Definizione agevolata ex Legge 197/2022: crediti extra tributari e posizione del fideiussore non aderente

Definizione agevolata ex Legge 197/2022: crediti extra tributari e posizione del fideiussore non aderente
ABSTRACT
L’istituto della definizione agevolata con contestuale rinuncia al giudizio pendente, previsto dall’art. 1 commi 231 – 252 della Legge n. 197/2022, pur essendo applicabile anche ai crediti extra tributari (comma 247), appare di difficile applicabilità ai crediti restitutori della PA, ossia a quelli che vengono tutelati mediante l’azione di ripetizione d’indebito, in quanto tale azione deriva da un precedente provvedimento con cui la stessa PA aveva, illegittimamente, riconosciuto al privato un determinato beneficio economico, e quindi, ove il credito restitutorio fosse oggetto di definizione agevolata, si genererebbe un danno erariale, conseguente al fatto che il privato restituirebbe solo 1/3 di quanto ad egli (illegittimamente) erogato, venendo in tal modo ad essere vanificato l’annullamento, disposto in via di autotutela, dell’atto illegittimo.
The institute of the facilitated definition with simultaneous waiver of the pending judgment, provided for by art. 1 paragraphs 231 - 252 of Law no. 197/2022, although also applicable to non-tax credits (paragraph 247), appears difficult to apply to the PA's restitution credits, i.e. those that are protected through the action for recovery of undue payments, since such action derives from a previous provision with which the PA itself had, illegitimately, recognized a specific economic benefit to the private individual, and therefore, if the restitution credit were the subject of a facilitated definition, a financial damage would be generated, consequent to the fact that the private individual would return only 1/3 of what was (illegitimately) paid to him, thus nullifying the cancellation, ordered by way of self-protection, of the illegitimate act.
Nel caso in cui soltanto il contribuente abbia aderito all’accordo di definizione agevolata, ed invece il fideiussore non vi abbia aderito, deve ritenersi che anche quest’ultimo possa giovarsi della definizione, in quanto questa costituisce sostanzialmente una “remissione parziale del debito” (e non una “transazione”), e pertanto si applica l’art. 1239 comma 1 c.c., a norma del quale “la remissione accordata al debitore principale libera i fideiussori”.
Inoltre, l’estensione al fideiussore (anche non aderente alla definizione agevolata) dell’effetto liberatorio prodotto dall’adesione (e dal successivo pagamento) del contribuente, deriva dall’art. 1941 c.c., a norma del quale “la fideiussione non può eccedere ciò che è dovuto dal debitore, né può essere prestata a condizioni più onerose”.
In the event that only the taxpayer has adhered to the facilitated settlement agreement, and the guarantor has not adhered to it, it must be considered that the latter can also benefit from the settlement, as this essentially constitutes a "partial remission of the debt" (and not a "transaction"), and therefore art. 1239 paragraph 1 of the civil code applies, pursuant to which "the remission granted to the principal debtor releases the guarantors". Furthermore, the extension to the guarantor (even if not adhering to the facilitated settlement) of the liberating effect produced by the adhesion (and subsequent payment) of the taxpayer derives from art. 1941 of the civil code, pursuant to which "the surety cannot exceed what is owed by the debtor, nor can it be provided under more onerous conditions".
La Legge 197 del 23.12.2022 – c.d. “Rottamazione quater” – attribuisce al contribuente la possibilità di utilizzare l’istituto della definizione agevolata, il quale si trova disciplinato dall’art. 16 comma 3 del D.lgs. 472/1997, che così dispone: “entro il termine previsto per la proposizione del ricorso, il trasgressore e gli obbligati in solido possono definire la controversia con il pagamento di un importo pari ad un terzo della sanzione indicata e comunque non inferiore ad un terzo dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo. La definizione agevolata impedisce l'irrogazione delle sanzioni accessorie”.
