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Conseguenze del carattere fideiussorio della responsabilità solidale degli associati

Negli approfondimenti che ci hanno preceduto è stato trattato il tema della responsabilità patrimoniale delle associazioni non riconosciute
responsabilità solidale
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Negli approfondimenti che ci hanno preceduto è stato trattato il tema della responsabilità patrimoniale delle associazioni non riconosciute.

Si è in particolare posto in rilievo il concetto della c.d., “autonomia patrimoniale imperfetta”, attribuita dal nostro ordinamento alle associazioni non riconosciute.

Ciò nonostante le succitate non soltanto siano soggetti di diritto distinti dagli associati ma, soprattutto, siano dotate di un proprio patrimonio autonomo costituito dal fondo comune.

Norma di riferimento è l’articolo 38 del codice civile che statuisce: per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione”.

Proprio l’ultima parte della prefata normativa sembra prefigurare, quindi, per le obbligazioni negoziali contratte dagli associati che abbiano agito in nome e conto dell’associazione non riconosciuta, che anche questi rispondano, personalmente e solidalmente, con il loro patrimonio personale.

Da ciò ne consegue che, per le associazioni non riconosciute, il nostro ordinamento parrebbe aver delineato, in aggiunta alla garanzia del fondo comune, una responsabilità personale e solidale di coloro i quali abbiano compiuto atti costituenti fonti di obbligazione per l’ente.

La ratio di tale principio è l’esigenza di tutelare i terzi i quali, proprio a causa degli attuali limiti della pubblicità legale, potrebbero aver ignorato la consistenza economica del fondo comune dell’associazione non riconosciuta, ma aver fatto ragionevole affidamento sulla consistenza patrimoniale e sulla solvibilità di chi ha negoziato con loro.

Si è dunque giunti ad affermare che l’obbligazione non sia collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione ma, più concretamente, all’attività negoziale, svolta per conto dell’associazione non riconosciuta, e da cui è scaturita l’instaurazione di rapporti obbligatori verso i terzi (Cass. Civ., Sez. I, 17 giugno 2015, n. 12508; Cass. Civ., Sez. III, 12 gennaio 2015, n. 455).

Ne consegue, allora, che chi invochi in giudizio tale responsabilità abbia l'onere di provare la concreta attività di coloro i quali abbiano agito in nome e nell'interesse dell'associazione, non essendo sufficiente la prova della carica rivestita all'interno dell'ente (cfr., ex plurimis, Cass. 26290/07, 25748/08).

Pare però il caso di ulteriormente precisare i limiti di tale regime obbligatorio, che non assume in alcun modo i requisiti di un debito proprio dell’associato, ma riveste carattere accessorio rispetto alla responsabilità primaria dell’associazione.

La conseguenza è che, l’obbligazione solidale di colui che ha agito per l’ente, da non inquadrarsi come responsabilità personale, è piuttosto assimilabile a quelle forme di “garanzie ex lege, dirette principalmente all'ottenimento della soddisfazione di un rapporto obbligatorio.

Il principio cardine rimane, in ogni caso, quello della garanzia che l’ordinamento offre al creditore attraverso un’estensione del patrimonio rispetto a quello del debitore principale, su cui rivalersi in caso di inadempimento.

L’istituto che meglio si attaglia a questo genus è ritenuto, dalla dottrina e dalla giurisprudenza, quello della fideiussione, disciplinato agli artt. 1936 c.c. e seguenti, in cui un soggetto, detto garante (o fideiussore), si obbliga personalmente verso il creditore per l’adempimento di un’obbligazione altrui (del c.d., fideiuvato).

