche ad una “fideiussione omnibus”.
• In merito alla questione di cui al punto 3)
Ci si chiede se l’attribuzione al creditore, prevista da apposita pattuizione contrattuale, della facoltà di ottenere il pagamento “a semplice richiesta scritta”, sia idonea a consentire al medesimo di evitare la decadenza prevista dall’art. 1957 c.c. nel caso in cui egli non abbia continuato, entro 6 mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita, a rivolgere le sue istanze contro il debitore principale. La domanda quindi è la seguente: la possibilità per il creditore, riconosciuta dal contratto, di ottenere dal fideiussore il pagamento “a semplice richiesta scritta”, determina una rinuncia, da parte del fideiussore stesso, a far valere la decadenza del creditore nel caso in cui questi, entro il termine sopra citato, non abbia proseguito le sue istanze nei confronti del debitore principale?
L’art. 1957 c.c., nel disciplinare la decadenza, non prevede espressamente che il fideiussore possa rinunciarvi.
E’, però, anche vero che l’unico caso in cui non è valida una “preventiva rinuncia” del fideiussore, è quello avente ad oggetto la facoltà del medesimo di avvalersi della liberazione per un’obbligazione futura quando il creditore, pur sapendo che le condizioni patrimoniali del debitore difficilmente avrebbero potuto consentire a quest’ultimo di adempiere all’obbligazione, abbia ugualmente deciso, senza autorizzazione dello stesso fideiussore, di fare credito al terzo (art. 1956 c.c.). Il principio, quindi, è quello per cui il fideiussore non può rinunciare a far valere un proprio diritto (quello, appunto, alla definitiva liberazione dall’obbligazione) se il creditore ha concesso al debitore una dilazione senza prima aver acquisito il nulla osta del fideiussore stesso. Quest’ultimo, pertanto, non può rinunciare ad un proprio diritto quando non è stato messo nella condizione di esprimere il proprio parere in merito alla persistenza della propria obbligazione di garanzia (persistenza conseguente alla concessione fatta dal creditore).
Per questo stesso motivo, allora, si dovrebbe ritenere che, nel diverso caso – come quello in esame – in cui il fideiussore abbia aderito alla pattuizione contrattuale in base alla quale il creditore avrebbe potuto chiedergli il pagamento mediante “semplice richiesta scritta”, e quindi abbia dato un parere favorevole all’esercizio del diritto del creditore, automaticamente tale adesione comporti, necessariamente, una “rinuncia” a far valere la decadenza del creditore nell’ipotesi prevista dall’art. 1957 c.c. .