L’art. 1 comma 236 della Legge prevede tuttavia, quale condizione per usufruire del suddetto istituto, che il debitore si assuma l’impegno di rinunciare al giudizio pendente riguardante il medesimo debito che deve essere oggetto della definizione. Tale giudizio viene sospeso previa presentazione, da parte del contribuente stesso, della copia della dichiarazione di rinuncia. Tuttavia, l’estinzione del giudizio “è subordinata all'effettivo perfezionamento della definizione e alla produzione, nello stesso giudizio, della documentazione attestante i pagamenti effettuati”; nel caso di mancato pagamento, il Giudice revoca la sospensione.
La Cassazione, Sezione Terza Civile, con ordinanza interlocutoria n. 8383 del 30.03.2025, ha disposto la trasmissione del ricorso alla Prima Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, delle seguenti questioni:
1) se l’istituto della definizione agevolata con contestuale rinuncia al giudizio pendente si applichi anche ai crediti non aventi natura tributaria, e, in particolare, ad un credito di natura restitutoria (azione di ripetizione d’indebito);
2) quale sia la posizione del coobbligato in via solidale con il debitore principale (nel caso di specie, si tratta di un fideiussore), il quale non abbia aderito alla definizione agevolata, ossia se il pagamento effettuato da uno solo dei coobbligati liberi anche il coobbligato non aderente, e quindi se anche quest’ultimo possa beneficiare dell’estinzione del giudizio
• In merito alla prima questione.
La disciplina relativa alla definizione agevolata, prevista dall’art. 1 della Legge 197/2022, è essenzialmente imperniata sui crediti tributari.
Senza voler passare in rassegna i commi dal 231 al 252 dell’art. 1 della Legge, basti pensare al comma 240, il quale indica, tra gli effetti della presentazione della dichiarazione di cui al comma 236, l’impossibilità di iscrizione di nuovi fermi amministrativi, ossia di quei provvedimenti con i quali l’Agente della riscossione – e quindi il creditore tributario, e non “qualsiasi altro” creditore – vieta al contribuente di continuare ad utilizzare il proprio veicolo nel caso in cui egli non abbia provveduto, entro il termine previsto dall’art. 50 comma 1 del DPR 602/1973, ossia dalla normativa dettata in materia di riscossione dei crediti “tributari”, al pagamento del debito iscritto a ruolo.
Tuttavia, il comma 247 dell’art. 1 prevede che la disciplina relativa alla definizione agevolata con contestuale rinuncia al giudizio – ossia, appunto, quella contenuta nei commi da 231 a 252 – si applica anche alle “sanzioni amministrative, comprese quelle per violazioni del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, diverse da quelle irrogate per violazioni tributarie o per violazione degli obblighi relativi ai contributi e ai premi dovuti agli enti previdenziali”. Tale norma, quindi, rappresenta una significativa apertura, anche a crediti non tributari, della disciplina sopra citata.
Il fatto, però, è che l’applicabilità anche ai crediti extra tributari è prevista “limitatamente agli interessi”, e cioè in relazione soltanto ad una voce accessoria del credito.
Ebbene, nel D.lgs. 472/97 oggetto della definizione agevolata sono le “sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie”, e non “il credito” tributario. La sanzione è un provvedimento punitivo il quale consegue all’inadempimento dell’obbligazione tributaria, ma non è, essa stessa, il “credito” corrispondente a tale obbligazione. Essa, pertanto, non può che essere qualificata come un “accessorio” del credito, esattamente così come lo sono gli “interessi”. Quindi, di per sé, il fatto che, in base al comma 247, la disciplina relativa alla definizione agevolata con contestuale rinuncia al giudizio sia applicabile anche ai crediti erariali extra tributari ma solo per quel che attiene agli “interessi”, non sembra possa rappresentare un problema, in quanto l’oggetto della definizione è comunque anch’esso costituito da una componente accessoria del credito (ossia la sanzione), e non dal “credito” stesso.
