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Improcedibilità ex art. 344-bis c.p.p. e la sua corsa ad ostacoli

Nota a Cass. pen., sez. VII, 43883/2021
messa alla prova
Ph. Alessandro Saggio / messa alla prova

Improcedibilità ex art. 344-bis c.p.p. e la sua corsa ad ostacoli: nota a Cass. pen., sez. VII, 43883/2021

La questione

Il difensore di un imputato ha fatto ricorso per cassazione chiedendo tra l’altro una pronuncia di improcedibilità ai sensi dell’art. 344-bis, commi 2 e 3, c.p.p., sul presupposto della decorrenza di un anno dai 90 giorni successivi al termine fissato per il deposito della sentenza impugnata.

Ha contestualmente proposto questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, L. 134/2021 poiché, limitando l’improcedibilità ai soli procedimenti di impugnazione che hanno ad oggetto reati compiuti a partire dall’1° gennaio 2020, lede il principio di uguaglianza formale sancito dall’art. 3 Cost. dal momento che il nuovo istituto, data la sua natura sostanziale, dovrebbe essere applicato retroattivamente ad ogni procedimento senza alcuna limitazione temporale.
 

La decisione

Il collegio della settima sezione ha anzitutto dichiarato inammissibili i motivi proposti.

Ha poi ricordato, in adesione al costante orientamento delle Sezioni unite, che la proposizione di un ricorso inammissibile impedisce il regolare avvio della fase processuale di legittimità, fa sì che si formi un giudicato sostanziale e preclude al giudice dell’impugnazione la possibilità di rilevare eventuali cause di non punibilità ex art. 129 c.p.p.

Questo indirizzo interpretativo, pur nato attorno alla prescrizione, può essere agevolmente esteso all’improcedibilità.

Sebbene l’istituto sia stato chiaramente creato per garantire la ragionevole durata del processo, si tratta comunque di una correlazione teleologica solo tendenziale che deve essere posta in secondo piano allorché emergano tentativi di strumentalizzazione realizzati attraverso la proposizione di ricorsi inammissibili.

Questa constatazione rende irrilevante la questione di illegittimità costituzionale, tanto più considerando la mancata decorrenza del termine di un anno dall’entrata in vigore della L. 134/2021, solo oltrepassato il quale matura l’improcedibilità di fase per il giudizio in cassazione.

Anche a prescindere dalle considerazioni che precedono, la questione di illegittimità è manifestamente infondata.

Il principio di legalità comprende innegabilmente anche le implicazioni sostanziali delle norme processuali ma è comunque indispensabile interpretarle in modo coerente alla funzione assegnata all’istituto di riferimento e agli interessi protetti.

Entro questa cornice, il regime transitorio posto dalla Legge 134 è ragionevole poiché da un lato soddisfa l’esigenza di coordinamento con precedenti novelle come quella dovuta alla L. 3/2019 e dall’altro agevola un’adeguata riorganizzazione degli uffici giudiziari al nuovo regime.
 

Il commento

L’assegnazione di un ricorso alla settima sezione avviene in virtù di una previsione: che il ricorso stesso sia verosimilmente inammissibile (art. 610, comma 1, c.p.p.).

Le attese, come si è visto, non sono andate deluse.

La motivazione della decisione mostra tuttavia più di una crepa.

Si riconosce – e in effetti non ci voleva un grande sforzo – che le implicazioni sostanziali dell’improcedibilità sono coperte dal principio di legalità e che l’istituto ha un indiscutibile referente costituzionale nella previsione della ragionevole durata del processo.

Fatte queste concessioni, le si depotenzia subito dopo varando il fin qui inedito concetto della “correlazione teleologica solo tendenziale”, destinata a soccombere allorché emerga che l’accusato abbia provato a tenere artificiosamente in vita il giudizio con un ricorso inammissibile al solo scopo di lucrare l’improcedibilità.

C’è più di qualcosa che sembra non funzionare in questa sequenza.

Il primo dubbio ha a che fare con la missione auto-assegnatasi dai giudici di legittimità di disincentivare e comunque sanzionare drasticamente l’uso strumentale dell’impugnazione.

Questo compito, che ovviamente si incrocia con il concetto di abuso del diritto, non spetta al giudice per la semplice ragione dell’inesistenza nella legge penale di una norma positiva che configuri l’abuso come una clausola generale e legittimi indirizzi interpretativi reattivi, sull’ovvio presupposto che una norma del genere, se esistente, consegnerebbe all’interprete un indebito potere creativo tale da frustrare il principio di determinatezza che è un corollario essenziale del principio di legalità [1].

Il secondo riguarda la sequenza inammissibilità>mancata costituzione del rapporto processuale>formazione del giudicato sostanziale > preclusione alla dichiarazione di improcedibilità.

Anche messa in disparte la pur pertinente osservazione che questa sequenza è interamente edificata per via giurisprudenziale e non era né ovvio né necessario che le cose fossero intese in queste modo, è comunque impossibile prescindere dall’abnorme percentuale di ricorsi (sette su dieci) che soccombono sotto la scure dell’inammissibilità, con motivazioni sempre più spesso impalpabili o ideologicamente censurabili (come nel caso dei ricorsi dichiarati inammissibili perché fondati su indirizzi minoritari).

La domanda è questa: si può assumere come punto di partenza di una sequenza che porta ad effetti preclusivi la dichiarazione di inammissibilità così come oggi intesa dal giudice di legittimità? Non è come ampliare a dismisura un potere di vita e morte dei ricorsi già oggi vastissimo e concedere nuove armi a quella che molti definiscono “giurisprudenza difensiva”?

Ancora, pare ugualmente censurabile la tendenza, di cui la sentenza commentata è solo uno dei tanti esempi, a considerare sacrificabili il principio di legalità e i suoi portati ogni qualvolta il loro rispetto imponga prezzi da pagare in punto di estinzione di giudizi.

Infine, i giudici di legittimità considerano apprezzabile il regime transitorio varato dall’art. 2 della L. 134/2021 poiché è direttamente funzionale alla riorganizzazione degli uffici giudiziari.

Questa sì, sia consentito dire, è una “connessione teleologica solo tendenziale” se solo si considera la prorompente tendenza degli uffici giudiziari italiani, sia pur con i dovuti distinguo e con eccezioni lodevoli, a considerare il tempo come una variabile indipendente.

[1] Si rinvia, per un approfondimento del tema, a V. Giglio, L’enigma delle SRL unipersonali nel rapporto con la responsabilità degli enti. Nota a Cass. pen., sez. VI, sentenza n. 45100/2021, paragrafo 3.2, in Sistema 231, n. 1/2022, a questo link.