Tale assimilazione è principio ormai stratificato nei Giudici delle Leggi: “Nell’associazione non riconosciuta la responsabilità personale grava esclusivamente sui soggetti, che hanno agito in nome e per conto dell'associazione, attesa l’esigenza di tutela dei terzi che, nell'instaurazione del rapporto negoziale, abbiano fatto affidamento sulla solvibilità e sul patrimonio dei detti soggetti, non potendo il semplice avvicendamento nelle cariche sociali comportare alcun fenomeno di successione del debito in capo al soggetto subentrante, con l’esclusione di quello che aveva in origine contratto l’obbligazione. Ne consegue che l’obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per essa è inquadrabile tra le garanzie “ex lege” assimilabile alla fideiussione, con conseguente applicazione dei principi contenuti negli artt. 1944 e 1957 cod. civ.. (in tal senso Cass. civ. Sez. 3, Sentenza n. 29733 del 2011).

Per l’appunto ciò comporta anche l’applicazione, con tutte le implicazioni pratiche che ne conseguono, dei principi espressi dall’art. 1957 cod. civ., rubricato “Scadenza dell’obbligazione principale”, che così recita: “Il fideiussore rimane obbligato anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale, purché il creditore entro sei mesi abbia proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate. La disposizione si applica anche al caso in cui il fideiussore ha espressamente limitato la sua fideiussione allo stesso termine dell’obbligazione principale. In questo caso però l’istanza contro il debitore deve essere proposta entro due mesi. L’istanza proposta contro il debitore interrompe la prescrizione anche nei confronti del fideiussore”.

Detta norma, espressione del principio di accessorietà della fideiussione, tende a tutelare il fideiussore dalla possibilità che si crei incertezza, soprattutto in conseguenza del decorso temporale, in ordine al fatto se sia o meno tenuto alla garanzia.

Proprio al fine di declinare in pratica detti schemi generali, ben si atteggia la pronuncia resa dal Tribunale capitolino il quale ha affrontato e risolto la questione di un ex dipendente di un partito politico il quale, a distanza di quattro anni dalla cessazione del proprio rapporto lavorativo, aveva convenuto in giudizio i rappresentanti dell’associazione non riconosciuta (in virtù dei già esaminati principi di responsabilità solidale di cui all’art. 38 cod. civ.), per ivi sentirli dichiarare solidalmente responsabili alla corresponsione dei crediti da lavoro asseritamente maturati e non pagati.

Pare il caso di premettere come, in questo caso, non si tratti evidentemente di responsabilità solidale scaturente da un debito proprio dell'associato convenuto ma recante carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria dell'associazione.

Da ciò deriva che l’obbligazione solidale dei rappresentanti dell’associazione non riconosciuta, inquadrabile fra quelle garanzie di legge assimilabili alla fideiussione, sia assoggettata alla decadenza prevista dall’art. 1957 c.c.

In applicazione di detto principio il Tribunale di Roma ha rigettato la domanda del ricorrente ritenendo questi decaduto dal diritto per non avere proposto, entro il termine di sei mesi, le proprie richieste nei confronti del fideiussore, da ritenersi efficace anche se proposta, sempre entro il medesimo termine, nei confronti del debitore principale, come previsto dall’art. 1957, ultimo comma c.c. (Trib. Roma, II sez. Lav., 7 maggio 2008, n. 6826).

Tale pronuncia, che aderisce all'indirizzo giurisprudenziale prevalente (Cass. 6 agosto 2002, n. 11759; Cass. 4 marzo 2000, n. 2471; Cass. 27 dicembre 1991, n. 13946; Cass. 26 febbraio 1985, n. 1655), dimostra in maniera lampante l’applicazione pratica della responsabilità accessoria, così come mutuata dall’istituto della fideiussione.

Invero, nel caso di specie, l’applicazione dell’art. 1957 cod. civ., a differenza dell’ipotesi di obbligazione assunta in proprio (che per il caso de quo sarebbe stata assoggettata a prescrizione quinquennale), ha comportato il decorso del termine breve di sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione che, in assenza di formali azioni da parte del creditore, ha comportato la definitiva liberazione dell’associato dall’obbligazione principale.