Pertanto, posto che la definizione agevolata con contestuale rinuncia al giudizio è applicabile anche ai crediti extra tributari, si tratta di vedere se ciò valga anche per un credito erariale di natura restitutoria, ossia avente ad oggetto il recupero di indebiti (l’ordinanza di rimessione parla di “cartelle attivate per i crediti di natura diversa” da quella tributaria).
Quando l’azione di ripetizione d’indebito è esercitata dalla PA, ciò vuol dire che questa, in precedenza, ha riconosciuto al privato una somma che a quest’ultimo invece non avrebbe dovuto essere corrisposta, ragion per cui ora la stessa PA chiede il rimborso.
Ove si ammettesse che anche un credito restitutorio della PA possa essere oggetto di definizione agevolata con contestuale rinuncia al giudizio, la conseguenza sarebbe questa: la PA dovrebbe riscuotere dal privato una somma a questi indebitamente corrisposta, ma essa, scegliendo di addivenire alla suddetta definizione, “si accontenta” di vedersi restituita solo una parte (ossia 1/3) della somma stessa.
Al riguardo, occorre rilevare che, mentre la “sanzione” di cui alla Legge 197/2022 consegue ad un inadempimento del contribuente, e quindi ad un procedimento amministrativo il quale si è concluso con l’accertamento della qualità di “debitore” in capo al medesimo, invece la “ripetizione d’indebito” consegue sostanzialmente ad un “errore” della PA, poiché questa in passato ha erogato al privato una somma alla quale questi non aveva diritto, e quindi fa seguito ad un provvedimento illegittimamente adottato dalla stessa, laddove tale illegittimità si presta ad essere inquadrata sotto il profilo dell’eccesso di potere per travisamento del fatto ai sensi dell’art. 21 octies comma 1 della Legge 241/90, ossia la PA aveva ritenuto erroneamente come esistente il presupposto previsto per l’erogazione della somma. Essa, accortasi di tale “errore”, adesso vuole agire in ripetizione d’indebito per ottenere la restituzione della suddetta somma. Quest’azione altro non è che l’effetto dell’annullamento, in via di autotutela, dell’atto (illegittimo) con il quale la somma era stata erogata al privato, annullamento che, non a caso, ha ad oggetto, ai sensi dell’art. 21 nonies della suddetta Legge, “i provvedimenti di attribuzione di vantaggi economici”. Pertanto, l’azione di ripetizione d’indebito è uno strumento di cui la PA si avvale per ripristinare la legalità violata.
Cosa succederebbe se essa non annullasse l’atto, e quindi non esercitasse l’azione? Lo stesso art. 21 nonies stabilisce che “rimangono ferme le responsabilità connesse all'adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo”, e quindi la PA dovrebbe essere chiamata a rispondere di danno erariale per non aver recuperato, tramite l’annullamento dell’atto e la successiva azione giudiziale (indebito), quanto dovuto dal privato. Ebbene, il medesimo danno la PA lo causerebbe anche qualora decidesse di “negoziare” il credito restitutorio avvalendosi dell’istituto della definizione agevolata: in tal caso, infatti, essa accetterebbe di poter riscuotere solo una parte (1/3) di tale credito – nascente, lo si ribadisce, da un suo provvedimento illegittimo – e quindi sarebbe chiamata a rispondere, per quanto solo parzialmente (1/3, infatti, verrà comunque riscosso), di danno erariale, incorrendo pertanto nella stessa responsabilità prevista dall’art. 21 nonies della Legge 241/90.
Si deve quindi ritenere che il credito (extra tributario) della PA, tutelabile mediante l’azione di ripetizione d’indebito, non possa essere oggetto della definizione agevolata con contestuale rinuncia al giudizio di cui all’art. 1 commi 231 – 252 della Legge n. 197/2022.
Peraltro, alla tesi sopra esposta si potrebbe obiettare quanto segue.
