L’inammissibilità della domanda risarcitoria ex art. 96 c.p.c. proposta in un giudizio separato: rilevabilità di ufficio anche da parte del Giudice dell’impugnazione

L’inammissibilità della domanda risarcitoria ex art. 96 c.p.c. proposta in un giudizio separato: rilevabilità di ufficio anche da parte del Giudice dell’impugnazione
ABSTRACT
La decisione, emessa dal Giudice di primo grado, di concedere, alla parte vittoriosa nel merito, il risarcimento danni per “lite temeraria” (art. 96 c.p.c.) in un giudizio separato anziché nello stesso giudizio di merito (come invece prescritto dallo stesso art. 96 c.p.c.), deve considerarsi in contrasto sia con il principio di economicità dell’attività giurisdizionale (art. 97 della Costituzione), sia con i principi generali di carattere processual civilistico in quanto le uniche questioni trattabili in un giudizio separato da quello di merito sono soltanto quelle la cui decisione può determinare l’esito di quest’ultimo (art. 187 comma 2 e 266 c.p.c.), mentre la condanna risarcitoria ex art. 96 c.p.c. non condiziona il suddetto esito ma ne è, al contrario, la conseguenza naturale.
La nullità di tale decisione, quindi, poiché lesiva sia di una norma costituzionale sia di principi generali, deve considerarsi rilevabile di ufficio anche da parte del Giudice dell’impugnazione ex art. 157 c.p.c., a prescindere da un’istanza di parte.
The decision issued by the first-instance judge to award damages to the prevailing party for "frivolous litigation" (Article 96 of the Code of Civil Procedure) in a separate proceeding rather than in the same trial on the merits (as required by Article 96 of the Code of Civil Procedure) must be considered in conflict with both the principle of cost-effectiveness of judicial activity (Article 97 of the Constitution) and with general principles of civil procedure, since the only issues that can be addressed in a trial separate from the trial on the merits are those whose decision can determine the outcome of the latter (Article 187, paragraph 2, and Article 266 of the Code of Civil Procedure), while the award of damages pursuant to Article 96 of the Code of Civil Procedure does not affect the aforementioned outcome but is, on the contrary, its natural consequence.
The nullity of this decision, therefore, since it violates both a constitutional provision and general principles, must be considered as declarable ex officio also by the Appellate Judge pursuant to art. 157 of the Code of Civil Procedure, regardless of any request from a party.
L’art. 96 c.p.c., il quale disciplina la c.d. “lite temeraria”, prevede che “se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d'ufficio, nella sentenza”. Dalla formulazione letterale della norma (danno che il Giudice liquida “nella sentenza”), parrebbe che la domanda di condanna per temerarietà della lite debba essere necessariamente proposta nello stesso giudizio con cui la controparte è stata dichiarata soccombente nel merito, e non possa quindi essere oggetto di un successivo autonomo giudizio: si parla, infatti, non di “una” sentenza qualsiasi, che quindi potrebbe essere resa anche in un altro giudizio, ma “della” sentenza con cui è stata pronunciata la condanna nel merito. Di conseguenza, un’eventuale domanda di condanna ex art. 96 c.p.c., ove proposta non nello stesso giudizio di merito ma in un altro giudizio, dovrebbe essere destinata ad essere dichiarata inammissibile.
La Cassazione SSUU è stata chiamata a pronunciarsi su un caso nel quale la parte vittoriosa nel merito aveva proposto in un separato giudizio, anziché nello stesso giudizio di merito, la domanda risarcitoria ex art. 96 c.p.c. . Tuttavia il Giudice che aveva concesso tale misura, aveva omesso di rilevare di ufficio l’inammissibilità della domanda (appunto in quanto proposta in un giudizio separato), ma la controparte, a cui carico tale risarcimento era stato disposto, aveva omesso di sollevare, innanzi allo stesso Giudice, la questione dell’inammissibilità. Il Giudice dell’impugnazione, avendo ritenuto che tale questione fosse rilevabile di ufficio anche da lui, aveva riconosciuto come illegittima la sentenza nella parte in cui aveva concesso il risarcimento, e ciò anche se la controparte non aveva sollevato la medesima questione neanche nel giudizio di impugnazione. La parte, vittoriosa nel merito in primo grado ed a cui favore il risarcimento era stato disposto, aveva eccepito, dinanzi al Giudice di appello, che quest’ultimo non poteva rilevare di ufficio la suddetta questione proprio in quanto non sollevata dalla controparte.
La Cassazione, con la sentenza n. 24172 del 29.08.2025, ha ritenuto sussistere il suddetto onere di impugnazione, sulla base dell’art. 161 comma 1 c.p.c., a norma del quale “la nullità delle sentenze soggette ad appello o a ricorso per cassazione può essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole proprie di questi mezzi d'impugnazione”. Essa ha, infatti, aderito all’orientamento secondo cui “il Giudice di primo grado deve pronunciarsi d’ufficio su una questione processuale per la quale è prescritto un termine di decadenza o il compimento di una determinata attività - in difetto di espressa previsione normativa della rilevabilità “in ogni stato e grado” ed escluse le ipotesi di vizi talmente gravi da pregiudicare interessi di rilievo costituzionale - entro il grado di giudizio nel quale essa si è manifestata; se, invece, detto giudice abbia deciso la controversia nel merito, omettendo di pronunciare d’ufficio sulla questione, resterebbe precluso l’esercizio del potere di rilievo d’ufficio sulla stessa, per la prima volta, tanto al giudice di appello quanto a quello di cassazione, ove non sia stata oggetto di impugnazione o non sia stata ritualmente riproposta. Si sarebbe infatti formato un giudicato implicito interno in applicazione del principio di conversione delle ragioni di nullità della sentenza in motivi di gravame, come previsto dall’art. 161 c.p.c.”.
