L’obbligo nelle Associazioni Sportive Dilettantistiche (ASD) e nelle Società Sportive Dilettantistiche (SSD) di istituire un Safeguarding Officer

L’obbligo nelle Associazioni Sportive Dilettantistiche (ASD) e nelle Società Sportive Dilettantistiche (SSD) di istituire un Safeguarding Officer
La riforma dello sport, introdotta a partire dal Decreto Legislativo n. 36/2021, ha modernizzato e razionalizzato il sistema sportivo nazionale, delineando, tra le altre cose, i requisiti che gli enti sportivi dilettantistici devono possedere per ottenere la certificazione dell’effettiva natura dilettantistica della propria attività mediante l’iscrizione nel Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche, istituito dal Decreto Legislativo n. 39/2021, presso il Dipartimento per lo sport della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
L’intero impianto normativo ha inoltre recepito le sempre crescenti attenzioni e sensibilità verso le questioni etiche all’interno del settore sportivo, introducendo, in tal modo, misure volte a promuovere ambienti sportivi sicuri ed inclusivi, rispettosi dei diritti fondamentali di ciascun atleta, soprattutto di minore età, in cui venisse garantita la piena tutela da comportamenti discriminatori, integranti abusi fisici e/o psicologici, prevedendo, più nello specifico, misure di contrasto a tali condotte lesive.
A tal proposito si segnala come novità assoluta nel nostro ordinamento, l’introduzione dell'obbligo, per tutte le Associazioni Sportive Dilettantistiche (ASD) e Società Sportive Dilettantistiche (SSD), di dotarsi di un “Safeguarding Officer”, quale figura posta a tutela dei diritti degli atleti, soprattutto dei minori, nei contesti sportivi.
In effetti con il termine “Safeguarding” si intende l’insieme di quelle misure e pratiche adottate per la prevenzione e la protezione dei minori contro abusi, violenze e discriminazioni, per ragioni di etnia, religione, convinzioni personali, disabilità, età o orientamento sessuale, anche ad opera di adulti, compresi quelli in posizione fiduciaria.
L’art. 33, comma 6, del D.Lgs. 36/2021 ha previsto espressamente: “sono introdotte disposizioni specifiche a tutela della salute e della sicurezza dei minori che svolgono attività sportiva, inclusi appositi adempimenti e obblighi, anche informativi, da parte delle società e associazioni sportive, tra cui la designazione di un responsabile della protezione dei minori, allo scopo, tra l'altro, della lotta ad ogni tipo di abuso e di violenza su di essi e della protezione dell'integrità fisica e morale dei giovani sportivi. Il decreto di cui al primo periodo prevede l'obbligo della comunicazione della nomina del responsabile della protezione dei minori all'ente affiliante di appartenenza, in sede di affiliazione e successiva riaffiliazione.”.
Originariamente la delibera del C.O.N.I. n. 255 del 25 luglio 2023, aveva fissato al 01.07.2024 il termine per l’entrata in vigore di tale figura di “responsabile della protezione dei minori”, termine poi prorogato, ad opera della delibera del C.O.N.I. n. 159/89 del 28.06.2024, al 31.12.2024.
Il previsto “Modello organizzativo e di controllo”, che ha recepito le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 36 del 28 febbraio 2021 e al D.Lgs. n. 39 del 28 febbraio 2021, nonché delle disposizioni emanate dalla Giunta Nazionale del CONI, è diretto a:
a) tesserati della Società;
b) tutti coloro che intrattengono rapporti di lavoro o volontariato con la Società;
c) tutti coloro che, a qualsiasi titolo, intrattengono rapporti con la Società;
ritenendosi comportamenti rilevanti, e perciò ostativi al raggiungimento delle finalità prefissate dalle menzionate normative, quelli integranti:
- “abuso fisico”: da intendersi come qualunque condotta consumata o tentata (tra cui botte, pugni, percosse, soffocamento, schiaffi, calci o lancio di oggetti), che sia in grado in senso reale o potenziale di procurare direttamente o indirettamente un danno alla salute, un trauma, lesioni fisiche o che danneggi lo sviluppo psico-fisico del minore tanto da compromettergli una sana e serena crescita. Tali atti possono anche consistere nell’indurre un tesserato a svolgere (al fine di una migliore performance sportiva) un’attività fisica inappropriata come il somministrare carichi di allenamento inadeguati in base all’età, genere, struttura e capacità fisica oppure forzare ad allenarsi atleti ammalati, infortunati o comunque doloranti, nonché nell’uso improprio, eccessivo, illecito o arbitrario di strumenti sportivi. In quest’ambito rientrano anche quei comportamenti che favoriscono il consumo di alcool, di sostanze comunque vietate da norme vigenti o le pratiche di doping;