L’art. 3 del D.lgs. 472/1997, nel disciplinare il principio di legalità, così dispone: “salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile. Se la sanzione è già stata irrogata con provvedimento definitivo il debito residuo si estingue, ma non è ammessa ripetizione di quanto pagato”. Il principio di legalità è contenuto nell’art. 25 della Costituzione, e quindi esso – non è mai superfluo ricordarlo – rappresenta un valore fondante “tutto” l’ordinamento. Di conseguenza, l’art. 3 del D.lgs. deve considerarsi applicabile a “tutti” gli istituti da esso disciplinati, e quindi anche a quello della definizione agevolata di cui all’art. 16 comma 3.
Ne deriva, quindi, ciò: se una legge posteriore all’illecito tributario stabilisce che quest’ultimo non debba più essere sanzionato, il contribuente, il quale era stato ammesso al beneficio della definizione agevolata, si vedrà sgravare della parte di sanzione rimasta insoluta, ma non potrà agire in ripetizione d’indebito per chiedere la restituzione di quanto già pagato.
Egli, quindi, non potrà recuperare, mediante l’azione di ripetizione, quanto in precedenza pagato per effetto della definizione agevolata.
Ebbene, proprio per controbilanciare l’impossibilità, per il contribuente, di esercitare l’azione di ripetizione al fine di conseguire la restituzione di quanto versato a seguito della definizione agevolata, si potrebbe ritenere legittimo che, nel caso inverso, e cioè quando è la PA ad agire in ripetizione, il credito (anche extra tributario, in base al comma 247 dell’art. 1 della Legge 197/2022) di quest’ultima possa essere oggetto di definizione agevolata e che quindi il medesimo sia “negoziabile” da parte del debitore.
Peraltro, quest’obiezione appare superabile in quanto l’impossibilità, per il contribuente, di agire in ripetizione, si giustifica in base al principio generale del “tempus regit actum”, per effetto del quale, quando un illecito (in tal caso, tributario) è stato accertato con un atto amministrativo definitivo, nato dal fatto che il contribuente non lo ha impugnato o che la sua impugnazione è stata respinta in ultima istanza, la situazione giuridica accertata con il suddetto atto acquista il carattere della “certezza” e della “stabilità”. Pertanto, la ragione per la quale il contribuente non può proporre istanza restitutoria, risiede nel suddetto principio, il quale riveste una rilevanza primaria nell’ordinamento, e quindi l’art. 3 sopra citato non può essere preso a riferimento per sostenere la tesi secondo cui anche il credito restitutorio della PA può essere oggetto di definizione agevolata.
• In merito alla seconda questione
Il debitore principale (contribuente) ha aderito all’accordo di definizione agevolata con l’Amministrazione Finanziaria (di seguito “AF”), mentre il fideiussore non ha aderito: ciò implica che il fideiussore, non essendo stato partecipe del suddetto accordo, non possa beneficiare della riduzione della sanzione ex art. 16 comma 3 D.lgs. 472/97, e rimanga quindi comunque obbligato a pagare l’intero importo della medesima?
Il D.lgs. prevede un’efficacia estensiva, ossia a beneficio degli altri soggetti obbligati, del pagamento eseguito da uno solo di questi, soltanto nel caso in cui anche gli altri soggetti siano stati “responsabili della violazione”: l’art. 9, infatti, prevede che “quando la violazione consiste nell'omissione di un comportamento cui sono obbligati in solido più soggetti, è irrogata una sola sanzione e il pagamento eseguito da uno dei responsabili libera tutti gli altri”; il coobbligato può sì beneficiare del pagamento eseguito da un altro coobbligato, ma solo quando anch’egli sia stato “autore della violazione”, e non anche quando ricopra il ruolo di “garante dell’obbligazione”, ossia di fideiussore.
Inoltre, l’art. 16 comma 3 del D.lgs. prevede che, entro il termine per la proposizione del ricorso, “il trasgressore e gli obbligati in solido possono definire la controversia …”.