Il principio affermato dalla Corte è il seguente: se il Giudice di primo grado omette di dichiarare inammissibile la domanda risarcitoria ex art. 96 c.p.c. proposta in un giudizio separato da quello di merito, e pertanto concede, illegittimamente (in base allo stesso art. 96), il risarcimento, tale vizio di legittimità, in quanto configurante una causa di nullità della sentenza stessa, deve essere impugnato (“fatto valere”, ex art. 161 c.p.c.) dall’appellante, senza che il Giudice di appello possa supplire, con il suo potere di rilevazione ex officio, alla mancata impugnazione.
L’art. 157 c.p.c. prevede, in materia di invalidità degli atti processuali (e tra questi vi è, in primis, la sentenza) che “non può pronunciarsi la nullità senza istanza di parte, se la legge non dispone che sia pronunciata d'ufficio”. La nullità della decisione di primo grado deve essere fatta valere mediante ricorso della parte, a meno che si tratti di una causa di nullità rilevabile anche di ufficio dal Giudice dell’impugnazione.
Chi scrive ritiene che la nullità della decisione di primo grado sia rilevabile in ogni grado del procedimento, e quindi anche dal Giudice dell’impugnazione, nella misura in cui essa sia “gravemente lesiva” di quelli che sono i principi fondamentali ai quali le sentenze debbono uniformarsi.
La questione è, quindi, la seguente: la decisione del Giudice di primo grado di concedere, in un separato giudizio anziché nello stesso giudizio di merito, il risarcimento ex art. 96 c.p.c., si può considerare come “gravemente lesiva” dei suddetti principi, e quindi come rilevabile anche dal Giudice dell’impugnazione, a prescindere da un’istanza dell’appellante?
Quanto è grave” il fatto che il risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c. sia stato concesso in un giudizio separato (anziché in quello di merito)? In tal caso, ad essere leso è stato l’interesse pubblico all’economicità dell’attività giurisdizionale in quanto è stato attivato un secondo giudizio per l’ottenimento di una decisione (il risarcimento per lite temeraria) che la parte, vittoriosa nel merito, avrebbe potuto tranquillamente ottenere presentando apposita istanza nel medesimo giudizio di merito, come del resto espressamente prescrive lo stesso art. 96 c.p.c. . Considerato che l’interesse leso è tutelato dall’art. 97 della Costituzione quale principio fondamentale dell’ordinamento, tale lesione deve reputarsi “grave”, e quindi si deve ritenere che il Giudice dell’impugnazione ben possa (anzi: debba) rilevare di ufficio, ossia a prescindere da un’apposita “istanza” della controparte, il vizio di legittimità della sentenza con la quale il Giudice di primo grado abbia concesso, in un giudizio separato (anziché nel medesimo giudizio di merito), la misura risarcitoria. E, a tal riguardo, desta “un po' di stupore” il fatto che la Suprema Corte, nella sentenza in commento, abbia escluso la sussistenza, nel caso di specie, di “vizi talmente gravi da pregiudicare interessi di rilievo costituzionale”.
Inoltre, in base a quanto stabilito dall’art. 187 comma 2 c.p.c., una trattazione separata dal giudizio può essere riservata solo ad una questione la cui decisione possa “definire il giudizio”. Invece, la condanna risarcitoria ex art. 96 c.p.c. è non propedeutica alla definizione del giudizio (infatti, è già stata emessa la sentenza di condanna nel merito) bensì consequenziale alla definizione stessa (la condanna al risarcimento è “un effetto” della sentenza di merito, e non una sua “causa”).
Un’altra questione che può essere oggetto di trattazione in un giudizio separato, è quella riguardante il rendimento di conti. L’art. 266 c.p.c. prevede infatti che “la revisione del conto che la parte ha approvato può essere chiesta, anche in separato processo, soltanto in caso di errore materiale, omissione, falsità o duplicazione di partite”. Chi viene citato in giudizio per essere condannato a pagare somme che risultano da un determinato conto, che viene da egli approvato, può chiedere la revisione del conto in un giudizio successivo appositamente instaurato, e la domanda di revisione, se viene accettata, comporta una modifica della decisione di merito. Invece, come sopra già evidenziato, l’accoglimento della domanda risarcitoria ex art. 96 c.p.c. non comporta alcuna modifica della sentenza di merito, costituendo, anzi, l’effetto naturale di quest’ultima.
Pertanto, siccome le questioni trattabili in un giudizio separato da quello di merito sono soltanto quelle la cui decisione può determinare l’esito di quest’ultimo, e siccome invece la condanna risarcitoria ex art. 96 c.p.c. non condiziona il suddetto esito ma ne è, al contrario, la conseguenza naturale, si deve ritenere che tale condanna non possa essere pronunciata in un giudizio diverso da quello di merito, pena il contrasto con i principi generali, e che quindi simile pronuncia, essendo stata emessa in violazione di questi ultimi, possa (anzi: debba) essere rilevata dal Giudice dell’impugnazione anche in assenza di un’istanza di parte.