- “molestia sessuale”: da intendersi come qualunque atto o comportamento indesiderato e non gradito di natura sessuale, sia esso verbale, non verbale o fisico che comporti una grave noia, fastidio o disturbo. Tali atti o comportamenti possono anche consistere nell’assumere un linguaggio del corpo inappropriato, nel rivolgere osservazioni o allusioni sessualmente esplicite, nonché richieste indesiderate o non gradite aventi connotazione sessuale, ovvero telefonate, messaggi, lettere od ogni altra forma di comunicazione a contenuto sessuale, anche con effetto intimidatorio, degradante o umiliante;
- “abuso sessuale”: da intendersi come qualsiasi comportamento o condotta avente connotazione sessuale, senza contatto, o con contatto e considerata non desiderata, o il cui consenso è costretto, manipolato, non dato o negato. Può consistere anche nel costringere un tesserato a porre in essere condotte sessuali inappropriate o indesiderate, o nell’osservare il tesserato in condizioni e contesti non appropriati;
- “negligenza”: da intendersi come il mancato intervento di un dirigente, tecnico o qualsiasi tesserato, anche in ragione dei doveri che derivano dal suo ruolo, il quale, presa conoscenza di uno degli eventi, o comportamento, o condotta, o atto di cui al presente documento, omette di intervenire causando un danno, permettendo che venga causato un danno o creando un pericolo imminente di danno. Può consistere anche nel persistente e sistematico disinteresse, ovvero trascuratezza, dei bisogni fisici e/o psicologici del tesserato;
- “incuria”: da intendersi come la mancata soddisfazione delle necessità fondamentali a livello fisico, medico, educativo ed emotivo;
- “abuso di matrice religiosa”: da intendersi come l’impedimento, il condizionamento o la limitazione del diritto di professare liberamente la propria fede religiosa e di esercitarne in privato o in pubblico il culto purché non si tratti di riti contrari al buon costume;
- “bullismo, cyberbullismo”: da intendersi come qualsiasi comportamento offensivo e/o aggressivo che un singolo individuo o più soggetti possono mettere in atto, personalmente, attraverso i social network o altri strumenti di comunicazione, sia in maniera isolata, sia ripetutamente nel corso del tempo, ai danni di uno o più tesserati con lo scopo di esercitare un potere o un dominio sul tesserato. Possono anche consistere in comportamenti di prevaricazione e sopraffazione ripetuti e atti ad intimidire o turbare un tesserato che determinano una condizione di disagio, insicurezza, paura, esclusione o isolamento (tra cui umiliazioni, critiche riguardanti l’aspetto fisico, minacce verbali, anche in relazione alla performance sportiva, diffusione di notizie infondate, minacce di ripercussioni fisiche o di danneggiamento di oggetti posseduti dalla vittima);
- “comportamenti discriminatori”: da intendersi come: qualsiasi comportamento finalizzato a conseguire un effetto discriminatorio basato su etnia, colore, caratteristiche fisiche, genere, status social-economico, prestazioni sportive e capacità atletiche, religione, convinzioni personali, disabilità, età o orientamento sessuale.
Giova sottolineare come dall’esame delle surriportate categorie di condotte lesive, pedissequamente tratte dal “Modello” elaborato dal Dipartimento per lo Sport presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri", oltre ai comportamenti già noti e tipizzati nel nostro ordinamento (es. “abuso psicologico”, “abuso fisico”, “molestia sessuale”, “abuso sessuale”, “bullismo, cyberbullismo”, “comportamenti discriminatori”), si affiancano ulteriori categorie che hanno sostanzialmente recepito fatti di cronaca di recente accadimento, annoverando, ad esempio, nella categoria degli abusi fisici, qualsiasi condotta consistente nell’indurre un tesserato a svolgere, al fine di una migliore performance sportiva, un’attività fisica inappropriata come il somministrare carichi di allenamento inadeguati in base all’età, genere, struttura e capacità fisica oppure forzare ad allenarsi atleti ammalati, infortunati o comunque doloranti, nonché nell’uso improprio, eccessivo, illecito o arbitrario di strumenti sportivi, rientrando in quest’ambito anche quei comportamenti che favoriscono il consumo di sostanze vietate da norme vigenti o le pratiche di doping.
Si intende reprimere, altresì, comportamenti tenuti da dirigenti, tecnici, o tesserati in genere, resisi protagonisti di atti di “incuria”, da intendersi come la mancata soddisfazione delle necessità fondamentali a livello fisico, medico, educativo ed emotivo dell’atleta; oltre alla punizione di tutti quei comportamenti omissivi, rientranti nella categoria denominata “negligenza”, in cui i precitati, nonostante siano a conoscenza di un evento lesivo, omettano di intervenire causando un danno, permettendo che venga causato un danno o creando un pericolo imminente di danno, consistente anche nel persistente e sistematico disinteresse, ovvero trascuratezza, dei bisogni fisici e/o psicologici del tesserato.