L’uso del verbo “possono” implica che la definizione costituisce una scelta “individuale”, sia del contribuente sia del coobbligato. Non si dice che la scelta del contribuente si estende automaticamente anche al coobbligato: il primo potrebbe decidere di aderire, ma il secondo potrebbe anche decidere di non aderire.
In tal caso, pertanto, mentre il contribuente, avendo scelto di avvalersi della definizione, viene ammesso al pagamento della sanzione in misura ridotta, il coobbligato, non essendosi avvalso di tale facoltà, resta obbligato a pagare l’intero importo della sanzione. Quindi l’adesione del contribuente non libera il coobbligato il quale non abbia aderito.
Tuttavia, sul punto si rileva quanto segue.
Nel D.lgs. la posizione dell’obbligato solidale (e quindi del fideiussore) viene esaminata anche per quel che attiene all’istituto del ravvedimento (art. 13). Quest’ultimo consiste nel fatto che la sanzione viene ridotta in una determinata misura a seconda del lasso di tempo intercorso tra l’inadempienza – ossia il mancato pagamento del debito tributario – ed il pagamento: più è breve questo lasso di tempo e maggiore sarà la riduzione della sanzione. Quindi, l’istituto del ravvedimento è assimilabile, nella sostanza, a quello della definizione agevolata, in quanto anche quest’ultima, ex art. 16 comma 3 del D.lgs., consiste nel pagamento della sanzione in misura ridotta.
Ebbene, in base all’art. 13, il beneficio della riduzione spetta solo a condizione che “la violazione non sia stata già constatata e comunque non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l'autore o i soggetti solidalmente obbligati, abbiano avuto formale conoscenza”. La norma non dice: l’autore della violazione (ossia il contribuente) “ed” i soggetti solidalmente obbligati; il primo è indicato “in alternativa” ai secondi.
Quindi, affinchè il contribuente (debitore principale) possa fruire del suddetto beneficio, non è richiesto che sia lui sia il coobbligato non abbiano mai avuto notizia di un’attività di accertamento in corso: egli potrà essere ammesso al beneficio anche se è stato solo il coobbligato a non essere mai stato a conoscenza di tale attività (mentre lui, invece, ne era pienamente a conoscenza).
Da ciò pertanto si ricava che il contribuente, quando vuole pagare la sanzione in misura ridotta, potrà giovarsi dello stato soggettivo di “buona fede” del coobbligato, ossia della mancata conoscenza, da parte di quest’ultimo, di una attività istruttoria già intrapresa da parte dell’AF.
Proviamo allora ad applicare questo principio all’istituto della definizione agevolata con contestuale rinuncia al giudizio, di cui ai commi 231 – 252 della Legge 197/2022: è legittimo sostenere che la mancata adesione del coobbligato alla definizione agevolata, alla quale invece aveva aderito il contribuente (debitore principale), non produca un effetto liberatorio per il coobbligato stesso, laddove il contribuente abbia provveduto al pagamento di quanto dovuto e quindi abbia estinto l’obbligazione?
Al riguardo, l’osservazione da fare è la seguente: se il contribuente può permettersi di “sfruttare” lo stato soggettivo di buona fede del coobbligato (mancata conoscenza di un’attività di accertamento già avviata) al fine di poter pagare la sanzione in misura ridotta (art. 13 del D.lgs.), allora deve essere riconosciuta al coobbligato la possibilità di “sfruttare”, al fine di liberarsi definitivamente dalla responsabilità solidale, il pagamento che il contribuente abbia eseguito in piena ottemperanza all’accordo di definizione agevolata con contestuale rinuncia alla prosecuzione del giudizio, anche nel caso in cui lo stesso coobbligato non abbia mai aderito al suddetto accordo. Non si comprende per quale motivo il contribuente possa avvalersi della buona fede del coobbligato per fruire della riduzione della sanzione (vedi ravvedimento), ed il coobbligato, invece, non possa avvalersi dell’adesione del debitore principale alla definizione agevolata (nonché del successivo pagamento eseguito da quest’ultimo) per fruire della liberazione dall’obbligazione solidale.