Passando, più in concreto, ai compiti del Safeguarding Officer, si annoverano:
- vigilanza sull’adozione, da parte delle Associazioni e delle Società sportive affiliate, dei modelli organizzativi e di controllo dell’attività sportiva nonché dei codici di condotta di cui all’art. 33 comma 6 del D.Lgs. 36/2021, sul loro aggiornamento e sulla loro osservanza;
- adozione delle opportune iniziative per prevenire e contrastare ogni forma di abuso violenza e discriminazione”;
- segnalazione di eventuali condotte rilevanti agli organi di competenza.
Quanto ai requisiti che deve conservare il Safeguarding, lo stesso dovrà essere:
- selezionato tra soggetti di comprovata moralità e competenza;
- non avere pendenze o sia stato condannato (anche in via non definitiva) per i reati contro la personalità individuale, l’eguaglianza e la libertà personale indicati dall’art. 16 del d.lgs. 39/2021;
- non avere avuto comportamenti che possano, anche astrattamente, essere considerati lesivi delle norme e dei principi stabiliti dal d.lgs. 198/2006 (c.d. “codice delle pari opportunità”).
Inoltre, si ritiene opportuno specificare come la scelta di tale figura di responsabile possa ricadere sia su una persona interna e sia esterna al sodalizio sportivo.
Di certo, la scelta di un soggetto esterno, oltre a garantire maggiore professionalità, con conseguente riduzione del rischio di errori procedurali, assicurerebbe l’assenza di conflitti di interesse ed una maggiore impermeabilità ad influenze e pressioni interne all’ente, talché, la sua attività si dovrebbe tradurre in decisioni più imparziali, essendo percepita dai tesserati con maggiore credibilità e fiducia, al punto da indurre gli stessi a sentirsi più sicuri e a loro agio nel segnalare eventuali abusi.
Viceversa, la nomina di un responsabile interno al sodalizio potrebbe garantire maggiore conoscenza del contesto sportivo e dell’ambiente, unito ad un superiore controllo attraverso un presidio costante e quotidiano all’interno dell’associazione, il che si tradurrebbe in una superiore celerità di azione non dovendosi coordinare con altri soggetti, oltre ad un non trascurabile contenimento dei costi.
Venendo poi alle responsabilità del Safeguarding Officer, in ambito civilistico si segnala l’ipotesi di inadempimento contrattuale, laddove si dovessero verificare eventuali omissioni o errori nello svolgimento dei compiti assegnati in forza dello specifico incarico affidatogli, ovvero di responsabilità di natura extracontrattuale, nel caso in cui in conseguenza diretta dell’azione o dell’omissione del responsabile derivi un danno a terzi con conseguenze risarcitorie.
Dal lato penale, invece, non si può sottacere una eventuale responsabilità per concorso omissivo per reato commesso da altri, ciò derivante dalla posizione di garanzia che tale figura riveste con il conseguente obbligo di segnalazione alle autorità competenti (art. 40 c.p.); oltre a reati colposi, nel caso in cui, alla mancata adozione delle misure di prevenzione previste, dovesse conseguire il verificarsi di abusi e violenze.
Quanto appena sopra, senza trascurare l’ipotesi di eventuali sanzioni in ambito sportivo per illecito disciplinare, nel caso in cui si dovessero registrare negligenze o colpe del responsabile per omessa vigilanza, o per non avere garantito il rispetto della sicurezza ed il rispetto della dignità dei propri tesserati.
Da ultimo si segnala come sebbene il “Regolamento Safeguarding”, adottato con la delibera del C.O.N.I. n. 255 del 25 luglio 2023, disponga espressamente che le violazioni in materia di safeguarding policies “costituiscano violazione dei doveri di lealtà, probità e correttezza ai sensi del Regolamento di giustizia”, non sembrano allo stato essere previste sanzioni specifiche in caso di mancata o ritardata nomina.
Tuttavia, la mancata nomina del responsabile Safeguarding, costituendo una violazione degli obblighi normativi e delle prescrizioni del CONI, potrebbe comportare l’applicazione delle sanzioni disciplinari previste dai Regolamenti delle Federazioni Sportive Nazionali di riferimento, senza trascurare la circostanza secondo cui, la commissioni di gravi illeciti in assenza di nomina della figura del responsabile, potrebbe integrare la sussistenza di responsabilità di carattere penale per condotta omissiva.
Stante la recente entrata in vigore dell’obbligo per le associazioni sportive di dotarsi del responsabile contro abusi, violenze e discriminazioni (c.d. Safeguarding), chi scrive non è in grado, al termine del primo semestre del 2025, di fornire informazioni e dati sulle attività sin qui svolte da tale figura, limitandosi, invece, a registrare gli affanni delle società e delle associazioni sportive tenute ad adeguarsi alla normativa de qua.
L’auspicio è che, data l’assoluta delicatezza delle questioni coinvolte, le attività di controllo e prevenzione cui sarà chiamata la figura di recente introduzione, possano anch'esse contribuire a quel definitivo mutamento culturale che tutti ci aspettiamo da atleti, tesserati e tutti coloro che sono coinvolti nel movimento sportivo, affinché quest'ultimo recuperi, una volta per tutte, i principi fondanti del rispetto, dell’inclusione e della solidarietà