Si rifletta, poi, su quest’altro aspetto.
Si potrebbe sostenere che la definizione agevolata, siccome si concreta nel pagamento di 1/3 della sanzione prevista, si traduca in una sostanziale “concessione”, che l’AF fa al contribuente, consistente appunto nel consentire a quest’ultimo di fruire del beneficio della riduzione della sanzione, e che pertanto la stessa sia riconducibile alla fattispecie della “transazione”.
Il problema, però, è questo: affinchè possa configurarsi una “transazione”, è necessario che le “concessioni” che le parti si fanno siano “reciproche”, e cioè siano caratterizzate da un “do ut des”.
Nel caso della definizione agevolata, l’unica parte che risulta fare una “concessione” è l’AF, poiché questa, addivenendo all’accordo, sostanzialmente si rende autrice di una “remissione parziale” del credito sanzionatorio: essa, infatti, rinuncia ad esigere l’intero importo della sanzione, “accontentandosi” di riscuoterne una parte (1/3). Dall’altra parte, invece, il contribuente non “rinuncia” ad alcun suo diritto o facoltà: egli è tenuto, per legge, al pagamento dell’intera sanzione, e tuttavia la legge stessa gli offre la possibilità, AF permettendo, di pagare in misura ridotta. Il contribuente, quindi, dalla definizione agevolata ottiene solo vantaggi e nessuno svantaggio, tant’è che, ai sensi dell’art. 16 comma 3 D.lgs., quest’ultima “impedisce l'irrogazione delle sanzioni accessorie” e quindi libera il contribuente stesso da qualsivoglia altra pretesa dell’AF.
Pertanto, mancando il presupposto della “reciprocità delle concessioni”, la definizione agevolata non può essere assimilata ad una “transazione”. Essa si presta, piuttosto, per i motivi di cui sopra, ad essere inquadrata nell’ambito della “remissione parziale” del debito.
Ebbene, ai sensi dell’art. 1239 comma 1 c.c., “la remissione accordata al debitore principale libera i fideiussori”.
Un’altra ragione per la quale tale effetto liberatorio deve ritenersi pienamente operante, è la seguente.
L’adesione del contribuente (debitore principale) all’accordo di definizione agevolata, ha l’effetto di “determinare” l’importo della prestazione da egli dovuta.
Ai sensi dell’art. 1941 c.c., “la fideiussione non può eccedere ciò che è dovuto dal debitore, né può essere prestata a condizioni più onerose”. Il valore dell’obbligazione di garanzia deve corrispondere a quello dell’obbligazione principale: non può eccedere quest’ultimo.
Pertanto, per effetto di tale norma, l’obbligazione del fideiussore non può superare l’ammontare della prestazione “determinata” dalla suddetta adesione e quindi “dovuta” in base a quest’ultima.
La tesi secondo cui la mancata adesione del fideiussore alla definizione agevolata impedisce la liberazione del medesimo dall’obbligazione del contribuente, comporta questa conseguenza: l’AF riscuote dal contribuente (aderente) 1/3 della sanzione, e, allo stesso tempo, potrà comunque riscuotere dal fideiussore la restante parte della sanzione. Ma in questo modo il fideiussore viene ad adempiere ad un’obbligazione (di garanzia) che supera il valore dell’obbligazione principale, quale determinato dalla suddetta adesione, e quindi si configura una violazione dell’art. 1941 c.c. .
Di conseguenza, deve ritenersi che il pagamento eseguito dal contribuente, mediante la definizione agevolata con contestuale rinuncia al giudizio pendente ex art. 1 commi 231 – 252 della Legge n. 197/2022, liberi il fideiussore, anche laddove quest’ultimo non abbia aderito alla definizione stessa.